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Per la Corte Costituzionale è illegittimo che la persona detenuta sia controllata a vista dal personale di custodia mentre si incontra con il "coniuge, la parte dell’unione civile o la persona con lei stabilmente convivente" quando non vi siano particolari ragioni legate alla sicurezza, regioni giudiziarie o al mantenimento dell'ordine.
In gergo tecnico ha dichiarato, con la sentenza n. 10 del 2024, l’illegittimità costituzionale dell’art. 18 della legge 26 luglio 1975, n. 354: norme sull’ordinamento penitenziario e sulla esecuzione delle misure privative e limitative della libertà.
La Consulta ha precisato che la sentenza non riguarda il 41-bis (cosiddetto carcere duro) né i detenuti sottoposti alla sorveglianza particolare di cui all'art. 14-bis della stessa legge.
"L'ordinamento giuridico - ha affermato la Corte - tutela le relazioni affettive della persona nelle formazioni sociali in cui esse si esprimono, riconoscendo ai soggetti legati dalle relazioni medesime la libertà di vivere pienamente il sentimento di affetto che ne costituisce l'essenza. Lo stato di detenzione può incidere sui termini e sulle modalità di esercizio di questa libertà, ma non può annullarla in radice, con una previsione astratta e generalizzata, insensibile alle condizioni individuali della persona detenuta e alle specifiche prospettive del suo rientro in società". La norma censurata, nel prescrivere in modo inderogabile il controllo a vista sui colloqui del detenuto, gli impedisce di fatto di esprimere l'affettività con le persone a lui stabilmente legate, anche quando ciò non sia giustificato da ragioni di sicurezza.
La Corte ha pertanto riscontrato la violazione degli art. 3 e 27, terzo comma, Cost. per la irragionevole compressione della dignità della persona causata dalla norma in scrutinio e per l'ostacolo che ne deriva alla finalità rieducativa della pena. Rammentato che una larga maggioranza degli ordinamenti europei riconosce ormai ai detenuti spazi di espressione dell'affettività intramuraria, inclusa la sessualità.
Nell'indicare alcuni profili organizzativi implicati dalla propria pronuncia, la Corte ha auspicato "un'azione combinata del legislatore, della magistratura di sorveglianza e dell'amministrazione penitenziaria, ciascuno per le rispettive competenze", "con la gradualità eventualmente necessaria".

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Foto © Imagoeconomica

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