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Per l’accusa l’ex di Forza Italia è "uomo cerniera" tra politici, professionisti e faccendieri

Dopo due anni e 10 mesi di udienze, nell'aula bunker appositamente costruita a Lamezia Terme, si è concluso il maxi processo "Rinascita Scott", istruito dalla Dda di Catanzaro contro la ‘Ndrangheta vibonese e i suoi sodali.
Il Tribunale di Vibo Valentia - presidente Brigida Cavasino, Claudia Caputo e Germana Radice a latere - è tornato in aula a leggere il dispositivo della sentenza: 200 condanne su 338 imputati.
Alla sbarra c’erano tutti: i boss della cosca Mancuso di Limbadi e quelli delle altre famiglie mafiose vibonesi ma anche imprenditori, ex parlamentari, ex consiglieri regionali, sindaci, carabinieri, uomini dei servizi segreti e professionisti. Pezzi infedeli dello Stato e “colletti bianchi”.
I capi di imputazione erano, a vario titolo, oltre 400, tra i quali associazione mafiosa, concorso esterno in associazione mafiosa, estorsione, usura, riciclaggio, detenzione illegale di armi ed esplosivo, ricettazione, traffico di influenze illecite, trasferimento fraudolento di valori, rivelazione e utilizzazione di segreto d'ufficio, abuso d'ufficio aggravato, traffico di droga.
In aula erano presenti il procuratore vicario Vincenzo Capomolla e i sostituti della Dda Antonio De Bernardo e Annamaria Frustaci.
Lo scorso 7 giugno l'accusa (rappresentata in aula dall'ex procuratore di Catanzaro Nicola Gratteri, oggi procuratore di Napoli, e dai pm Annamaria Frustaci, Antonio De Bernardo, Andrea Mancuso e Andrea Buzzelli) ha invocato 322 condanne - per un totale di 4.744 anni e 10 mesi di carcere - 13 assoluzioni e 3 nullità del decreto che dispone il giudizio. L'operazione Rinascita Scott è scattata il 19 dicembre 2019 e ha portato all'arresto di 334 persone. Tra gli imputati spicca il nome dell'avvocato, ex parlamentare ed ex massone, Giancarlo Pittelli (in foto), accusato di concorso esterno in associazione mafiosa, rivelazione di segreto d'ufficio e abuso d'ufficio aggravato. L'ex di Forza Italia è stato condannato a undici anni di reclusione e interdizione perpetua dai pubblici uffici per il reato di concorso esterno in associazione mafiosa e per due casi di rivelazione di segreto d'ufficio. E' stato assolto, invece, dall'accusa di abuso d'ufficio aggravato con formula perché il fatto non sussiste.


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Nicola Gratteri © Deb Photo


In attesa di conoscere le motivazioni per le quali è stato condannato il dato certo è che al momento la Dda di Catanzaro ha accusato l’ex senatore di Forza Italia di avere avuto rapporti con il mammasantissima Luigi Mancuso, detto il “Supremo”, per il quale c’è un processo a parte dopo che la sua posizione è stata stralciata assieme a quella del boss Peppone Accorinti.
Rapporti, quelli tra Pittelli e lo “zio” Luigi Mancuso, che secondo la Dda andavano oltre i contatti leciti tra avvocato e cliente. Pittelli è considerato, sempre dall'accusa, “la cerniera tra i due mondi” in una “sorta di circolare rapporto ‘a tre’ tra il politico, il professionista e il faccendiere”. I boss lo nominavano loro avvocato “in quanto capace di mettere mano ai processi con le sue ambigue conoscenze e rapporti di ‘amicizia’ con magistrati”. A metà degli anni 2000, Pittelli finì al centro dell’inchiesta “Why Not” (portata avanti dall'allora pubblico ministero Luigi de Magistris) da cui uscì pulito.

Pittelli e Marcello Dell'Utri
Prima che fosse fondata Forza Italia, Marcello Dell’Utri le prime persone che contattò furono i Piromalli della piana di Gioia Tauro”. Era stato Pittelli - intercettato durante l’inchiesta Rinascita Scott - a fare riferimento all'ex senatore, già condannato definitivamente per concorso esterno in associazione mafiosa (pena scontata). L'ex massone, secondo gli investigatori, mentre intercettavano l’avvocato al telefono il 20 luglio 2018, "riferiva ai suoi interlocutori che, per la formazione di Forza Italia, la prima persona che Dell’Utri avrebbe contattato fu Piromalli a Gioia Tauro che il Pittelli accostava, per importanza mafiosa, a Luigi Mancuso (il ‘Supremo’, arrestato anche lui nell’operazione ‘Rinascita-Scott’, ndr)”.


