“L'inferno si è rivoltato e al suo centro, nel cuore pulsante di Gaza, ci siamo noi i dannati di un odio inumano”, scriveva Vittorio Arrigoni nel suo libro "Gaza - Restiamo umani".
A 13 anni dalla scomparsa del reporter, scrittore e attivista italiano, ucciso a Gaza a soli 36 anni da un presunto gruppo di estremisti salafiti, quelle parole risultano profetiche. E il suo monito, “restiamo umani” appare come un grido nel deserto troppo spesso ignorato. Soprattutto, dopo il genocidio in corso in Palestina che, solo dal 7 ottobre ad oggi, nella Striscia di Gaza conta più di 33,700 vittime (di cui oltre 13,800 bambini) mentre nella Cisgiordania oltre 460 (di cui 118 bambini).
Nomi, storie, vite spezzate dall’esercito israeliano in nome e per conto del progetto di pulizia etnica che fin dalla fine del 1800 ha caratterizzato il sionismo.
“Vik”, come lo chiamavano gli amici, ha sempre lavorato nelle organizzazioni non governative e nell'ambito della cooperazione umanitaria. Prima di arrivare in Palestina ha viaggiato per il mondo. A 20 anni è nell’Europa dell’est: Croazia, Russia, Ucraina, Estonia, Polonia, Repubblica Ceca. Poi il Sudamerica, in Perù, e in Africa: Ghana, Tanzania, Togo.
Vittorio aiuta nella ristrutturazione di sanatori e di alloggi per diversamente abili o senza casa, si impegna contro il disboscamento delle foreste alle pendici del Kilimangiaro e tanto altro.
Nel 2002 arriva in Palestina e successivamente nasce il suo rapporto con l’“International Solidarity Movement”. Nel 2005 il suo nome viene inserito nella lista nera delle persone sgradite ad Israele come punizione per essersi schierato contro la politica autoritaria israeliana. Gli impediscono così l’ingresso alle frontiere. Ma dopo due tentativi di ingresso nel 2005, dove viene picchiato e incarcerato, decide di entrare a Gaza via mare il 23 agosto 2008 con le navi Liberty e Free Gaza, che rompono il blocco via mare che dal 1967 Israele impone alla Striscia. E così fu.
Con gli internazionali rimasti, dell’ISM accompagna i pescatori in mare e i contadini nei campi perché la loro presenza sia da deterrente alle navi da guerra e ai cecchini sulle torrette. Poi, il 27 dicembre 2008, Israele da inizio all’operazione “Piombo Fuso”: una delle più cruente che Israele abbia mai lanciato fino ad allora. Vittorio è l’unico italiano presente nella Striscia. Ed è ovunque: a raccogliere feriti, sulle ambulanze bersagliate dai cecchini israeliani, negli ospedali. Ha visto morire gli amici e pianto le centinaia di bambini massacrati. E in tutto questo racconta i giorni della sanguinosa offensiva israeliana in articoli pubblicati da Il Manifesto, scritti in condizioni pressoché impossibili, e successivamente raccolti in un libro “Gaza - Restiamo Umani”.
Quei racconti dall’enclave, sotto le bombe, con la morte negli occhi, hanno permesso di conoscere cosa è accaduto veramente in quel fazzoletto di terra palestinese. Vittorio è ritornato nella Striscia a marzo 2010. Con i compagni dell’ISM, continuando la sua missione di attivista per i diritti umani e di testimone, continuando a scriverne sul suo blog Guerrilla Radio e su PeaceReporter. E ci è rimasto fino all’ultimo dei suoi giorni.
Le motivazioni della sua uccisione sono tuttora oscure. Il processo si è concluso il 17 settembre 2012 con due condanne all’ergastolo. La pena di morte non è stata comminata a seguito della precisa richiesta avanzata al Tribunale dai familiari di Vittorio.
Oggi è importante ricordare Vittorio anche per testimoniare il suo encomiabile lavoro da reporter con cui ha raccontato gli orrori dell’assedio israeliano, senza social, senza tv. Armato di penna e di un blog con cui gridava la voce degli ultimi. Un testimone raccolto con onore e orgoglio dagli oltre cento giornalisti uccisi a Gaza durante questa ennesima invasione dell’enclave.
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