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Nel 1997 un progetto di attentato saltato alla vigilia della sentenza su Capaci

Alla luce delle nuove minacce di morte rivolte nei confronti del magistrato Luca Tescaroli, già procuratore aggiunto a Firenze che da poco si è insediato a Prato, ripubblichiamo un approfondimento scritto dal direttore di ANTIMAFIADuemila Giorgio Bongiovanni sui progetti di attentato nei confronti del pubblico ministero.
La lettera minatoria recapitata nel suo nuovo ufficio lo scorso 29 luglio, con un foglio anonimo in cui vi era scritto “Ti faremo saltare con il tritolo. Finiremo quello che abbiamo iniziato”, rientra all'interno di un preciso progetto di attacco e delegittimazione nei confronti di un magistrato come Tescaroli che negli anni ha indagato anche sui rapporti tra Cosa nostra e la politica.


Cosa Nostra ''ha promosso, deliberato ed eseguito la strage di Capaci, ma i responsabili del delitto non sono stati ancora tutti individuati''. E' con queste parole che il 21 maggio 1997, nel primo giorno di requisitoria nel processo sulla strage di Capaci, il magistrato Luca Tescaroli, allora pm a Caltanissetta, aveva puntato l'indice contro i boss rinchiusi nelle gabbie, lasciando comunque intendere che le indagini non potevano ritenersi esaurite nell'individuazione di boss e gregari, mandanti ed esecutori, parlando dei cosiddetti mandanti occulti.
Un processo che, in primo grado, lo vedeva rappresentare l'accusa assieme al collega Francesco Paolo Giordano (in appello invece era affiancato da Antonella Sabatino, ndr) grazie al quale, a seguito di un doppio verdetto della Corte di Cassazione del 30-31 maggio 2002 e del 18 settembre 2008, si è giunti alla condanna definitiva di 37 mafiosi, con 29 ergastoli, tra componenti della Cupola, accusati di avere deciso l'eccidio, ed esecutori materiali.
In pochi, però, ricordano le tensioni che circondavano quel processo.
Il due giugno di quell'anno, pochi giorni dopo le richieste di condanna, il magistrato, all'epoca 32enne, sfuggì ad un attentato mentre era in vacanza con la propria fidanzata a Maratea, sulla spiaggia del lido del “Macarro”, in Basilicata.
Volevano ucciderlo con un fucile a doppia canna lunga e con un'altra arma a canna corta.
I sicari, due uomini con il volto coperto da un casco da motociclista, si erano già appostati in un boschetto.
E' stato uno dei carabinieri di scorta a notare gli “strani movimenti" tra la vegetazione.
Temendo per la vita del magistrato si arrampicò su una stradina fino a giungere di fronte ai due killer, dotati anche di una moto “Enduro” rossa, priva di targa, con il motore acceso pronto per la fuga.
Il militare in un primo momento intimò ai due ignoti di fermarsi. Quindi sparò due colpi verso il cielo mentre uno dei due motociclisti gli aveva rivolto contro il fucile. Immediatamente i due killer scapparono via a bordo della motocicletta lungo una strada secondaria sterrata, che si ricongiungeva con la Strada Statale, facendo perdere ogni traccia.
Su quell'attentato indagò la Procura di Potenza per i reati ipotizzati a carico di persone non identificate di detenzione e porto abusivo di armi e resistenza a pubblici ufficiali.
Nel chiedere l'archiviazione al Gip il pm individuò in maniera chiara il contesto di quel progetto di morte, evidenziando che non vi erano dubbi che “la condotta dei due giovani d'identità ignota fosse diretta ad arrecare pregiudizio all'integrità fisica della persona del dott. Tescaroli”.
Nel documento venivano anche ricordati altri episodi di minacce ricevute dal magistrato, con 'avvertimenti' che erano stati addirittura trasmessi al padre, quindi si stabiliva con certezza che il magistrato fosse l'obiettivo degli attentatori a causa dell'impegno profuso, quale magistrato della Dda di Caltanissetta, nelle inchieste e nei processi contro persone imputate di appartenenza ad organizzazioni criminali di stampo mafioso siciliane, quali Benedetto Santapaola, Giuseppe Madonia, Antonio Ferro e contro i presunti mandanti ed esecutori delle stragi di Capaci e di via d'Amelio di Palermo.
Ricordare quel progetto di morte, tenendo a mente che Cosa nostra non dimentica mai, a quasi trent'anni dalle stragi, diventa necessario affinché non si ripetano più fatti simili.
Ed è certo che Luca Tescaroli, con la sua professionalità e le sue intuizioni, rappresenta una di quelle figure della magistratura che, come Nino Di Matteo, Giuseppe Lombardo, Roberto Scarpinato, Sebastiano Ardita, Nicola Gratteri ed altri, non si accontenta dei frammenti di verità.
Un impegno che il procuratore aggiunto di Firenze ha dimostrato nel corso della sua storia.
Basti pensare alle indagini che aprì sui buchi neri dell’attentatuni a Falcone, che sempre di più facevano pensare alla partecipazione di ambienti di potere esterni a Cosa nostra.
