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Nel libro di Sabrina Pisu la scelta di fare il magistrato “nata dal bisogno di voler creare bellezza e armonia”

«Nel mio piccolo anche io, insieme a mio marito Giovanni, voglio contribuire al cambiamento della società partendo dai piccoli, dalla loro educazione per dargli una seconda possibilità attraverso lo studio, la cultura, la comunità, le cose belle che ci sono nella vita. Molti mi dicono che sono “folle” a sposare Giovanni Falcone, perché ogni giorno viviamo nella paura che una bomba ci possa far esplodere da un momento all’altro, ma io non ho paura, perché ho scoperto l’amore vero per la mia famiglia, il mio lavoro e per il dovere che ogni giorno compio fino alla fine. Sono Francesca, una donna semplice che, come tante altre donne, lotta ogni giorno per una società migliore e più giusta».

A scriverlo è Benedetto, che frequenta la 2a A di una scuola media di Monreale che porta il nome di questa straordinaria magistrata. Nell’elaborato di un bambino di 12 anni vibra forte la speranza che non tutto è perduto. Una speranza che brilla negli occhi della piccola Sofia, 4 anni, che frequenta la stessa scuola, ma alla materna. E’ Sabrina Pisu a riportarlo con grazia nel suo splendido libro “Il mio silenzio è una stella” (Giulio Einaudi ed.). L’autrice entra in punta di piedi nella vita umana e professionale di Francesca Laura Morvillo riuscendo a trasmettere l’essenza di questa grande donna. E lo fa con tanta umiltà, ma anche con estremo rigore, basandosi su atti ufficiali, resoconti fedeli e toccanti testimonianze di chi l’ha amata.

“La terra si squarcia – scrive l’autrice – per l’esplosione di una carica di 572 chili di tritolo che viene fatta saltare sotto un condotto vicino allo svincolo di Capaci: il km 4+773 dell’autostrada erutta come un vulcano in quel pezzo di terra che è Isola delle Femmine. (…) Francesca Morvillo, come tutti quelli che passano su quel tratto di autostrada, pochi secondi prima ha spinto lo sguardo all’orizzonte disegnato dal monte Pellegrino, un calcare grigio e nudo, senza alberi, solo un po’ di erba e muschio qua e là, come scrive Johann Wolfgang Goethe, «non è possibile descrivere a parole la bellezza della sua forma». E in lontananza, annunciato con un tratto tenue come pastello, il profilo dell’isola di Ustica. Ma non c’è più bellezza ora, il sole è stato oscurato da una grande nuvola nera che ha sputato una pioggia di detriti; il tritolo apre la terra, l’autostrada è squarciata per cento metri. La mafia vuole morto Giovanni Falcone, la mafia insieme a persone rimaste ancora oggi senza nome, senza occhi”. I cosiddetti mandanti esterni. Quelli che hanno armato il braccio di Cosa Nostra per fare le stragi del ‘92/’93 (e non solo), che entrano ed escono nei processi sullo stragismo di Stato. E che restano impuniti. Per lo meno fino a quando certe sentenze – a dir poco oscene – continueranno a permetterglielo.


falcone morvillo div

Una giudice e maestra

Una dopo l’altra emergono nel libro le eccellenze professionali di Francesca Morvillo. Che, dopo un primo incarico al Tribunale di Agrigento, chiede di essere assegnata come sostituto procuratore al tribunale dei minorenni di Palermo, dove rimane 15 anni, per poi divenire consigliera di Corte d'Appello per due anni prima di venire assegnata ad altri incarichi. Nel solo 1990 deposita 767 sentenze penali, il numero più alto tra i suoi colleghi della Terza sezione penale.

Ma c’è un aspetto di cui poco si parla, ed è la sua propensione all’insegnamento e soprattutto alla comprensione profonda e autentica dei giovani. Un’inclinazione che la porterà alla “Scuola primaria centro di assistenza Giovanni Pascoli”. E’ qui che, dopo aver ottenuto l’abilitazione magistrale nel settembre del 1963, Francesca Morvillo viene a insegnare.

