Il patteggiamento che lo ha scagionato prevede la distruzione di cablo inediti
Julian Assange e WikiLeaks sono “colpevoli” di giornalismo, sempre che possa esistere un reato simile. Colpevoli cioè di aver smascherato le storture del potere, dei governi e gli indicibili crimini di guerra compiuti dagli Stati Uniti in Afghanistan e Iraq. Rivelazioni che in una democrazia dovrebbero essere apprezzate e non criminalizzate.
La sua liberazione dopo oltre 5 anni di prigionia - illegale - nel carcere di massima sicurezza di Belmarsh (Londra) è sicuramente un ottimo segnale. E mette fine all'odissea umana e giudiziaria che l'ha visto protagonista per 14 anni. Dall'altra parte, però, Assange ha dovuto cedere alle richieste di Washington - che ne pretendevano l'estradizione - dichiarandosi colpevole di uno dei 18 capi di accusa che pendevano sulla sua testa: quello relativo alla rivelazione di materiale classificato americano. Il tutto rientrava in un accordo con il Dipartimento di giustizia Usa. Una scelta obbligata - come vedremo - che ha salvato Julian, ma non il giornalismo.
Le autorità americane, infatti, gli hanno imposto di "intraprendere tutte le azioni di sua competenza per far rientrare negli Stati Uniti (consegnare, ndr) o distruggere le informazioni non pubblicate in suo possesso, custodia o controllo, o quelle di WikiLeaks o di qualsiasi affiliato - si legge nell'accordo firmato -. L'imputato accetta inoltre che, qualora l'obbligo di cui sopra gli richieda di dare istruzioni al/ai redattore/i di WikiLeaks di distruggere tali informazioni o di farle distruggere in altro modo, egli fornirà agli Stati Uniti (o farà in modo che venga fornito agli Stati Uniti) un affidavit giurato che confermi l’istruzione data e che, in buona fede, cercherà di facilitare il rispetto di tale istruzione prima della sentenza".
Dunque, WikiLeaks va archiviato e con essa vanno distrutti i cablo (documenti, ndr) non pubblicati. Tra questi “ci sono 15mila file degli Afghan War Logs che Julian Assange e WikiLeaks misero da parte per proteggere nomi potenzialmente a rischio - ha scritto su X Stefania Maurizi, giornalista de Il Fatto Quotidiano che per anni ha lavorato con Assange -. Anche se non ricordo esattamente quanti file, so per certo che c'è documentazione sulla Folgore in Afghanistan”.
Non solo. Washington ha imposto al giornalista di "rinunciare anche a tutti i diritti, fatti valere direttamente o da un rappresentante, di richiedere o ricevere dagli Stati Uniti qualsiasi documentazione relativa al Dipartimento di Giustizia degli Stati Uniti d'America per quanto riguarda le indagini penali, l'estradizione e/o il procedimento giudiziario nei confronti dell'imputato, ivi compreso senza limitazione alcuna, qualsiasi documentazione che possa essere richiesta ai sensi del Freedom of Information Act (Foia)" e a non promuovere azioni legali o richieste di risarcimento. Tradotto, Assange non potrà cercare informazioni sul suo caso giudiziario.
Stella Moris Assange © Imagoeconomica
In tutto ciò, gli Stati Uniti hanno ammesso che "non hanno identificato alcuna vittima che si possa qualificare (come avente diritto, ndr) a un risarcimento individuale” per la rivelazione dei documenti segreti. Dunque, nessuna vittima da risarcire. Una frase breve che però fa cadere per intero la macchina del fango che Washington ha costruito contro il giornalista dicendo che le sue pubblicazioni mettevano a repentaglio la vita dei soldati Usa schierati in Afghanistan e Iraq. Quell’accusa gli costò l’imputazione di spionaggio sulla base dell’Espionage Act, una legge americana del 1917 che non fa alcuna distinzione tra le spie, che passano informazioni segrete al nemico, e i giornalisti che li pubblicano per rivelare atrocità all’opinione pubblica.
Ieri sera durante la conferenza stampa tenutasi a Canberra (Australia) Stella Moris Assange, moglie ed ex avvocatessa di Julian, ha annunciato che proverà ad ottenere la grazia per lui. Resta però il fatto che in questo momento Assange si è dichiarato colpevole davanti alla giustizia statunitense. Ma può essere considerato tale?
È vero, questo patteggiamento potrebbe essere usato in futuro contro altri giornalisti d’inchiesta, anche se ha salvato Julian Assange. Prima di pensare a questo, però, è bene porsi alcuni interrogativi. Ad esempio, la comunità internazionale cos’ha fatto in questi anni? Cos’hanno fatto gli istituti legislativi super partes che dovrebbero - almeno sulla carta - tutelare i diritti umani? Perché non ci sono stati partiti o governi europei capaci di interpretare il sentimento popolare di solidarietà nei confronti di Julian che ha invaso le piazze più importanti del mondo?
Julian Assange, la sua famiglia, WikiLeaks, sono stati lasciati soli. Abbandonati a loro stessi. Difesi “solo”, si fa per dire, dalle migliaia di persone che hanno manifestato e protestato per quasi 15 anni in loro difesa. Perché nessun governo ha avuto il coraggio, la forza e la volontà di contrastare il colosso statunitense con sanzioni, ad esempio, affinché ritirasse le accuse nei confronti del giornalista australiano.
Così facendo Assange è stato costretto - di fatto - a patteggiare per porre fine alla detenzione illegale nel carcere di Belmarsh in cui era rinchiuso da oltre 5 anni, in una cella di 2x3 metri e isolato 23h al giorno in aperta violazione con il diritto internazionale. Solo patteggiando ha potuto scongiurare il pericolo di essere estradato in Usa, dove avrebbe potuto scontare fino a 175 anni di carcere presso l’ADX Florence, il carcere più duro degli Stati Uniti con un concreto pericolo di torture psicologiche. Un luogo “non fatto per l’umanità”, come lo ha descritto l’ex direttore della prigione Robert Hood.
Solo così ha potuto riscoprire la libertà: dichiarandosi colpevole. Mentre i veri criminali di guerra, i veri colpevoli, sono ancora a piede libero e non hanno fatto un giorno di carcere.
Una bella lezione di democrazia.
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