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L'intervento del procuratore capo di Prato alla presentazione del suo libro "Pentiti"

"I collaboratori di giustizia hanno giocato un ruolo importantissimo nei successi che lo Stato ha ottenuto" ma serve "un intervento legislativo" per rendere più 'appetibile' la collaborazione. Così il procuratore capo di Prato Luca Tescaroli durante la presentazione del suo ultimo libro 'Pentiti. Storia, importanza e insidie del fenomeno dei collaboratori di giustizia' (ed. Rubbettino) presso l’ostello di Amolara, ad Adria dialogando con Alberto Garbellini, direttore de 'La Voce di Rovigo'. L'evento ha visto la partecipazione del sindaco Massimo Barbujani, il senatore Bartolomeo Amidei, la deputata Nadia Romeo e il prefetto di Rovigo Clemente Di Nuzzo. Durante l'incontro, Tescaroli ha riflettuto su come la mafia sia cambiata negli ultimi decenni, nonostante il massiccio impegno repressivo dello Stato."Noi ci troviamo a convivere con delle realtà mafiose da quasi 200 anni e questo è un dato di fatto. Però la costante è che nonostante l'attività di repressione che viene svolta" questa "piaga endemica si propaga e non si riesce ad arrestarla". Con "sempre maggiore frequenza si individuano presenze di locali (di 'Ndrangheta ndr) in territori come Lombardia, come il Lazio, come il Veneto, come la Toscana"; senza contare la presenza massiccia di "gruppi criminali stranieri estremamente pericolosi" come quelli "albanesi, cinesi, anche nigeriani, che hanno conquistato uno spazio importante".


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Secondo il procuratore capo di Prato bisognerebbe interrogarsi "sul perché nonostante questa forma prepotente di contrasto e di aggressione che vede impiegati i migliaia di responsabili delle forze dell'ordine e magistrati perché si continua ad assistere alla convivenza tra queste realtà. Questa convivenza bisogna capire come sia possibile tra il bene e il male, perché lo Stato è decisamente più forte", "dispone di migliaia di appartenenti alle forze dell'ordine, numerosissimi magistrati, dispone anche dell'esercito che nelle fasi più cruente è stato impiegato nell'azione di contrasto e le realtà mafiose, per quanto pericolose e dinamiche, sono in una situazione di inferiorità e quindi si fatica a capire come si protragga questa forma di convivenza".
Tuttavia va ricordato che "l'attività repressiva è stata prepotente, lo è stata in particolare nei confronti di quella che era la criminalità mafiosa più pericolosa, quella dei corleonesi e di Cosa Nostra in particolare, perché da allora i vertici di quell'organizzazione e molti esponenti estremamente pericolosi sono stati catturati, sono stati processati con il pieno rispetto delle garanzie e sono stati condannati. Segno evidente di una presenza dello Stato che attraverso i suoi rappresentanti ha dimostrato di essere capace ed efficace nell'azione di contrasto ed oggi possiamo dire che Cosa Nostra, che aveva nei corleonesi da componente dominante, è certamente meno pericolosa di quanto non lo fosse agli inizi degli anni '90, quando si sono verificate quelle stragi".
Un capitolo, quello stragista, su cui ci si deve ancora interrogare e su cui sono presenti ancora delle zone d'ombra. Da magistrato Tescaroli ha detto che in "effetti la strage di via d’Amelio ha alcune anomalie, ha zone d’ombra non del tutto chiarite. Secondo quanto emerso, ha avuto un’accelerazione, le cui motivazioni non sono ancora chiarite. Tuttavia c’è un filo conduttore nei sei mesi terribili del 1992 che vanno dall’uccisione di Salvo Lima 12 marzo, alle stragi di Capaci 23 maggio e via d’Amelio 19 luglio”.
Ad oggi però le mafie non fanno brillare più il tritolo; si sono evolute e il segno più evidente è il silenzio: “Oggi la criminalità non ‘alza più la voce’: non le conviene” ha detto il magistrato e lo fa secondo una logica che "sfugge alla logica comune”.

Fonte: lavocedirovigo.it

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