“È stata maestra dal 1° novembre del 1965 al 30 giugno del 1969 – racconta l’autrice – come volontaria al doposcuola pomeridiano di questa scuola primaria che si trova in piazza Zisa, nel quartiere popolare della Zisa, a Palermo, dove all’epoca andavano i figli dei detenuti, per evitare che finissero in mezzo alla strada”. Si tratta di una scuola di tipo particolare istituita dal Patronato, un’istituzione parallela alla Procura della Repubblica “per l’assistenza ai liberati dal carcere e ai figli dei reclusi a cui veniva dato ascolto, sostegno scolastico e un pasto”.

Francesca Morvillo “decide di oltrepassare quei confini sottili, spesso invisibili a Palermo, tra la luce e il buio, per andare a conoscere le anime segrete e sofferenti della città. Sente, forse, di avere un debito, lei che ha avuto la fortuna di nascere nella famiglia giusta, verso quei minori che non hanno nessuna colpa. Lei ha visto con i suoi occhi tanti bambini vivere e imparare a sopravvivere per strada dove, come diceva don Pino Puglisi, «imparano solo la legge della delinquenza: scippi, furti» che spesso sono fatti «con il permesso di»”. L’autrice racconta quella che era “un'idea di bellezza” di Francesca Morvillo “che credeva fosse possibile, e doveroso dare un orizzonte diverso a questi ragazzi. Un avvenire costruito a scuola, luogo in cui far crescere una nuova coscienza per risvegliare Palermo dal sonno civile”. “Francesca – scrive – si muove sull’esempio di Rocco Chinnici che, animato da questa speranza, già nei primi anni Sessanta aveva spesso portato sua figlia Elvira a giocare con la bambina di una madre detenuta nel carcere adiacente alla Pretura dove lui lavorava”. Nelle parole di Sabrina Pisu sembra quasi di rivedere lo sguardo di questa magistrata rivolto a quei ragazzi. “C’è profonda umanità e desiderio di comprendere la realtà, che sono l’unico punto di partenza per imprimere un cambiamento, nel modo in cui lei si avvicina a questi bambini sfortunati. Nella sua visione, insieme alla scuola, era fondamentale anche la presenza di presidi per avviare dei progetti educativi sul territorio, nei quartieri più difficili, per non abbandonare bambini già nati soli, ostaggi di povertà e crimine”. Nelle parole dell’amica e collega Maria Teresa Ambrosini è racchiusa la profondità della scelta che compie Francesca Morvillo. «L’esperienza vissuta con i piccoli svantaggiati dalla detenzione del padre la portò a scegliere le funzioni di giudice minorile, aiutandola nell’approccio con i ragazzi e nella comprensione della loro personalità». Dal 1972 è quindi sostituto procuratore presso il Tribunale per i minorenni di Palermo. Il 27 gennaio di quell’anno entra nel carcere minorile del Malaspina dove rimarrà fino al 1987, compiendo 27.258 istruttorie.


morvillo alfredo francesca

Francesca e il fratello Alfredo Morvillo, il secondo da sinistra


Al Malaspina

«Per tanti anni mia sorella è stata la Procura per i minorenni di Palermo, perché era l’unico sostituto. Tutto il lavoro, il diritto minorile penale e civile, lo faceva lei da sola. Lei amava profondamente quello che faceva e per questo suo enorme impegno era amata da tutti», racconta con malcelata nostalgia suo fratello Alfredo, ex procuratore di Trapani, oggi in pensione.

Quando Francesca Morvillo arriva al Malaspina, Palermo è “città di lutti e funerali”. Solo sette mesi prima, il 5 maggio 1971, sono stati uccisi il magistrato Pietro Scaglione, procuratore capo di Palermo, insieme all’agente Antonio Lorusso.

L’ex direttore del carcere minorile, Michelangelo Capitano, ricorda la particolarità del suo modo di interagire con i giovani detenuti: «Era molto accogliente con loro e agiva sempre per il loro bene. Se c’era qualche ragazzo che voleva parlare, anche per cose diverse dal reato, lei era disponibile, si fermava anche nei corridoi. Lo faceva con calore umano e con grande semplicità, perché lei era così anche con noi. C’erano altri magistrati, con meno carisma ed esperienza, che si ergevano a grandi giudici. Lei, invece, era sempre molto umile, ogni tanto organizzavamo delle cene al Malaspina e non aspettava mai che qualcuno le togliesse il piatto, si alzava e aiutava sempre a sistemare».