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Marcello Dell'Utri © Imagoeconomica


E Pittelli aggiungeva: "Dell'Utri la prima persona che contattò per Forza Italia fu Piromalli a Gioia Tauro non se ci... se ragioniamo, tu pensa che ci sono due mafiosi in Calabria, che sono i numeri uno in assoluto, uno è del vibonese e l'altro è di Gioia Tauro, uno si chiama Giuseppe Piromalli e l'altro si chiama Luigi Mancuso, che è più giovane e forse più potente... io li difendo dal 1981, cioè sono trentasette anni che questi vivono qua dentro... pazzesco... l'altro giorno ci pensavo dico trentasette anni".
Le parole di Pittelli assumono rilevanza se si considera un altro episodio accaduto proprio nel 1994. Giuseppe Piromalli, succeduto al fratello “Mommo” (deceduto per cause naturali nel ’79) al vertice della cosca, durante un processo a Palmi, nei mesi in cui era in pieno svolgimento la campagna elettorale che avrebbe portato Forza Italia alla vittoria, prese la parola dalle gabbie gridando: “Voteremo Berlusconi, voteremo Berlusconi”.

La questione David Rossi
Le parole di Pittelli, sempre intercettato, hanno riguardato anche la morte di David Rossi, giovane responsabile della Comunicazione di Monte dei Paschi di Siena, trovato cadavere il 6 marzo del 2013 nella strada dove si affacciava il suo ufficio. Uno dei misteri recenti che attanaglia il nostro Paese.
LaC Tv, durante la trasmissione dedicata al processo Rinascita-Scott, condotta da Pietro Comito e Pino Aprile, ha mandato in onda in esclusiva l'intercettazione dell'ex parlamentare di Forza Italia: "Rossi non si è suicidato... Rossi è stato ucciso". A questo punto sorge una domanda. Pittelli sa qualcosa su come avvenne la morte dell'ex responsabile della Comunicazione di Monte dei Paschi di Siena? Ci sono anche altri elementi che emergono dalle indagini?
Nell'intercettazione, comunque Pittelli, sembra di essere al corrente di fatti. E nel corso della conversazione il caso David Rossi viene persino accostato a casi storici come quello di Sindona e Calvi.


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David Rossi © Imagoeconomica


"In borsa – affermava l'ex parlamentare – sono dei folli sono". E l'interlocutore rispondeva: "La colpa ce l’ha Visco su Monte dei Paschi".
Da quel momento i due parlano di David Rossi. Pittelli: "Non dovevano far… non dovevano finanziarlo. E se riaprono l’indagine sulla morte di Rossi succederà un grosso casino... Se si sa chi lo ha ammazzato". Interlocutore ignoto: "Ma perché secondo te è morto di overdose…". Pittelli: "Non si è suicidato... non si è suicidato... Rossi non si è suicidato... Rossi è stato ucciso". Interlocutore ignoto: "Pure Calvi si è suicidato con le tasche piene di pietre... Ti ricordi, Sindona che si è suicidato in carcere con un caffè".

