I giovani scendono in piazza assieme a sindacati e associazioni
Un grido si leva dalla folla riunita sotto l’Albero Falcone: Traditori! Traditori! Fuori la mafia dallo Stato. E’ appena trascorso il minuto di silenzio in memoria del giudice Giovanni Falcone, della moglie Francesca Morvillo e degli agenti di scorta, Antonio Montinaro, Vito Schifani e Rocco Dicillo.
Contro chi è rivolto questo epiteto?
Contro quei rappresentanti delle istituzioni presenti sul palco, come il sindaco di Palermo Roberto Lagalla e il presidente della regione Sicilia Vito Schifani, che da una parte commemorano il giudice ucciso a Capaci 32 anni fa e dall’altra accettano l’indecente sostegno di condannati per mafia, Totò Cuffaro e Marcello Dell’Utri. Contro chi a colpi di riforme depotenzia gli strumenti in mano a magistrati ed investigatori nel contrasto a mafia e corruzione.
Contro chi non ha detto nulla, lo scorso anno, mentre tanti cittadini, studenti, uomini e donne venivano colpiti con i manganelli. Contro le ipocrisie di Stato di chi cerca di normalizzare il fenomeno mafioso.
La mafia ha perso e noi abbiamo vinto: questo è lo slogan tanto caro a chi a distanza di oltre trent'anni vorrebbe chiudere definitivamente la questione delle stragi del 1992 - '94; per rassicurarsi usano il celeberrimo mantra 'è stata solo mafia' ma nessuna traccia di fiancheggiatori istituzionali, di mandanti occulti, di tradimenti, nessuna presenza esterna.
Tutte questioni sommerse dalla retorica di Stato alimentata, purtroppo, anche dalla Fondazione Falcone.
Da oltre trentadue anni lo Stato ignora le richieste di verità e giustizia sulla strage di Capaci. Una strage, ricordiamo, su cui non è stata fatta ancora piena luce. Ma mentre la cloaca dei 'normalizzatori' preme affiché tutto venga messo in cantina e dimenticato centinaia di cittadini sono scesi tra le strade di Palermo ancora una volta.
Il corteo, promosso dal Coordinamento antimafia assieme ad altre realtà sociali di Palermo, si è aperto con la raffigurazione della premier Meloni che si copre il volto tirando su la giacca e quattro poliziotti in tenuta antisommossa e ‘armati’ di finti manganelli. "Presidente Meloni - si legge nel manifesto - i vostri manganelli non garantiscono ordine pubblico ma sono abusi di potere".
"Con questo gesto vogliamo rappresentare tutte le repressioni di cui i ragazzi come noi sono stati vittime negli ultimi tempi - ha detto Marta Capaccioni del collettivo Our Voice - e ogni volta la premier si è schierata con le forze dell'ordine e ha fatto finta di non sapere e non vedere. Denunciamo anche la repressione avvenuta ai nostri danni lo scorso anno, quando il nostro corteo pacifico e autorizzato è stato bloccato. Abbiamo appreso da 'Repubblica Palermo' che i mandanti esterni di quell'azione sarebbero stati il sindaco Lagalla e la 'Fondazione Falcone' - ha aggiunto -, e noi oggi pretendiamo risposte". Si capisce subito che si è trattata di una iniziativa dal tono certamente diverso dalle altre commemorazioni antimafia 'da palazzo' promosse nella giornata odierna.
Noi “dall’antimafia vogliamo coerenza, dalle parole ai fatti. Questo è il terreno che ci divide” ha detto Mario Ridulfo, segretario generale della Cgil Palermo, all’ombra dei Quattro Canti.
Verso l'Albero Falcone
Il corteo è avanzato lungo il centro. Da via Maqueda fino a via Notarbartolo.
Tra i partecipanti anche la segretaria del Partito Democratico Elly Schlein che ai nostri microfoni ha dichiarato: "Dobbiamo continuare a lottare per la verità e per la giustizia. Lo dobbiamo fare per tutte le cittadine e i cittadini perché è una battaglia per la dignità della Repubblica e dello Stato”.
Al corteo erano presenti anche Luisa e Giovanni Impastato, nipote e fratello di Peppino Impastato, simbolo dell’antimafia e della lotta sociale.
La sua passione di attivista ha portato alla consapevolezza che oggi non si può più parlare di lotta alla mafia senza affrontare anche la questione sociale: l'impoverimento delle famiglie, con un tasso di disoccupazione del 22% in città, le stragi sul lavoro, la privatizzazione della sanità e la piaga della tossicodipendenza, che miete centinaia di vittime tra i giovani di Palermo. Questa lotta è "intersezionale" e abbraccia temi che vanno oltre i confini nazionali, come il genocidio in corso in Palestina. Anche la guerra è una forma di mafia, e per questo è necessaria un'azione che non si conformi a schemi preconfezionati.
“Il vero movimento antimafia non è stato mai conformista” ha detto Fausto Melluso ricordando che quello che sta avvenendo oggi nella politica non ha nulla a che fare con la visione rivoluzionaria voluta dal giudice Falcone.