Altrettanto pregnante ed esaustivo è il ricordo della magistrata Amalia Settineri, che è arrivata alla Procura per i minorenni nel 1985 e ha lavorato per due «intensi anni» con Francesca Morvillo. «C’era in lei una grande pulsione morale, la sua scelta di fare il magistrato nasceva dal bisogno di voler creare bellezza e armonia. Si è impegnata con tutta se stessa affinché la società migliorasse, ha combattuto come donna e come magistrata. Ha affrontato tutti i sacrifici che si presentavano, compreso rinunciare a una vita normale, perché era convinta che la vita dovesse essere vissuta in profondità, affinché dopo rimanesse qualcosa, anche solo una briciola di positività».

Quella “positività” all’ennesima potenza che ritroviamo nelle parole di Maria Vittoria Randazzo, magistrata dal 1979, che ha sostituito per un mese Francesca Morvillo come sostituto procuratore della Repubblica presso il Tribunale per i minorenni di Palermo nel 1985, pochi giorni dopo il deposito della monumentale sentenza-ordinanza di rinvio a giudizio “Abbate Giovanni + 706”, in vista del Maxiprocesso a Cosa Nostra.

La Randazzo racconta come Francesca Morvillo cercasse di entrare sempre in contatto profondo con i giovani: «Era interessata al loro recupero, a fargli cambiare vita, non alla punizione, loro lo capivano e per questo si faceva amare dai ragazzi. Aveva la capacità di entrare in sintonia con le persone, farle sentire comprese e non giudicate, sapeva applicare molto bene le norme a questi ragazzi».


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Una stella

«Sono arrivato in contemporanea alle autoambulanze con a bordo mia sorella Francesca e Giovanni, lei era ancora viva, ma non era cosciente. Ero accanto a lei, l’ho vista per degli attimi quando l’hanno portata in camera operatoria. Aveva una frequenza cardiaca bassissima e lesioni interne, tentarono l’impossibile…», racconta suo fratello Alfredo Morvillo. I minuti e le ore che seguono sono un crescendo di angoscia, speranza, e poi ancora disperazione e sconfitta. Che l’autrice ricostruisce con grande umanità, attimo per attimo, portando il lettore a immergersi in un fitto resoconto che ha il sapore amaro di un film che nessuno avrebbe mai voluto vedere.

Francesca Morvillo muore a 46 anni (alla stessa età che aveva suo padre Guido quando morì), alle 22.58 del 23 maggio 1992, mentre è ancora sottoposta a intervento chirurgico. Giovanni Falcone era morto tre ore prima. I tre agenti della scorta di Falcone: Rocco Dicillo, Vito Schifani e Antonio Montinaro vengono “tirati fuori a pezzettini” dalla loro auto catapultata lontano dal cratere provocato dai 572 chili di tritolo. L’autista di Falcone, Giuseppe Costanza, è ferito gravemente, ma si salva perché era seduto nei sedili posteriori, dopo che il giudice aveva chiesto di guidare personalmente accanto alla moglie. Gli altri tre agenti Angelo Corbo, Paolo Capuzza e Gaspare Cervello sono feriti, ma miracolosamente sopravvissuti. Tutt’attorno c’è l’inferno.

Speranza, riscatto e ricerca della verità

“Se non avessi la speranza nel risveglio delle nuove generazioni, nel riscatto di questa terra sarei distrutta e non avrei la forza per andare avanti. Ed è proprio il riscatto che sto vedendo nei giovani che reagiscono contro la mafia in maniera decisa e motivata a darmi speranza. Nel frattempo noi dobbiamo continuare a cercare la verità, con tutte le nostre forze. Dobbiamo continuare a combattere”, anche per Francesca Laura Morvillo. Le parole immortali dell’avvocatessa Mimma Tamburello, che ha conosciuto la Morvillo nel dipartimento di Diritto privato dell’Università di Palermo dove lei era ricercatrice, rimangono attuali. Mimma Tamburello se ne è andata nel 2013 dopo una lunga malattia, ma è come se il ricordo della sua grande amica continuasse a vibrare nelle pagine del libro di Sabrina Pisu. Che, mentre la piccola Sofia indica con la mano la sua scuola, pensa: “ha gli occhi di Francesca”.

Realizzazione grafica by Paolo Bassani

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