di Roberto Scarpinato*
Siamo in una fase drammatica della storia del nostro paese.
Drammatica perché tutto è in gioco e tutto rischia di essere perduto con una accelerazione senza precedenti.
E’ in gioco la Costituzione antifascista del 1948, fondamento della democrazia e baluardo insostituibile della difesa dei diritti fondamentali che da essa derivano.
La maggioranza di governo composta da Fratelli di Italia, partito politico di matrice apertamente neofascista e da Forza Italia e Lega espressione di un blocco sociale da sempre in larga misura insensibile o peggio ostile ai valori costituzionali, ha in cantiere riforme dirette a stravolgere la Costituzione, abbattendo con il premierato il pilastro fondamentale della divisione e del reciproco bilanciamento dei poteri dello stato, ed abbattendo con la riforma della parte della Costituzione che riguarda l’ordine giudiziario, il pilastro della indipendenza della magistratura dal potere politico.
Un progetto organico di ampio respiro, diretto a determinare la transizione verso una nuova organizzazione dello Stato con la forma di una piramide nella quale tutti i poteri - quello esecutivo, quello legislativo e quello giudiziario - si concentrano nel vertice, nelle mani di un uomo o una donna al comando e di una ristretta oligarchia.
Un processo di oligarchizzazione del potere politico che rispecchia e segue a ruota il processo di oligarchizzazione del potere economico, che già da tempo si è consolidato nella nostra società nella quale ricchezza e potere si concentrano sempre più nei piani alti della piramide sociale, mentre il ceto medio scivola di anno in anno verso i gradini più bassi della scala sociale, e cresce a dismisura la massa di vecchi e nuovi poveri.
L’oligarchia economica che detiene oggi il potere reale e detta le regole del gioco, vuole liberarsi degli impacci della democrazia parlamentare, dei limiti derivanti dai controlli della magistratura e della stampa indipendente, vuole le mani libere per accelerare la costruzione di un nuovo ordine costituzionale più consono ai suoi interessi e che rispecchi i nuovi rapporti sociali di forza.
E’ in gioco l’Unità nazionale.
E’ in dirittura di arrivo la riforma sull’autonomia differenziata, detta Spacca Italia perché destinata a spaccare lo Stato nazionale in 20 piccoli microstati, ai quali verranno trasferiti ben 23 materie e 550 funzioni prima di competenza dello Stato: dalla sanità, alla scuola pubblica, all’energia, alle infrastrutture.
Le regioni potranno decidere di privatizzare la sanità, potranno fare concorsi per la scuola pubblica riservati solo agli insegnanti residenti, potranno decidere di vendere a privati le grandi infrastrutture e molto altro ancora.
Una balcanizzazione del paese motivata solo da ragioni di miope egoismo economico. Hanno deciso che le risorse fiscali prodotte nel centro Nord devono restare in quei territori e non devono essere redistribuite in campo nazionale per superare le disuguaglianze con il Sud, per alimentare politiche di coesione e per costruire un paese unito, più forte e competitivo.
Una cancellazione definitiva dall’agenda politica della Nazione della questione meridionale, delle politiche di coesione Nord – Sud.
La fine della solidarietà nazionale. Un taglio di risorse che la Ragioneria Generale dello Stato ha calcolato per la Sicilia nella perdita di un miliardo e trecento milioni di euro ogni anno.
Una pugnalata al Sud e nello stesso tempo un danno per l’intero paese.
Invece di ridurre i divari tra Nord e Sud e rafforzare così la forza di tutto il paese mettendo in sinergia le risorse di un centro Nord punta di lancia per i mercati del centro Europa e di Sud che costituisce una straordinaria piattaforma di proiezione in tutta l’area strategica del Mediterraneo, si spacca il paese e si cristallizzano le disuguaglianze.
In questo contesto di balcanizzazione del paese e di destrutturazione della Costituzione, è in gioco anche la tenuta e il senso stesso della legalità.
La legalità giorno dopo giorno sta cambiando il suo Dna, trasformandosi da legalità costituzionale che attribuisce e garantisce diritti, in una legalità che al contrario toglie i diritti, li riduce a gusci vuoti, a diritti di carta.
Tempo fa, in occasione di un convegno sulla legalità, un giovane del pubblico prese la parola e rivolgendosi a me, esordì dicendo:
“Signor giudice ho 25 anni vengo da una famiglia molto povera. I miei genitori si sono sacrificati perché io potessi conseguire una laurea in economia e commercio. Dopo che mi sono laureato ho cercato invano un lavoro, così mi sono rassegnato a lavorare in un call center con un contratto da precario a termine. Mi danno 700 € al mese, non mi pagano gli straordinari sono costretto a lavorare anche il sabato e a volte anche la domenica, ma non posso rivendicare i miei diritti perché altrimenti grazie al Jobs Act mi licenziano oppure non mi rinnovano il contratto di lavoro. La mia fidanzata vive la stessa condizione. Non possiamo costruirci una famiglia ed acquistare una casa perché quando andiamo in banca ci negano il mutuo, essendo tutte e due dei precari. So già che non avrò una pensione e non vedo alcuna speranza nel mio futuro.