Fu sempre lui a seguire, in primo e in secondo grado, il processo sul fallito attentato all’Addaura contro Giovanni Falcone (già nell’89, per Cosa nostra, doveva morire). Processo che si concluse con le condanne dei boss Totò Riina, Salvatore Biondino, Antonino Madonia, Vincenzo e Angelo Galatolo.
Tescaroli inoltre, assieme al collega Nino Di Matteo, indagò già a Caltanissetta su Silvio Berlusconi e Marcello Dell'Utri (iscritti nel fascicolo con i nomi di “Alfa e Beta” come possibili mandanti esterni delle stragi.
Ciò avvenne grazie alle dichiarazioni del pentito Salvatore Cancemi, deceduto nel 2011, che per primo parlò dei contatti diretti tra i due politici di Forza Italia e i vertici di Cosa nostra.
In pochi ricordano che nell'inchiesta nei confronti dell'ex senatore l'ex premier Di Matteo e Tescaroli furono lasciati soli con uno scollamento di fatto con il resto della procura di Caltanissetta.
Un'inchiesta che si concluse con l'archiviazione da parte del Gip Tona, ma in cui venne messo nero su bianco come “gli atti del fascicolo hanno ampiamente dimostrato la sussistenza di varie possibilità di contatto tra uomini appartenenti a Cosa Nostra ed esponenti e gruppi societari controllati in vario modo dagli odierni indagati [Berlusconi e Dell’Utri]”.
A Roma, come sostituto procuratore, Tescaroli ha condotto un'importante indagine sull’omicidio del banchiere Calvi, impiccato il 18 giugno dell’82 a Londra sotto il ponte dei Frati neri.
Al processo per l’omicidio del "banchiere di Dio" furono assolti, tra il 2007 e il 2011, Pippo Calò, Flavio Carboni, Ernesto Diotallevi (Banda della Magliana), Manuela Kleinszig e Silvano Vittor, questi ultimi coinvolti nell’organizzazione dell’ultimo viaggio di Calvi, ma venne sancito che Roberto Calvi “è stato ucciso” dopo che per anni era stata portata avanti la tesi del suicidio.
Ma è nell'inchiesta bis che vennero evidenziati ulteriori aspetti. Tescaroli nel 2016 chiese l'archiviazione del procedimento che vedeva coinvolti, a vario titolo, figure come Licio Gelli (accusato di essere l’organizzatore del delitto), il finanziere svizzero Hans Albert Kunz, Francesco Pazienza (uomo dei servizi, anche lui condannato definitivamente per il crac del Banco ambrosiano), Maurizio Mazzotta (segretario di Pazienza), Enzo Casillo (il braccio destro di Raffaele Cutolo, saltato in aria a Roma sette mesi dopo la morte di Calvi) e di nuovo Flavio Carboni, tutti collegati, nell’ipotesi di accusa, alla fase esecutiva dell’omicidio.
Un'indagine che, come scritto dalla gip Simonetta D’Alessandro, “consegna comunque un’ipotesi storica dell’assassinio difficilmente sormontabile”.
Quale ipotesi?
Semplice: “Una parte del Vaticano, ma non tutto il Vaticano; una parte di Cosa nostra, ma non tutta Cosa nostra; una parte della massoneria, ma non tutta la massoneria, e in una parola, la contiguità tra i soli livelli apicali in una fase strategica di politica estera, che ha bruciato capitali che, secondo i pentiti, erano di provenienza mafiosa. Di più non è stato possibile fare”. Quindi si concludeva che l'accusa aveva "parlato credibilmente di un sistema economico integrato, ha proiettato sullo scenario del delitto presenze simbolo: Calò che è Cosa Nostra, da Bontate a Riina; Diotallevi e Casillo, che sono la banda della Magliana e la nuova camorra organizzata, sodalizi entrambi al servizio della mafia corleonese; Pazienza e Mazzotta, che sono il Sismi; Gelli, Carboni e Kunz che sono la P2, Marcinkus che è lo Ior, che è Sindona, che è Calvi".
E poi ancora Tescaroli è stato tra i pubblici ministeri che si occuparono dell’indagine “Mafia Capitale”.
Oggi, Luca Tescaroli continua ad occuparsi delle stragi da procuratore aggiunto a Firenze dove è il titolare, assieme al pm Luca Turco delle indagini sui mandanti esterni delle stragi del 1993.
Per questo motivo può essere ritenuto una figura scomoda, così come scomoda è proprio quell'inchiesta che vede iscritti nel registro degli indagati i “soliti” Silvio Berlusconi e Marcello Dell'Utri.
Anche per questo motivo Luca Tescaroli è tutt'oggi una delle figure più a rischio all'interno della magistratura. Quell'inchiesta archiviata nell'ottobre del 1997 non riduce i rischi per la sua persona.
Così come per gli altri magistrati, attaccati, delegittimati ed isolati.
Il problema, ahinoi, è che il nostro Paese è nelle mani di un sistema criminale integrato al suo interno. Fino a quando non sarà smascherato e processato, fino a quando i cittadini non prenderanno coscienza pretendendo giustizia e verità, la nostra è una storia destinata a ripetersi.

Rielaborazione grafica by Paolo Bassani

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