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Cosa direbbero oggi, guardando alla società del 2024, un libero pensatore come Pier Paolo Pasolini ed un artista come Paolo Villaggio? Cosa direbbero di questo Paese in cui la disuguaglianza sociale è sempre più evidente? Come commenterebbero la crisi economica che si accompagna allo sfascio della politica?
Forse ripeterebbero, seppur con altre parole, quei concetti che già anni fa ebbero il coraggio di esprimere in alcune loro interviste.
Due interventi differenti nel loro contesto, ma tremendamente attuali nell'analisi.



Pasolini, intervenendo nel programma Rai, “Donna donna”, trasmesso nel settembre 1974, parla della società e dei mutamenti cui va incontro la famiglia, tenuto conto anche dell'avvento della tecnologia. "E' successo qualcosa in questi ultimi dieci anni in Italia, nel mondo in questi ultimi cinquant'anni, cioè siamo passati da un'Era con la "E" maiuscola, cioè un periodo millenaristico e non semplicemente di secoli e di anni in cui la famiglia era veramente il nucleo di questo mosaico che era la società preindustriale cioè artigianale e contadina, siamo passati a un'altra Era con la "E" maiuscola che è la Era della civiltà tecnologica. In questa nuova Era la famiglia non serve più" spiegava il poeta e giornalista.
Quindi guardava all'avvento delle tecnologie (al tempo la Tv) e l'uso che viene fatto di esse dal potere. "La famiglia è raggiunta proprio in quanto famiglia mettiamo dal Carrrosello... attraverso la TV raggiunge proprio il nucleo famigliare che si fa dunque un nucleo di consumatori col padre il figlio, etc etc. Però nel tempo stesso ci sono dei fenomeni che stanno a dimostrare come la famiglia si sta dissolvendo. Non è più quel centro completo, totale, quel codice primo del codice sociale che era una volta. I figli ormai passano il tempo fuori dalla famiglia". E poi ancora aggiungeva: "Il potere che non so dove sia, comunque al potere non importa niente di educare bene un bambino gli importa educare il bambino di modo che poi diventi un consumatore (...) Può darsi che la felicità e la gioia del consumo coincidano, che ne so. Adesso parlo del materiale oggettivo, comunque ti dico questo: il potere senza volerlo manovrato da una necessità storica di fronte a cui ne siamo impotenti, fa in modo di avere dei buoni consumatori non dei buoni figli".





Accanto a queste considerazioni si possono mettere quelle di Paolo Villaggio, il creatore di quel Fantozzi che era specchio dell'italiano medio, un uomo inserito appieno nel tritacarne della società consumistica.
Nel 1975, intervistato dalla televisione svizzera, anche Paolo Villaggio si esprimeva con una riflessione amara:

L’affresco della società italiana che ne viene fuori è quanto mai attuale.
"Questa società nella quale viviamo è giusta o non è giusta? Il sospetto di tutti, soprattutto dei giovani, che hanno cominciato a contestare e a rimettere in discussione tutto. Abbiamo forse sbagliato obiettivo, è veramente questo tipo di società consumistica piena di frigo, di televisioni a colori e di beni di consumo, di Polaroid, di macchine, di cose è la felicità? No, la verità è che tutti si sono accorti che è il diavolo, che è l’opposto. Questo tipo di felicità è altamente infelice. Non è una concezione negativa, non è un giudizio, io non voglio fare della satira negativa e distruttiva. Io dico il momento è questo. Il momento è la nevrosi pura. La nostra cultura, la nostra filosofia, la filosofia occidentale ha mancato l’obbiettivo. E’ il momento di tirare i remi in barca e di fare il punto della situazione".
"Il piccolo Fantozzi - proseguiva Villaggio - l’omino che per anni è vissuto nel boom consumistico cioè ha ricevuto dai mass media, dalla televisione e dai settimanali uno stimolo preciso, quasi un ordine a consumare, ad acquistare a vivere sotto determinati schemi. E lo schema di questa filosofia era precisissimo: attento che se compri e ti attrezzi in determinati modi potrai essere felice e vivrai in un mondo che sarà felice e contento per mille anni. Improvvisamente invece un crack strano, tutto questo sistema meraviglioso pieno di promesse, questo mondo fiabesco si è incrinato. E’ bastato che nel medio oriente una forte tensione internazionale chiudesse i rubinetti del petrolio perché tutta l’economia mondiale andasse in crisi".





E poi ancora proseguiva: "Il mondo di Fantozzi, cioè l’austerità improvvisa. L’inquietudine soprattutto l’insicurezza del futuro. L’uomo credeva di essere felice, con le macchine, con le autostrade, gli intasamenti. In realtà nel mondo in cui Fantozzi è costretto a vivere è un inferno. Attenzione non è vero che l’uomo che vive secondo questi schemi è felice. E questo sta a descrivere e limitare la funzione di Fantozzi in una società, cioè nessuna. Lui questo lo sa. Sa che vive in una società che non lo difenderà mai abbastanza. Lui vive in una dimensione piramidale, in un burosauro. Al vertice della piramide forse, si dice anche nei libri e nei film, non c’è nessuno. Il mega direttore galattico esiste o no? Forse è una pura invenzione. Ed ecco che l’italiano medio, a mio avviso, si è riconosciuto nell’infelicità di Fantozzi".

Nella conclusione di quell'intervista il giornalista chiede a Villaggio cosa farebbe se per un momento avesse il potere straordinario di governare un paese, cosa darebbe ai suoi cittadini, per prima cosa.
La risposta di Villaggio è di quelle che fanno riflettere. "Dunque, la domanda è un po' utopistica e quindi la risposta non può che essere utopistica. Una cosa che difficilmente l'umanità raggiungerà – forse – alla fine della sua evoluzione. L'uguaglianza. E penso che sia moltissimo". Proprio ciò che oggi manca.
  

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