Domande non richieste alla Procura di Caltanissetta
Lo speciale sulla strage di Via d'Amelio del 19 luglio 1992
- Via d'Amelio: la nostra verità (Prima parte)
- Via d'Amelio: la nostra verità (Seconda parte)
Noi non siamo magistrati, siamo giornalisti che hanno operato sul campo da quasi 25 anni.
Fin dal primo numero abbiamo sempre espresso l'intento per cui è nato questo giornale: contribuire, nel nostro piccolo, al raggiungimento della verità sulle stragi del biennio '92/'93.
Con questo spirito, nel 2005, il nostro vicedirettore Lorenzo Baldo avvisò l'autorità giudiziaria dell'esistenza delle immagini del capitano dei carabinieri Giovanni Arcangioli che, mentre le macchine erano ancora a fuoco in via D'Amelio, prendeva la borsa di Paolo Borsellino e la portava via dal luogo della strage. Quell'uomo non fece alcuna relazione di servizio o un’annotazione su quel fatto. Nonostante ciò, sottoposto a processo, fu destinatario di una sentenza di non luogo a procedere in udienza preliminare. Sentenza confermata dalla Corte di Cassazione.
Ciò non significa che si possa fermare la richiesta di verità e giustizia.
Siamo sempre stati convinti che solo facendo luce sui “mandanti esterni” a Cosa Nostra nelle cosiddette “stragi di Stato” potremo risorgere dalle ceneri di una seconda Repubblica fondata sul sangue di Falcone e Borsellino.
E solamente arrivando a queste verità scomode potremo auspicare ad una vera democrazia libera dall'oppressione mafiosa.
E' per questo che, fino all'ultimo respiro, cercheremo di fare la nostra parte, nei limiti del possibile, e trovare quegli indizi probatori da poter consegnare alle autorità competenti.
In tutti questi anni abbiamo seguito inchieste e processi sulle stragi di Capaci, via d'Amelio, quelli sulle stragi del 1993, fino ad arrivare al processo sulla trattativa Stato-mafia.
Abbiamo assistito ad importanti risultati delle forze dell'ordine e della magistratura sul versante dell'arresto di pericolosissimi latitanti e le sentenze di condanna per quei politici collusi con Cosa Nostra. Ma anche anni di vergognose assoluzioni e strumentalizzazioni di politica e media nonostante i numerosi elementi di prova dimostrassero inquietanti comportamenti di politici e uomini delle istituzioni.
Alla luce di questa esperienza sul campo ci permettiamo di commentare quel che sta accadendo, offrendo spunti alla Procura di Caltanissetta affinché non si lasci trasportare dall'onda del “gioco al ribasso”.
Lo ripetiamo, legittime sono le indagini che si stanno portando avanti. Tuttavia, riteniamo che si stia volgendo lo sguardo solo verso un piccolo tassello e non al mosaico completo.
Via d'Amelio, 19 luglio 1992. Giovanni Arcangioli si allontana con in mano la valigetta di Paolo Borsellino
In questo momento storico abbiamo un governo di destra che con una serie di leggi sta cercando di mettere sotto scacco la magistratura, minandone l'autonomia e l'indipendenza, con l'intento di controllarne le azioni.
Senza offesa, non sappiamo (e non ci interessa) che partito abbiano votato i magistrati nisseni, ma non vorremmo che questa scelta sia fatta per ragioni politiche.
Quelle stesse ragioni che nel 2023 hanno portato la sesta sezione penale di Cassazione ad assolvere Mario Mori, Giuseppe De Donno e Antonio Subranni, oltre a Marcello Dell'Utri, come non colpevoli "per non aver commesso il reato di “minaccia a corpo politico dello Stato".
Gli stessi boss mafiosi, Leoluca Bagarella e Antonino Cinà, sono stati "salvati" dalla prescrizione, essendo decorsi oltre 22 anni dalla consumazione del reato tentato, con il reato riformulato in "tentata minaccia a corpo politico dello Stato".
E' da quel momento che è iniziata questa “cavalcata revisionista della storia” che nella migliore delle ipotesi dimentica e nella peggiore non considera ed omette i fatti.
