L’intero pianeta investe sempre più nell’industria bellica. È il quadro desolante descritto dall’Istituto Internazionale di Ricerche sulla Pace di Stoccolma (Sipri), secondo cui tra il 2022 e il 2023 i fondi per la difesa a livello globale sono cresciuti del 6,8% e complessivamente gli Stati hanno speso 2,44 trilioni di dollari in armi.
“L’aumento senza precedenti della spesa militare è una risposta diretta al deterioramento globale della pace e della sicurezza”, ha affermato il ricercatore del Sipri, Nan Tian, descrivendo uno scenario che non lascia molte possibilità per un’inversione di tendenza per i prossimi anni.
“Soprattutto in Europa, dove i Paesi continuano a aumentare la spesa per raggiungere l’obiettivo del 2%” ha continuato l’analista.
A trainare la mostruosa mole di investimenti nella difesa ci sono Stati Uniti e Cina con una spesa combinata che vale il 49% del totale mondiale: Washington ha destinato 916 miliardi di dollari (2,3% del Pil), mentre la Cina si ferma a 109 miliardi di dollari (6% del Pil).
Gli altri Paesi in cima alla lista sono Russia, Cina, India e Arabia Saudita. Mosca, con una stima di 109 miliardi di dollari per il 2023, ha aumentato i fondi militari del 24% rispetto all’anno precedente e del 57% rispetto al 2014.
“Nel 2023 la spesa militare russa era equivalente al 5,9% del Pil e al 16% della spesa pubblica totale, ovvero i livelli più alti registrati dalla Russia dalla dissoluzione dell’Unione Sovietica”, si legge nel documento.
Per quanto riguarda l’Ucraina, il Sipri descrive un’impennata nel bilancio della Difesa pari al 51%, raggiungendo nel 2023 i 64,8 miliardi di dollari, pari al 58% della spesa pubblica nazionale.
Sommando questa cifra ai 35 miliardi di dollari in aiuti militari, di cui 25,4 dagli Stati Uniti, Kiev arriva al 91% della spesa militare russa.
Per quanto riguarda in generale il continente europeo, secondo il ricercatore Lorenzo Scarazzato, “gli ultimi due anni di guerra in Ucraina hanno cambiato radicalmente le prospettive di sicurezza… Questo cambiamento nella percezione della minaccia si riflette in quote crescenti del Pil destinate alla spesa militare, con l’obiettivo Nato del 2% sempre più visto come una linea di base piuttosto che una soglia da raggiungere”. Già 11 Paesi dell’Alleanza hanno toccato o superato questo traguardo lo scorso anno e si stima che i membri europei della Nato hanno rappresentato insieme il 28% della spesa totale dell’Alleanza atlantica nel 2023, il livello più alto registrato nel decennio 2014-2023.
Ci sono dei Paesi che vanno in controtendenza: la spesa è diminuita in Grecia (-17%), Italia (-5,9%) e Romania (-4,7%), mentre a registrare l’incremento più alto dei fondi per difesa è stata la Polonia, con un 75% in più rispetto al 2022.
A beneficiare della crescente economia di guerra ci sono ovviamente le principali compagnie belliche. A trainare il mercato ci sono le statunitensi Lockheed Martin, Raytheon, Northrop Grumman, Boeing, General Dynamics e L3Harris Technologies, che da sole generano ricavi superiori ai 200 miliardi di dollari.
Solo Lockheed Martin nel 2023, ha registrato un fatturato di 66,3 miliardi di dollari, in aumento del 9% rispetto all’anno precedente, mentre il profitto netto è stato di 10,3 miliardi di dollari, in aumento del 12%.
Tutte le compagnie militari per avere successo nel business mondiali dipendono dalle guerre in corso, dal rischio che scoppino o persino dalla paura sottostante di un conflitto. Un discorso che allo stato attuale vale in primis per l’Ucraina: come oramai noto anche da una recente inchiesta di Foreign Affairs, una possibilità di congelare il conflitto tra Mosca e Kiev sarebbe già stata possibile 2 anni fa con il trattato di Istanbul che avrebbe garantito il ritiro russo in cambio della neutralità ucraina. Centinaia di migliaia di vite avrebbero potuto essere risparmiate ma, come riferito dall’ex premier israeliano Naftali Bennet, il capo del partito di Zelensky, Davyd Arakhamiia e dall’ex consigliere presidenziale ucraino Oleksiy Arestovych, l’opposizione dell’Occidente alla sua sottoscrizione ha trainato il Paese verso un baratro, a cui contribuiranno, evidentemente, anche i 61 miliardi di dollari di aiuti militari stanziati da Washington.
Dietro l’aumento delle spese militare non ci potranno mai essere finalità legate alla pace o allo sviluppo umano.
Ce lo ricorda anche l’Oxfam, secondo cui, solo nel 2022, il bilancio globale per la difesa era sufficiente a coprire oltre 42 volte gli aiuti richiesti dalle Nazioni Unite per fronteggiare le più gravi crisi umanitarie nel mondo (pari a 51,7 miliardi di dollari) e 11 volte l’Aiuto pubblico allo sviluppo globale (pari a 206 miliardi di dollari).
Sempre Oxford Committee for Famine Relief stima che dal 2018 al 2022 la sola spesa mondiale per l’importazione di armi sia stata in media pari a 112 miliardi di dollari all’anno, mentre ogni giorno 9 mila persone sono morte per fame a causa principalmente degli effetti prodotti dai conflitti in corso.
Per dirla con le parole del compianto Gino Strada, “ogni guerra ha una costante: il 90% delle vittime sono civili, persone che non hanno mai imbracciato un fucile. Che non sanno neanche perché gli arriva in testa una bomba. Le guerre vengono dichiarate dai ricchi e potenti, che poi ci mandano a morire i figli dei poveri”.
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