Il corteo si è poi fermato in va Notarbartolo e l'attivista di Our Voice Marta Capaccioni ha preso la parola: "Siamo qui sulle strade di Palermo contro le parate dell'ipocrisia e del tradimento. Una passerella ipocrita c'è stata stamane a Palazzo Jung con Maria Falcone, attorniata da traditori delle istituzioni. L'anno scorso non ci hanno fatto arrivare all'Albero Falcone, usando la forza, tradendo ancora una volta Giovanni Falcone e Paolo Borsellino. Stamane Maria Falcone ha detto che i giovani non hanno bisogno di parole, ma di emozioni. Noi le rispondiamo che abbiamo bisogno di verità".
“Per troppo tempo sotto quell'Albero si è taciuto sulle complicità di Stato dietro alla strage di Capaci e sulla Trattativa Stato - Mafia che resta un fatto storicamente accertato da sentenze definitive. Si è taciuto sui mandanti esterni dietro la strage; gli stessi che ha cercato per trentacinque anni Vincenzo Agostino chiamandoli 'i pupari'".
"La nostra - ha continuato - è una resistenza antimafia. Ma un anno fa siamo stati fermati da tre cordoni delle Forze dell'Ordine. È importante ricordarlo, perché quella repressione oltre a sconvolgere una nazione intera, ha colpito i nostri corpi e di recente, il 25 febbraio 2024, abbiamo appreso da 'Repubblica Palermo' che i mandanti esterni di quell'azione sarebbero stati il sindaco Lagalla e la 'Fondazione Falcone', i quali avrebbero dato l'input di non far arrivare il nostro corteo sotto il palco per evitare fischi e contestazioni alle autorità". "Un'affermazione che ad oggi non è mai stata smentita né dalla Fondazione Falcone né da Lagalla. E che quindi li rende complici di quello che è successo l'anno scorso", ha dichiarato.
"Abbiamo chiesto spiegazioni" ha continuato l'attivista Jamil El Sadi, "ma hanno rispondo con l’omertà e il silenzio tipiche della mafia e non con l’onestà di Giovanni Falcone”.
Dopo il silenzio e un lungo applauso alle vittime della strage di Capaci, alle 17.58, ora dell'eccidio, dal corteo si sono sollevati i cori in direzione del palco "Fuori la mafia dallo Stato" e "Traditori!".
Si chiude così questo 32esimo anniversario. Rappresentazione delle due differenti anime della memoria. Una viva, contestatrice e rivoluzionaria. L’altra desolante e ipocrita rappresentata dalla passerella istituzionale a Palazzo Jung.
Grazie ‘Fondazione Falcone’ per le passarelle del nulla
In poco più di una mattinata i rappresentati dell'antimafia di palazzo si sono riempiti la bocca di parole come “legalità”, “giustizia”, “senso del dovere”, "memoria" e via elencando.
La presidente Maria Falcone ha dichiarato non voler credere che dietro la strage "ci sono poteri dello Stato" perché "io amo lo Stato italiano e non posso pensare che alcuni nelle istituzioni hanno tramato contro Giovanni".
Eppure molti fatti storici indicano chiaramente che alcuni 'pezzi di Stato' volevano la morte di Falcone e l'oblio di quanto aveva scoperto.
Non si può dimenticare, come ha ricordato pochi giorni fa Pino Aralcchi su Report, che Falcone aveva capito i collegamenti tra i servizi segreti, gli apparati paramilitari della Gladio e la mafia.
Non si può dimenticare che Falcone disse a Paolo Borsellino che, una volta ottenuto il posto di Procuratore Nazionale Antimafia avrebbe potuto riprendere le indagini sull'omicidio di Piersanti Mattarella e scoperchiare quell'intreccio fatto mafia e Stato che stava dietro il suo omicidio.
Non si può dimenticare che furono proprio i grandi potentati della magistratura ad aver ostacolato in tutti i modi Giovanni Falcone, bollandolo come giudice 'sceriffo' e affetto da manie di protagonismo.
E poi ancora: chi trafugò i diari e i database di Falcone al suo ufficio al ministero se non uomini dello Stato?
Tutte queste cose sono sparite dal racconto ufficiale del 23 maggio. Ma gli alfieri della 'normalizzazione' sono riusciti a fare di meglio. Sono riusciti a portare sul palco allestito alla Kalsa i campioni della nuova restaurazione: il ministro della giustizia Carlo Nordio, il ministro dell'interno Matteo Piantedosi.
Quest’ultimo non ha ancora risposto alle interrogazioni parlamentari sulle manganellate ricevute dagli studenti nel 2023. Mangannellate che si ripetono sistematicamente ogni volta che studenti e studentesse esprimono il proprio dissenso contro il genocidio in corso a Gaza.
Nordio, invece, questa mattina il ministro della giustizia ha dichiarato che si dovrebbero fare "santi" Falcone e Borsellino. Parole ipocrite dette mentre promuove una riforma della giustizia che smantella le leggi antimafia in nome di un 'peloso garantismo': la legislazione sui pentiti, l'abolizione de facto delle intercettazioni e così via.
Anche così si tradisce la memoria di Giovanni Falcone.
Fotoreportage © Paolo Bassani
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