Il sostituto procuratore nazionale antimafia: “Magistrati pretendono posizioni più forti”
"Ritengo che la magistratura associata non abbia reagito adeguatamente alla riforma Cartabia. Pur rispettando i colleghi dell’Anm, a partire dal presidente Santalucia, credo sarebbe un errore continuare su questa linea di dialogo. Molti magistrati pretendono posizioni più forti su temi come l’abolizione dell’obbligatorietà dell’azione penale, la separazione delle carriere, l’introduzione dei test psicoattitudinali". Servono "proteste più evidenti, come lo sciopero. Non dobbiamo avere paura di denunciare quello che sta accadendo: abbiamo giurato sulla Costituzione e abbiamo il dovere di parlare. Anche per un debito di memoria di tanti uomini dello Stato caduti per applicare i principi della Carta".
Sono state queste le parole del sostituto procuratore nazionale antimafia e già consigliere togato del Csm Nino Di Matteo intervistato dal 'Fatto Quotidiano'.
Il magistrato non ha partecipato al 36esimo congresso dell'Associazione Nazionale Magistrati che si è svolto a Palermo con l'intento di 'dialogare' con quella stessa classe politica (ministro della Giustizia Nordio in testa) che sta cercando di smantellare la magistratura stessa e mettere al bando gli strumenti investigativi più elementari, "da una parte limitando l’incisività delle indagini sui reati tipici dei colletti bianchi. Dall’altra nascondendo fatti rilevanti, grazie a un bavaglio sempre più stretto all’informazione e ai pm". "Mai come in questi anni abbiamo capito che mafia e sistema corruttivo sono due facce della stessa medaglia - ha detto Di Matteo - invece di sparare, da almeno due decenni le mafie preferiscono corrompere, condizionare le attività delle pubbliche amministrazioni. Quindi spuntare le armi dei pm nella lotta alla corruzione vuol dire indebolire la lotta alla mafia. Chiunque abbia un minimo di esperienza e di onestà intellettuale lo sa. Stiamo vivendo un momento triste".
Non per niente l'attuale capogruppo della Lega alla Camera dei deputati Riccardo Molinari, a In mezz’ora, su Rai Tre, ha invocato il controllo politico sulle toghe: “Servirebbe un ruolo diverso del pubblico ministero, che in altri Paesi risponde alle direttive del ministro della Giustizia. Qua solo accennarlo diventa un attacco alla magistratura: non è così, si vuole solo risolvere il problema”. C’è un problema, dunque, e per Molinari i pm devono dipendere direttamente dal Guardasigilli.
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Di Matteo a Giuseppe Pipitone ha detto di non essere sorpreso delle parole dell'esponente leghista: "Finalmente alcuni esponenti della maggioranza hanno gettato la maschera e parlano espressamente di controllo dell’esecutivo sui pm" ha detto il magistrato palermitano ricordando che la riforma Cartabia e quelle del Governo Meloni "vanno nella stessa direzione. Ed è quella indicata dal primo governo Berlusconi, che a sua volta ha molti punti di contatto con il Piano di Rinascita democratica di Licio Gelli. Si punta a creare un sistema Giustizia improntato al doppio binario: un diritto penale minimo per i privilegiati e uno massimo per gli altri. Una giustizia classista con uno scudo per il potere".
Responsabilità politica
"Quando un’inchiesta su politica e criminalità accerta fatti rilevanti, si parla sempre di giustizia a orologeria. Oppure si chiede di aspettare il terzo grado di giudizio. Ma ci sono condotte che dovrebbero subito far scattare l’allontanamento dalla vita politica del soggetto coinvolto. Anche se penalmente non rilevanti. E invece oggi molti personaggi che hanno avuto consapevoli rapporti con la mafia continuano a essere protagonisti della vita pubblica" ha detto Di Matteo al 'Fatto' sottolineando di poter fare "almeno una decina di nomi. I rapporti tra parte della classe dirigente e i mafiosi sono molto diffusi. Ma per combattere una situazione simile occorre una magistratura credibile, che abbandoni ogni forma di collateralismo alla politica".
Ancora è viva nella mente le chat del cosiddetto 'scandalo Palamara' che hanno permesso di ricostruire il giro di spartizione delle carriere apicali della magistratura tramite un sistema parallelo a quello legale.
Tuttavia sin da subito era partito "un progetto di rivalsa nei confronti della magistratura, che covava in gran parte della politica, sin dai tempi di Tangentopoli, delle grandi inchieste su mafia e politica dopo le stragi. L’obiettivo è prevenire che in futuro si possano ripetere inchieste simili".
Un vero e proprio "progetto di vendetta" scatenato su quei magistrati che "su certe inchieste hanno preferito seguire criteri di opportunità politica".
Fonte: ilfattoquotidiano.it
Foto di copertina © Paolo Bassani
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