Avv. Repici: “Processo in corso grazie a sforzi titanici compiuti da Vincenzo e Augusta, genitori dell’agente ucciso”
Il 5 agosto 1989 doveva essere un giorno di festa in "Casa Agostino". La giovane Flora avrebbe compiuto 18 anni e per l'occasione sarebbe stato presente anche suo fratello Nino. Era un agente di polizia del Commissariato di San Lorenzo di Palermo. Non un poliziotto qualsiasi. Non un semplice "piantone". Nel tempo libero amava pescare con la sua barca ma quando indossava la divisa dava la caccia a latitanti mafiosi di primissimo livello. Attività che ben presto le sarebbe costata la vita. All’ora di pranzo, dopo aver terminato il turno di lavoro, Nino si recò assieme alla giovane moglie Ida Castelluccio a casa della famiglia, nel lungomare Cristoforo Colombo a Villagrazia di Carini. Stavano per varcare il cancello di casa quando due uomini a bordo di una motocicletta si avvicinarono e iniziarono a sparare. In un lampo un giorno di festa si trasformò in tragedia.
La stele in memoria dell'agente di Polizia Nino Agostino e Ida Castelluccio
Il padre dell'agente, Vincenzo Agostino, racconterà che quel giorno “mentre guardavo la tv sento un botto, pensavo a un petardo. Poi altri ancora. Sento mia nuora che urla, il tempo di uscire e vedo mio figlio che si appoggia al cancello, con una mano si teneva il petto come se si volesse asciugare il sangue, con l’altra teneva la moglie e la gettò per terra. Io ho cercato di abbracciare mio figlio. E sentivo gli spari che lo trafiggevano a destra e sinistra. Mia nuora quando era stata buttata a terra si rialza e dice: 'Io so chi siete'. Gli spararono un colpo e cadde a terra. Anche mio figlio cadde a terra e capii che non c’era più niente da fare”. Da allora Vincenzo, assieme a sua moglie Augusta Schiera, non ha mai smesso di lottare per cercare la verità e ottenere giustizia. Lei chiese di scrivere sulla sua tomba "qui giace Augusta Schiera, mamma del poliziotto Antonino Agostino, in attesa di verità anche dopo la morte". Lui, invece, promise sulle tombe del figlio e della nuora che non avrebbe tagliato barba e capelli fino a quando non avrebbe ottenuto verità e giustizia. E così fu, per entrambi. Augusta si è spenta nel 2019 e nella sua lapide sono incise le sue parole. Vincenzo, invece, ci ha lasciati 3 mesi fa, con la barba e i capelli lunghi. Entrambi se ne sono andati senza avere quella tanto agognata verità e giustizia.
Augusta Schiera e Vincenzo Agostino © Shobha
Due monumenti viventi dell'antimafia che hanno girato in lungo e in largo per l'Italia per testimoniare il loro dolore. Una corsa contro il tempo la loro, mentre la giustizia, al contrario, camminava lentamente. Solo dopo 30 anni, infatti, si è celebrato un processo diviso in due tronconi. Da un lato quello a carico del boss Nino Madonia, già condannato all'ergastolo in abbreviato (in primo e secondo grado) per il duplice delitto. Dall'altro, invece, quello con rito ordinario a carico del boss dell’Acquasanta Gaetano Scotto e Francesco Paolo Rizzuto, sedicente amico di infanzia dell’agente Agostino: rispettivamente accusati di duplice omicidio aggravato in concorso e di favoreggiamento aggravato.
Per ricostruire le verità emerse durante l'iter processuale abbiamo intervistato l'avvocato Fabio Repici, legale della famiglia Agostino, che durante il processo che si sta celebrando davanti alla Corte d'Assise di Palermo ha accusato il deep state che nel 1989 imperava a Palermo. Uno stato profondo che coadiuvava Cosa nostra nel realizzare omicidi e stragi.
L’avvocato Repici ha definito Nino Madonia e Gaetano Scotto "due mafiosi 'anfibi', cioè soggetti che hanno una doppia valenza: uomini d'onore ma allo stesso tempo anche soggetti legati ad apparati istituzionali. In qualche modo dei mafiosi di Stato. Il processo che è in corso nelle due forme del giudizio ha dimostrato al di là di ogni dubbio che Nino Madonia e Gaetano Scotto in quegli anni avevano intessuto relazioni di importantissimo rilievo con esponenti di apparati di Polizia e dei servizi segreti, sicuramente non di piccolo calibro".
Come ogni anno, anche questa mattina nel lungomare Cristoforo Colombo di Villagrazia di Carini si è celebrata la commemorazione ufficiale del delitto Agostino-Castelluccio. Ancora una corona di alloro poggiata sulla stele. Ancora una volta il suono della tromba che rintocca il silenzio. Manca Augusta e manca Vincenzo. Ci sono le loro figlie: Flora e Nunzia. E il loro nipote, Nino Morana Agostino, che porta il nome di suo zio. Un ragazzo che fin da bambino ha accompagnato i nonni nella loro ricerca di verità e giustizia. E che oggi continua a portare avanti il loro testimone.
L'assenza di Augusta e, per la prima volta, quella di Vincenzo pesano come macigni. Il silenzio amplifica la sensazione di vuoto. Tutti si aspettano che da un momento all’altro arrivino le auto di scorta con a bordo “Zu Vicé”, come era chiamato Vincenzo dai suoi ragazzi della scorta. Gli sguardi dei presenti si incrociano alla ricerca di un conforto. Inutile. Non resta che guardare la stele e le onde che si infrangono nella spiaggia. La stessa da cui Vincenzo e Augusta erano soliti guardare l'orizzonte tenendosi per mano, convinti che prima o poi la "tempesta" sarebbe finita e la verità sarebbe arrivata. Come una nave che attracca al porto dopo il mare in burrasca. O, forse, come la barca con cui Nino Agostino era solito pescare spensierato.
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