“Il problema” - concluse quel giovane - “è che tutto questo è legale. Se questo e il trattamento e il destino che la legalità riserva a me e alla mia generazione, mi spiega perché la vostra legalità dovrebbe costituire per me un valore?”.
La domanda posta da quel giovane non può essere elusa.
La legalità è in crisi perché è in crisi la democrazia.
La legge sta tornando a essere quella che era prima dell’avvento della Costituzione: la legge del padrone che legittima lo sfruttamento dei lavoratori e li rende ricattabili.
I diritti sono compromessi da politiche economiche classiste e antipopolari che tolgono ai poveri per dare ai ricchi, come una sorta di Robin Hood alla rovescia.
Da un lato si aumentano le tasse sul latte per i neonati, si toglie il pane di bocca a migliaia di poveri che sopravvivevano grazie al reddito di cittadinanza, presentati alla pubblica opinione come parassiti, o peggio come falliti immeritevoli di ogni considerazione, si pianifica il collasso della Sanità pubblica mediante il suo progressivo definanziamento per sostituirla con una Sanità privata riservata solo a chi potrà permettersela, e dall’altro ci si rifiuta di tassare gli extraprofitti miliardari delle banche, delle industrie petrolifere, delle armi, della farmaceutica, delle assicurazioni, decine di miliardi che potevano essere destinati ad aiutare milioni di famiglie in grave difficoltà, a finanziare la Sanità pubblica e lo Stato sociale.
E’ in gioco persino la tenuta dello Stato e la difesa dei cittadini contro l’assalto congiunto dei potenti e variegati eserciti della malapolitica, delle grandi e piccole lobbies, della corruzione e delle mafie.
Eserciti a volte in competizione tra loro nella nuova corsa all’oro dell’accaparramento dei miliardi del PNRR e dello smantellamento dello Stato sociale e della privatizzazione dei servizi pubblici, ma tuttavia sempre alleati nel disegno comune di smantellare i controlli di legalità e i poteri di indagine della magistratura.
La questione giustizia non è riducibile a problematiche di carattere tecnico giuridico o di mera razionalizzazione efficientistica delle risorse, come si vorrebbe far credere al grande pubblico.
La questione giustizia è inestricabilmente connessa alla questione democratica e alla questione dello Stato.
Politiche economiche classiste si traducono in una giustizia classista forte con i deboli e debole con i forti.
In attesa della soluzione finale che prevede tramite la riforma della Costituzione di ricondurre la magistratura sotto il controllo governativo così come era ai tempi dello stato liberale-monarchico e di quello fascista, questa maggioranza dall’inizio della legislatura, ha prodotto un ininterrotto stillicidio di nuove norme che stanno riscrivendo il sistema penale articolandolo su un doppio binario: un binario riservato ai crimini dei colletti bianchi appartenenti ai ceti superiori ed un binario destinato alla gente comune.
Il primo binario riservato ai ceti superiori viene costruito con la progressiva depenalizzazione dei reati dei colletti bianchi - come ad esempio l’abuso di ufficio, il traffico di influenza ed altri ancora - e con la contemporanea metodica progressiva castrazione dei poteri di indagine della magistratura per questa tipologia di reati.
Il loro chiodo fisso, la loro bestia nera sono le intercettazioni perché costituiscono l’unico tallone di Achille che può incastrare i colletti bianchi, perforando lo scudo impenetrabile di omertà blindata che li protegge.
Le intercettazioni sono un chiodo fisso non solo perché elevano al massimo il coefficiente di rischio penale, ma anche perché elevano il rischio di perdita di consenso elettorale, in quanto rivelano alla pubblica opinione i retroscena di una politica divenuta in larga misura cinghia di trasmissione di interessi di piccole e grandi lobby, di comitati di affari all’interno dei quali politici, imprenditori e mafiosi parlano la stessa lingua e condividono gli stessi interessi.
Da inizio legislatura si contano già tre riforme approvate ed altre due sono in dirittura di arrivo per limitare in ogni modo l’utilizzazione delle intercettazioni per i reati dei colletti bianchi.
Per ragioni di tempo, non posso entrare in dettagli tecnici, mi limito solo ad un esempio paradigmatico per darvi una idea che riguarda una modifica introdotta nell’art. 270 cpp.