Questo vento nuovo viene soffiato, oltre che dalla politica, dai figli di Paolo Borsellino che dimostrano di aver dimenticato il “testamento-verità” lasciato dalla madre, Agnese Piraino Leto.
Ai magistrati aveva indicato testualmente le motivazioni che portarono alla morte il marito.
“Dopo la strage di Capaci mio marito disse che c'era un dialogo in corso già da molto tempo tra mafia e pezzi deviati dello Stato”. E ancora: “Mio marito mi disse testualmente che c'era un colloquio tra la mafia e parti infedeli dello stato'. Ciò mi disse intorno alla metà di giugno del 1992. In quello stesso periodo mi disse che aveva visto la 'mafia in diretta', parlandomi anche in quel caso di contiguità tra la mafia e pezzi di apparati dello Stato italiano”. “Mi disse che il gen. Subranni era 'punciuto' - (punto in un rito di affiliazione a Cosa nostra, ndr) - Mi ricordo che quando me lo disse era sbalordito, ma aggiungo che me lo disse con tono assolutamente certo. Non mi disse chi glielo aveva detto. Mi disse, comunque, che quando glielo avevano detto era stato tanto male da aver avuto conati di vomito. Per lui, infatti, l'Arma dei Carabinieri era intoccabile”.
Agnese Piraino Leto © Imagoeconomica
Parole dure come i sassi che sono sotto gli occhi di tutti. Eppure queste parole vengono sminuite o negate.
Noi pensiamo e crediamo che la Procura nissena (speriamo in buona fede), nel tentativo di dare risposte, stia assecondando il parere dei figli di Borsellino e del Governo senza rendersi veramente conto che ci si sta allontanando dalla verità.
La vicenda mafia-appalti sposta inevitabilmente l'attenzione e riduce le motivazioni delle stragi esclusivamente a interessi economici di mafiosi, imprenditori e politici della prima repubblica.
Mette le carte a posto, allontanando lo sguardo da quei mandanti esterni che sono stati i veri fruitori politici delle stragi del 1992 e del 1993, che hanno posto le basi dell'attuale potere politico.
Ed è qui il punto. Una rappresentanza del governo vede come partito di maggioranza quella Forza Italia che ha avuto tra i fondatori il senatore Marcello Dell'Utri (già condannato per concorso esterno in associazione mafiosa) e l'ex “Cavaliere”, il defunto Silvio Berlusconi, che pagava la mafia.
Dall'altra ci sono i fascisti, che vogliono evitare indagini sull'eversione di destra che nelle stragi ha avuto un ruolo sin dal principio.
Per questo non ci accontentiamo e ricordiamo alla Procura di Caltanissetta di tornare ad indagare e esplorare tutti quegli indizi probatori indicati in questo nostro dossier in tre parti.
Certamente siamo convinti delle gravi responsabilità di figure come il Procuratore Pietro Giammanco o Giovanni Tinebra, quest'ultimo protagonista principale di un depistaggio che è stato posto in essere un minuto dopo la strage, con la sparizione dell'agenda rossa, proseguito con il coinvolgimento “irrituale” del Sisde nelle indagini in appoggio alla Squadra Mobile guidata da Arnaldo La Barbera.
Negli anni precedenti si è rimasti fermi nella ricerca della verità sull'agenda rossa ed i mandanti esterni. E complessivamente si è cercato di demolire il processo di Palermo sulla trattativa Stato-mafia additandolo come “farlocco” o “inconcludente”.
Ma se così era, perché la mafia, tramite i suoi massimi vertici del tempo (Totò Riina in carcere e Matteo Messina Denaro da latitante) avrebbe avuto l'interesse di condannare a morte il magistrato Nino Di Matteo, simbolo di quel processo?
Lo abbiamo scritto in questo dossier, ancora una volta. C'era una convergenza di interessi che andava oltre le mafie.
Quindi è inutile girarci attorno.
Le domande non richieste alla Procura di Caltanissetta non sono un esercizio di stile, ma una richiesta di verità che viene dal popolo, affinché la magistratura possa giungere alla verità.
(FINE)
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