Nuova pista su mafia, servizi e politica
Sulla Strage del Rapido 904, anche nota come la strage di Natale, avvenuta il 23 dicembre 1984 ci sono ancora troppi buchi da riempire.
E' noto che il treno era partito da Napoli Centrale alle 12.55 per Milano, ricolmo di persone in viaggio per le feste di fine anno.
E' noto che alle 19.08 un ordigno nella nona carrozza del convoglio esplose con una carica radiocomandata mentre percorreva i 18 km della galleria Direttissima tra Vernio (Prato) e San Benedetto Val di Sambro (Bologna), luoghi non distanti da quelli della strage Italicus del '74.
E' noto che morirono 16 persone, fra cui tre bambini, e 267 furono i feriti.
Per la strage ci sono state condanne passate in giudicato, fra cui quella all'ergastolo di Pippo Calò, fedelissimo del Capo dei capi, Totò Riina, e dei suoi aiutanti Guido Cercola e Franco D’Agostino e del tecnico elettronico tedesco Friedrich Schaudinn. Massimo Abbatagnelo, ex parlamentare del Movimento sociale, invece, venne condannato per la detenzione dell’esplosivo, insieme a quattro camorristi. Nei processi, infatti, erano emersi i collegamenti tra le famiglie siciliane, i camorristi della Nuova famiglia, con uomini della criminalità romana, in particolare della Banda della Magliana; con personaggi della destra eversiva e settori deviati delle istituzioni, legati e collegati proprio a Calò, che aveva un ruolo di cerniera fra tutti questi “apparati”.
In tempi più recenti una rilettura di atti e indagini aveva portato la procura di Napoli a individuare lo stesso Riina, poi morto nel 2017, come presunto mandante della strage. L’inchiesta passo poi alla procura di Firenze che nel gennaio 2013 chiese il rinvio a giudizio per il boss corleonese che in primo grado, nel 2015, venne assolto con la formula che ricalcava la vecchia insufficienza di prove. Il processo d'appello era stato fissato nel dicembre 2017, dopo diversi rinvii con un giudice che fu sostituito perché prossimo alla pensione. Troppo tardi perché Riina morì un mese prima e non fu possibile andare oltre.
Nel ricorso che al tempo aveva presentato la Procura di Firenze, all'epoca rappresentata dalla pm Angela Pietroiusti, venivano richiamati una serie di fatti, tra cui la circostanza che l’esplosivo usato per la strage, il Semtex 4, risultò dalle indagini uguale a quello nella disponibilità degli uomini più fidati di Riina.
E oggi si ripartirebbe proprio da qui per continuare ad indagare.
La Procura di Firenze, rappresentata dai pm Luca Tescaroli e Luca Turco, ha riaperto il fascicolo ritenendo che quell'attentato si inserirebbe nella strategia mafiosa di attacco allo Stato, per intimidirlo e costringerlo a trattare.
"Già alla fine del 1984 - aveva scritto il quotidiano "La Nazione", che per primo aveva riportato la notizia - con le dichiarazioni del pentito Tommaso Buscetta e i mandati di cattura emessi da Giovanni Falcone in vista del maxiprocesso (il cosiddetto blitz di San Michele), Cosa nostra, guidata da Totò Riina, si sarebbe sentita minacciata. E per tutta risposta, avrebbe spostato in Continente il terreno dello scontro, come avverrà anche nelle sanguinose stragi degli anni ’90 che colpirono Milano, Roma e Firenze".
A sostegno di questa tesi, oltre alla presenza dell'esplosivo Semtex proveniente dall’arsenale mafioso di contrada Giambascio e di San Giuseppe Jato si farebbe riferimento anche alla similitudine tra i telecomandi "Telcoma System" utilizzati per l’attentato al treno del 1984 e la strage di via d’Amelio di otto anni dopo.
Non solo. La Dda di Firenze, analizzando l'esplosivo, si sarebbe anche concentrata su altri misteri mai chiariti, avvenuti a Firenze come l’esplosione che distrusse una palazzina – senza vittime – in via Toscanini, il 5 novembre del 1987; o ancora un attentato a un ufficio postale in via Carlo D’Angiò, il 13 agosto 1985.
In entrambi gli episodi sarebbero state rinvenute tracce della stessa miscela usata sul treno e dalla mafia.
Altro spunto investigativo è quello dei barattoli di latta con un foro, identici a quelli usati per l’operazione "Terrore sui treni", mirata a creare una falsa pista sulla strage della stazione di Bologna, che erano nascosti sempre nel capoluogo toscano in una base coperta del Sismi in via Sant’Agostino.
Questa mattina, invece, "La Repubblica", ha aggiunto ulteriori dettagli. Per gli inquirenti c’è la necessità di operare un approfondimento “in relazione alla posizione di soggetti all’epoca non coinvolti nel processo celebratosi a Firenze”. A spiegare il motivo per cui si arrivò a quella strage è l'ex boss di San Giuseppe Jato, Giovanni brusca: "Perché voleva distogliere l’attenzione dal maxi processo e dalle indagini che stavano facendo Giovanni Falcone e Paolo Borsellino, quindi creare una strategia d’azione verso l’Italia, al nord, per distogliere l’attenzione dal sud e poter fare 'i nostri interessi'”". L'idea, dunque, sarebbe stata quella di far attribuire alla strage una matrice terroristica nel tentativo di distogliere l’impegno della società civile dalla lotta a Cosa nostra, facendo sorgere l’esistenza di un pericolo per le istituzioni e il Paese diverso e maggiore da quello costituito dalla mafia.
Ma il collaboratore di giustizia ha anche indicato un'altra figura: "Non escludo che sulla strage al 904 ci sia la mano di Antonino Madonia". Madonia, già detenuto, non è uno qualunque. Corleonese di ferro, è anche un soggetto con forti legami con esponenti dell’estrema destra e con apparati deviati delle istituzioni. Davvero può aver avuto un ruolo? La Procura di Firenze guarda avanti e scava sulla zona grigia dei rapporti tra mafia, servizi segreti, criminalità e politica. Un grumo che, purtroppo, sembra riguardare tutte le stragi.
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