A seguito di tale modifica se nel corso di una intercettazione autorizzata per un reato di mafia viene ascoltata una conversazione che riguarda un furto in un supermercato commesso da soggetti non mafiosi, quella intercettazione è utilizzabile.
Se invece viene ascoltata una intercettazione che riguarda una corruzione di dieci milioni di euro, quella intercettazione non può essere utilizzata, perché questa maggioranza ritiene che a differenza dei furti aggravati, la corruzione non rientra tra i reati gravi, qualunque sia il suo importo.
E’ in dirittura di arrivo la riforma che limita a soli 45 giorni il tempo massimo delle intercettazioni.
Un vero e proprio disarmo unilaterale dello Stato nel contrasto alla criminalità, ivi compresa la criminalità mafiosa i cui vertici hanno da tempo compreso che per arricchirsi senza rischi penali devono praticare gli stessi metodi illegali dei colletti banchi – la corruzione, l’abuso di potere, i reati economici – e riservare le attività criminali a più alto rischio penale – le estorsioni e lo spaccio di stupefacenti- alla manovalanza di estrazione popolare, trattata come carne da cannone usa e getta, gli arrestati vengono immediatamente sostituiti con altri disposti a prenderne il posto.
Queste riforme vengono vendute alla pubblica opinione come espressione di una cultura garantista da parte della stessa maggioranza che non appena si tratta di legiferare in materia di reati che riguardano la gente comune, cambia completamente registro e si trasforma in feroce giustizialista prevendendo l’uso di intercettazioni e la carcerazione a tutto spiano.
Si tratta del secondo binario di questo nuovo sistema penale classista e securitario riservato alle fasce popolari, agli immigrati, alla dissidenza sociale, alla gente comune.
Decine di nuovi reati sui quali per ragioni di tempo non posso dilungarmi, e di nuove norme che potenziano i poteri repressivi delle forze di polizia.
Mi limito a ricordare l’introduzione del reato di rave – party, cioè l’organizzazione di raduni musicali non autorizzati, che prevede l’utilizzazione delle intercettazioni anche con i trojan, le misure di prevenzione antimafia, l’arresto e pene severissime.
Da ultimo i Ministri Nordio, Piantedosi e Crosetto hanno depositato alla Camera dei deputati un pacchetto sicurezza che prevede l’utilizzazione delle intercettazioni e pene severissime per il reato di induzione all’accattonaggio.
Nello stesso pacchetto si prevedono nuove norme di criminalizzazione del dissenso politico espresso in pubbliche manifestazioni.
Questa politica criminale di stampo classista continua a riempire le carceri solo con una popolazione appartenente ai piani più bassi della scala sociale, garantendo l’impunità dei privilegiati che abitano i piani alti. Non è un caso che le carceri siano abbandonate in uno stato di perenne ed incivile degrado.
Il panorama politico e sociale che si va delineando costituisce un habitat ideale per la proliferazione incontenibile delle mafie da Sud a Nord.
Al Sud l’estensione progressiva ed il cronicizzarsi della povertà fanno si che in assenza di alternative legali, l’illegalità e l’economia criminale siano diventate per larghe fasce della popolazione una economia della sopravvivenza.
Dalle fila interminabili di poveri disposti a farsi spaccare brutalmente le ossa in cambio di poche centinaia di euro da associazioni criminali dedite alle truffe alle assicurazioni, ai venditori ambulanti abusivi, a quelli che vivono di piccoli e grandi furti, sino a interi nuclei familiari che sbarcano il lunario spacciando droga ed alla manovalanza usa e getta dedita alle estorsioni, esiste quasi una ininterrotta linea di continuità.
Una povertà che non è frutto di un destino cinico e baro, ma è il risultato della predazione ininterrotta e sistematica di migliaia di miliardi di fondi pubblici che invece di promuovere lavoro e sviluppo, finiscono nel buco nero della corruzione e dello sperpero clientelare praticate dalle classi dirigenti.
Per questo sistema di potere la povertà non è un problema ma una risorsa. Se si promuovono sviluppo e lavoro le masse popolari si emancipano dalle catene del bisogno, della sudditanza economica e sono in grado di esprimere un voto di opinione che costituisce una variabile fuori controllo.
Da qui trae origine il management del sottosviluppo che si basa sul voto di scambio cioè sull’utilizzazione delle risorse pubbliche per finanziare enormi reti clientelari che in cambio di favoritismi della più diversa specie garantiscono un voto fidelizzato nel tempo a padrini politici e mafiosi.
