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Depositate le motivazioni della sentenza d’Appello di Caltanissetta sull’ex paladino dell’antimafia in Sicilia

L'ex Presidente degli industriali siciliani Antonello Montante "raccoglieva informazioni e le custodiva riservandosene l'uso". Lo scrivono i giudici della corte d'appello di Caltanissetta nelle motivazioni del processo di secondo grado che vede imputato l’ex paladino dell’antimafia condannato in appello a 8 anni per corruzione. "Ciò era noto nella sua cerchia e tra le persone a lui vicine, l'uso che ne avrebbe potuto fare era chiaro". "Plurime fonti riferiscono che egli si vantava di avere a disposizione dossier, pronti all'uso", dicono i giudici.
L’ex numero uno di Confindustria in Sicilia era un uomo dell’establishment, in grado di "condizionare la politica" e che poteva anche contare sui servizi segreti. I giudici parlano di un "accordo corruttivo”, si legge nelle motivazioni depositate ieri.
Nonostante la mannaia della prescrizione, che ha colpito più della metà delle imputazioni del processo sul “Sistema Montante”, un anno fa Montante è stato condannato con rito abbreviato. Condannato in Appello anche l’ex responsabile della security di Confindustria, Diego Di Simone, a 5 anni; una condanna di 3 anni e sei mesi è stata emessa per il sostituto commissario Marco De Angelis, mentre sono stati assolti il colonnello della Guardia di Finanza, Gianfranco Ardizzone e il questore Andrea Grassi, in primo grado erano stati condannati rispettivamente a 3 anni e a un anno e 4 mesi.
Secondo le motivazioni dei giudici, a firma della Presidente Andreina Occhipinti, giudici a latere Giovambattista Tona e Alessandra Giunta, l’ex di Confindustria avrebbe compiuto una attività di dossieraggio per colpire gli avversari e avrebbe condizionato la politica regionale.
"Dietro la coltre fumosa della locuzione 'sistema', tanto spesso utilizzata anche in questo giudizio, nonostante sia più appropriata alla sintesi giornalistica che non all'analisi dei fatti tipici propria della giurisdizione, si perdono i percorsi che conducono ai più qualificati appoggi dei settori politici, istituzionali ed economici che hanno reso Montante una figura strategica con un ruolo di fatto e informale non classificabile nelle ordinarie e più trasparenti categorie della politica, dell'economia e delle istituzioni", scrive la Corte d'appello di Caltanissetta nelle motivazioni della sentenza. E ancora: "Molte intercettazioni descrivono la 'fama' acquisita da Antonello Montante presso soggetti imputati, indagati o estranei ai fatti oggetto dell'indagine. Se ne ricava prova del fatto che in quegli ambienti e in contesti per nulla occulti o riservati erano note non solo la sua capacità di influenza nelle più alte sfere degli ambienti istituzionali ed economici non tanto del territorio, ma della Regione e del Paese. Ed era nota anche la sua complessa rete informativa", si legge. I giudici inoltre sottolineano la “sistematica attività delle più influenti autorità nel sottolineare l'importanza, la rilevanza del suo ruolo, la necessità di dare ascolto alle sue proposte e alle sue iniziative". Montante, con l'aiuto di alcuni complici, anche loro condannati, avrebbe avuto "ripetutamente accesso" alle "banche dati Sdi per procedere ad interrogazioni non autorizzate su imprenditori, politici, amministratori, professionisti, editori, giornalisti, collaboratori di giustizia, persone sospettate di appartenere alla criminalità organizzata, un magistrato, i suoi familiari e la sua autovettura". Era, dunque, “l’uomo potente che poteva garantire la possibilità di ottenere sostegno e favori, e l'accordo si basava sulla corrispettiva messa a disposizione da parte del pubblico ufficiale delle sue funzioni e da parte dell'imprenditore di ogni utile suo buon ufficio". Sempre nelle motivazioni i giudici spiegano che Montante "ha approfittato di opportunità che avrebbe potuto perseguire per coltivare ambizioni, interessi particolari e al contempo anche valori civici e obiettivi ideali e invece le ha piegate per pratiche di natura illecita, unitamente al dato della sistematicità delle condotte, impedisce delle circostanze attenuanti generiche e di qualsivoglia altra attenuante".
I giudici fanno un focus anche sui rapporti avuti con la famiglia mafiosa Arnone di Serradifalco, paese di origine dell’ex paladino dell’antimafia. Montante, si legge nelle motivazioni, “non voleva fare emergere pubblicamente i suoi rapporti con la famiglia Arnone". I giudici nisseni però danno “per certo che aveva intrattenuto rapporti di familiarità e di affari con la famiglia Arnone. Sebbene sul punto Montante non abbia mai fatto specifiche ammissioni sull'esistenza e sulla natura di questi rapporti e sebbene allo stato degli atti non vi sono nelle contestazioni da valutare imputazioni che prefigurino che questi rapporti siano trascesi nell'illecito penale, ciò che conta ai fini del presente del giudizio è che Montante aveva cercato in ogni modo di evitare che essi emergessero e fossero sottoposti alla pubblica opinione". "Anzi riteneva che chi si adoperava per farlo doveva considerarsi parte di un sodalizio a lui avverso, che mirava ad impedirgli il conseguimento dei suoi obiettivi". "Pure nell'ambito di un progetto politico imprenditoriale lecito" l'ex presidente degli industriali siciliani "aveva interesse ad attrarre attorno a se persone disponibili a sostenerlo anche se del caso dedicandosi ad attività illecita". Nelle motivazioni i giudici parlano di un "gioco di specchi" con cui a livello nazionale riusciva a mostrare "solida legittimazione a livello locale, vantando il consenso delle autorità e delle rappresentanze sul territorio, e a livello locale poteva guadagnare il consenso delle autorità e delle rappresentanze sul territorio, vantando l'appoggio dei vertici politici e istituzionali a livello nazionale. Egli, peraltro, nel suo interrogatorio, cercando di ridimensionare le sue indubbie abilita politico-relazionali, ha sostenuto di essere stato indotto ad assumere il ruolo che gli veniva riconosciuto dalle autorità".
I giudici di Caltanissetta hanno approfondito anche il ruolo avuto dall’entourage di Montante. Tra questi c'è l'ex poliziotto Diego De Simone Perricone, “il primo appartenente a questa rete” assunto dalla "Aedificatio Spa", “su segnalazione di Montante, società che svolgeva servizi di sicurezza in favore di Confindustria nazionale. De Simone Perricone, che non poteva più accedere alla banca dati, si serviva di Marco De Angelis, in servizio alla Squadra Mobile di Palermo". Secondo i giudici "molti dei dati rinvenuti nella 'stanza segreta' dell'abitazione di Montante provenivano da questa attività di accesso illecito". Gli accessi "venivano effettuati da Salvatore Graceffa, vicesovrintendente della Polizia di Stato, al quale le richieste pervenivano da De Angelis". L’ex paladino dell’antimafia "raccoglieva informazioni e le custodiva riservandosene l'uso", "ciò era noto nella sua cerchia e tra le persone a lui vicine, l'uso che ne avrebbe potuto fare era chiaro". Nelle motivazioni, i giudici parlano anche del ruolo dei Servizi segreti. "Il 15 giugno 2012 veniva nominato direttore dell'Aisi il generale Esposito con il quale Montante aveva un solido rapporto tale da trovare nei servizi un canale di informazioni sulle indagini a suo carico", scrivono. Ricordando che Esposito è attualmente sotto processo nello stralcio del troncone in corso davanti al Tribunale di Caltanissetta.

Foto © Imagoeconomica

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