Our Voice riassume tutte le tappe del dialogo tra Stato-mafia e denuncia il vento di restaurazione in corso sui fatti accertati
Le stragi del 1992, quelle del 1993 e del 1994. Il dialogo scellerato Ros-mafia per fermare le bombe, le complicità di politici intimoriti, la vittoria di Berlusconi e Forza Italia alle elezioni. Le sentenze dei giudici e il colpo di spugna della Corte di Cassazione sui fatti, accertati, di quella pagina nera di storia italiana. In sei minuti di video l’associazione Our Voice riassume, in maniera concisa e dinamica, l’intera vicenda della Trattativa Stato-mafia: la nascita del patto, le sue conseguenze e la restaurazione della sua storia ad opera di politici, giornalisti e l’anno scorso anche dal “Palazzaccio”. A ripercorrere tutte le tappe salienti della trattativa è Sonia Bongiovanni, attrice e direttrice del gruppo. La giovane parte dal 1992, anno in cui cadde il patto di convivenza fra mafia e partiti della Prima Repubblica, tra cui la Democrazia Cristiana, dopo le condanne della Cupola nel Maxi Processo. “I referenti politici che avevano garantito Cosa nostra per anni, non sono più affidabili. È necessario trovarne di nuovi. Questa ricerca avviene attraverso le stragi del ‘92 e ’93, nasce così la Seconda Repubblica”, ricorda Bongiovanni.
“Saltano in aria politici, magistrati, agenti delle scorte, cittadini innocenti, il più alto e specializzato reparto investigativo dei carabinieri inizia a trattare con il vertice di Cosa nostra, tramite l’allora sindaco mafioso di Palermo, Vito Ciancimino.
Mario Mori e Giuseppe De Donno, generale e colonnello del Ros, nel ‘98 raccontano nel dettaglio quest’incontro ai magistrati di Firenze”.
Our Voice ricorda la deposizione ai giudici di Firenze, poi passata alla storia e soprattutto alle attenzioni dei magistrati di Palermo, del colonnello Mori. Quel famoso “Signor Ciancimino, ma cos’è questo muro contro muro?” che Mori, sorpreso dell’allontanamento fra Stato e Cosa nostra, chiedeva al sindaco mafioso di Palermo.
“I carabinieri chiedono a Ciancimino se potevano parlare con i mafiosi, specificando che quella delle stragi “non era una loro iniziativa personale”, continua Bongiovanni. “Ma chi, a livello politico, sceglierà di legittimare quell’iniziativa?”.
Our Voice ricorda che “Paolo Borsellino, che stava indagando sulla morte dell’amico Giovanni Falcone, aveva intuito che tra pezzi delle istituzioni e boss mafiosi era in corso un patto sporco.
Indagini che gli costeranno la vita, in quel caldo 19 luglio 1992, assieme a quella dei suoi agenti di scorta Agostino Catalano, Emanuela Loi, Vincenzo Li Muli, Walter Eddie Cosina e Claudio Traina. Quel giorno sparisce l’agenda rossa nella quale il magistrato annotava i suoi appunti, che custodiva nella sua borsa, La borsa passa di mano in mano e viene immortalata trasportata proprio da un carabiniere”.
La trattativa, spiega Sonia Bongiovanni, continua e il Ros “si rende colpevole di altre condotte indegne, tra cui la mancata perquisizione del covo di Totò Riina per 18 giorni dopo il suo arresto, avvenuto nel gennaio del 1993. Un atto che dava la certezza ai boss che la trattativa era ancora in corso e che bisognava ricominciare con le stragi per farle riprendere vigore”.
Si passa dunque alle bombe del 1993 a Roma, Firenze e Milano e alle vite strappate dal tritolo mafioso.
Poi si ricorda il colpo di grazia che Cosa nostra, l’anno dopo, voleva assestare con l’attentato allo Stadio Olimpico, in cui sarebbero dovuti morire più di 100 carabinieri, risparmiati per un malfunzionamento del telecomando.
“Passano pochi giorni - spiega Sonia Bongovanni - Scende in campo un nuovo partito politico: Forza Italia. Creatura del compare palermitano Marcello Dell’Utri, uomo della mafia e dell’ex imprenditore milanese Silvio Berlusconi, che l’ha finanziata per 18 anni.
In quei giorni a Roma si trova anche Giuseppe Graviano, allora latitante, il quale avrebbe riferito a Spatuzza che “grazie a Berlusconi e al compaesano Dell’Utri si erano messi il Paese nelle mani””.
“Gennaio 1994. Cessano le stragi, vince l’ala moderata di Cosa nostra, quella garantita dal Ros, attraverso la latitanza dorata di Bernardo Provenzano. Con i voti di Cosa nostra e della ‘Ndrangheta Forza Italia governerà il nostro Paese per più di 20 anni”.
Salto nel tempo di quasi 20 anni. E’ il 2012. “Viene istruito il processo, poi nominato, “Trattativa Stato-mafia”, grazie alle dichiarazioni di Massimo Ciancimino, Gaspare Spatuzza e prima di lui gli stragisti pentiti Giovanni Brusca e Salvatore Cancemi. Politici, carabinieri e mafiosi si trovano allo stesso banco degli imputati, per la prima volta nella storia, con l’accusa di violenza o minaccia a corpo politico dello Stato”. Quindi Our Voice riassume i pareri dei giudici di merito sul processo trattativa Stato mafia istruito da Nino Di Matteo, Roberto Tartaglia, Vittorio Teresi e Francesco Del Bene.
“Anno 2018. Sentenza di primo grado: vengono tutti condannati a pene severissime. Per la Corte d’Assise di Palermo, la trattativa c’è stata e ha portato addirittura all’accelerazione della morte di Borsellino.
Anno 2021. Sentenza di secondo grado: i carabinieri vengono assolti perché “il fatto non costituisce reato”. Secondo i giudici la trattativa ci fu ma si fece “a fin di bene” e la latitanza di Provenzano venne coperta volontariamente per “indicibili ragioni di interesse nazionale’”.
Bongiovanni ricorda che la corte d’appello ritiene che l’iniziativa del Ros era avvenuta “in totale spregio ai doveri inerenti l'ufficio e i compiti istituzionali”.
“Marcello Dell’Utri, assolto in secondo grado, secondo i giudici aveva siglato un deplorevole accordo politico mafioso con Cosa nostra nel ‘93 e nel ‘94. Lo stesso anno dell’ascesa politica di Forza Italia”.
Anno 2023. Il colpo di spugna. “La Cassazione assolve totalmente gli imputati per non aver commesso il fatto. Con 91 misere pagine di sentenza gli ermellini cancellano 10mila pagine di motivazioni e il lavoro di 90 giudici penali. Nonostante l’evidenza dei fatti storici, restituiscono lustro all’operato del Ros, parcellizzano i fatti e soffiano sul vento della restaurazione in corso su quella pagina nera della nostra Repubblica”. Ed è così che dopo 32 anni, conclude Sonia Bongiovanni, “passa il colpo di spugna definitivo su quella storia, ancora profondamente attuale, soffocando le pretese di verità e giustizia di tanti, troppi familiari delle vittime di mafia”.
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