La macchina del voto di scambio che si era inceppata negli anni dell’Austerity a causa dei tagli lineari alla spesa pubblica, è tornata a girare a pieno ritmo grazie ai miliardi del PNRR.
Una macchina clientelare ormai generalizzata da Sud a Nord, come dimostrano le ultime inchieste penali, e che in questa legislatura la maggioranza di governo ha perfezionato in modo scientifico per evitare intoppi: la nuova legge sugli appalti ha elevato a dismisura il valore degli appalti che possono essere attribuiti con affidamento diretto senza gara a libera discrezione dei pubblici amministratori, sono stati ridotti ai minimi termini i controlli della Corte dei Conti, si stanno abolendo i reati di abuso di ufficio, di interesse privato in atti di ufficio, di traffico di influenza che costituiscono gli strumenti principali di gestione del voto di scambio, si stanno eliminando i poteri di intercettazione della magistratura.
Che fare?
Se è vero che la posta in gioco oggi è totale ed è la stessa sopravvivenza della democrazia, non è più tempo di disperdere risorse ed energie in giochi di palazzo a somma zero che non sono all’altezza della sfida dei tempi.
Io credo che tutte le forze autenticamente democratiche oggi dovrebbero fare fronte comune, costruire un cartello che ha un obiettivo prioritario e imprescindibile: la difesa senza se e senza ma della Costituzione.
La difesa della Costituzione resta l'ultima spiaggia. Il terreno elettivo della nuova resistenza.
Sino a quando questa Costituzione resterà in vita, sapremo da dove ricominciare. È come quando in un palazzo sfigurano la facciata, abbattono i tramezzi, però le fondamenta restano, se abbattono le fondamenta, non c'è più una casa comune.
La Costituzione non è soltanto la linea Maginot della resistenza democratica. È anche il faro e la bussola che indica la direzione di marcia per il futuro dell'azione politica di tutte le forze autenticamente riformiste.
Occorre prendere coscienza che il rovesciamento delle politiche economiche e sociali praticate in questi anni, indispensabile per portarci fuori da una crisi di sistema che investe tutte le relazioni umane, è organicamente connesso con la lotta per la difesa e l'applicazione della Costituzione perché il sistema sociale previsto nella Costituzione è antinomico, è incompatibile col sistema sociale al quale invece vogliono dare vita le vecchie destre antidemocratiche e le nuove destre neoliberiste.
Salvare la Costituzione, e qui concludo, significa salvare la parte migliore della nostra storia e gettare un ponte verso il futuro.
Questo è un tempo di lotta e non si può restare a guardare.
Ciascuno è chiamato a fare la sua parte per non tradire i sacrifici di tutti coloro che per dare vita a questa Costituzione e per difenderla si sono fatti uccidere. Proprio per questo motivo e con questo spirito mi sembra che il modo migliore per concludere questo mio intervento sia quello di ricordare a tutti voi le parole che furono pronunciate in memoria dei morti della Resistenza da uno dei padri della nostra Costituzione, Pietro Calamandrei, nella seduta dei lavori della costituente del 7 Marzo del 1947.
Vi leggo le sue parole: “Io mi domando, onorevoli colleghi, come i nostri posteri tra cento anni giudicheranno questa nostra Assemblea costituente. Se la sentiranno alta e solenne come noi la sentiamo oggi alta e solenne. Io credo di si. Credo che i nostri posteri sentiranno più di noi tra un secolo che da questa nostra Costituzione è nata veramente una nuova storia e si immagineranno che in questa nostra Assemblea, mentre si discuteva della nuova costituzione repubblicana, seduti su questi scranni non siamo stati noi, uomini effimeri, i cui nomi saranno cancellati e dimenticati, ma sia stato tutto un popolo di morti. Di quei morti che noi conosciamo uno a uno, caduti nelle nostre file, nelle prigioni, sui patiboli, da Matteotti a Rosselli, da Amendola a Gramsci… Essi sono morti senza retorica, senza grandi frasi, con semplicità. Come se si trattasse di un lavoro quotidiano da compiere. Il grande lavoro che occorreva per restituire all'Italia libertà e dignità. Di questo lavoro si sono riservati la parte più dura e più difficile, quella di morire, di testimoniare con la resistenza e la morte la fede nella giustizia. A noi è rimasto un compito cento volte più agevole, quello di tradurre in leggi chiare, instabili, oneste il loro sogno di una società più giusta e più umana, di una solidarietà di tutti gli uomini alleati a debellare il dolore. Assai poco, in verità chiedono i nostri morti, non dobbiamo tradirli”.
* Intervento al Convegno Nazionale “Contro mafia e corruzione” organizzato a Palermo dalla CGIL nazionale il 29.4.2024
Foto © ACFB
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