La figura di Pittelli
Durante i due anni e mezzo del dibattimento, i magistrati hanno delineato la figura del legale calabrese, descrivendo “una vischiosa ragnatela fatta di grandi e piccoli favori, di clientele, di corruzioni”, attraverso “i legami massonici“. Un sistema che, secondo quanto è emerso, ha sostenuto la candidatura alle elezioni politiche di Pittelli nel 2006. E in precedenza, come ha raccontato un collaboratore di giustizia, furono le logge massoniche a sostenere la sua l’elezione in parlamento nel 2001.
Il penalista calabrese -come ricostruito da Lirio Abbate su 'Repubblica' - fu autore della corposa proposta di riforma dei codici penale e di procedura penale con altri due avvocati, l’allora deputato di An Sergio Cola, eletto a San Giuseppe Vesuviano e difensore di alcuni presunti camorristi, e il palermitano Nino Mormino, eletto nelle file degli azzurri e subito diventato vicepresidente della Commissione Giustizia della Camera.
I tre chiedevano tra l’altro, l’avviso di garanzia immediato, la possibilità di far scattare le manette solo nel caso di reati gravissimi e l’inutilizzabilità delle sentenze passate in giudicato. Una legge che avrebbe reso impossibile nel 2002 tutti i processi e le indagini antimafia e non solo.
In altre parole gli indagati sarebbero stati subito informati delle inchieste a loro carico rendendo inutili intercettazioni, pedinamenti e l’utilizzo di infiltrati; le dichiarazioni dei collaboratori di giustizia avrebbero avuto alcun peso se non in presenza di riscontri “di diversa natura”.
Inoltre, con la nuova legge Pittelli, si sarebbe messa in dubbio l’esistenza stessa della mafia: in ogni dibattimento, senza tenere conto delle sentenze del passato, sarebbe stato necessario dimostrare che in Sicilia e in Calabria operano organizzazioni di tipo verticistico denominate “Cosa nostra” o ‘Ndrangheta.
Nessuno criminalizza l’esercizio della funzione difensiva”, ha tenuto a sottolineare ai giudici il pm De Bernardo durante la requisitoria. “Si parla di ben altro, ma accanto a questa viene dato risalto al ruolo anche politico che ha rivestito in una certa epoca Pittelli”, aggiungendo le connotazioni di “ex parlamentare e massone. Cioè, come dire, nella qualità di tutte queste cose. Perché rileva? Perché mette in risalto il patrimonio di conoscenze, di rapporti e di possibilità che Pittelli — ben al di là della sua professione — mette sul piatto quando si interfaccia con la cosca Mancuso". Il pubblico ministero ha così tracciato la figura dell'imputato, personaggio, sempre secondo l'accusa, importantissimo per la ’Ndrangheta, tanto che senza di lui il livello di forza a cui è arrivato il boss Luigi Mancuso, secondo l’accusa, non sarebbe stato raggiunto se non “grazie a Pittelli”.

Condanne e assoluzioni
Assolto dalla stessa accusa l'ex sindaco di Pizzo Calabro, Gianluca Callipo. Solo un anno e 6 mesi di carcere, a fronte di 20 anni richiesti, per l'ex consigliere regionale del Pd Pietro Giamborino. Assolto anche l'ex consigliere regionale Luigi Incarnato. L'ex consigliere comunale di Vibo Alfredo Lobianco e l'ex assessore comunale di Vibo Valentia Vincenzo De Filippis sono stati assolti. Ha retto invece l'accusa per i clan Lobianco, Pardea e Barba di Vibo Valentia, Accorinti di Zungri e Bonavota di Sant'Onofrio. Fra le condanne, quella a 10 anni e sei mesi nei confronti dell'ex ufficiale dei carabinieri Michele Marinaro della Dia.
Secondo i pm, quest’ultimo sarebbe stato la “barba finta” responsabile delle fughe di notizie registrate durante le indagini quando la Dda ha notato la frenesia delle cosche vibonesi che volevano rintracciare il contenuto dei primi verbali del pentito Andrea Mantella (anche quest’ultimo condannato a 8 anni di carcere). Secondo gli inquirenti, infatti, sarebbe stato Marinaro, nel maggio 2019, ad informare Pittelli che la Procura di Catanzaro lo avrebbe arrestato da lì a poco. Cinque anni e sei mesi sono stati inflitti al carabiniere Antonio Ventura in servizio a Vibo. Due anni e sei mesi sono stati inflitti all'ex comandante provinciale di Teramo Giorgio Naselli, mentre a 4 anni è stato condannato Filippo Nesci, ex comandante della Polizia municipale di Vibo Valentia. Il Tribunale ha complessivamente inflitto oltre 2.000 anni di carcere su 4.000 richiesti. Complessivamente sono 134 i capi di imputazione che vengono meno fra assoluzioni e prescrizioni.


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Luigi de Magistris © Imagoeconomica


Sono finiti in carcere, invece, i boss Saverio Razionale (30 anni di carcere) e l’ex latitante Pasquale Bonavota (28 anni), arrestato nei mesi scorsi a Genova. Sono stati condannati anche i boss Domenico e Nicola Bonavota (rispettivamente 30 e 26 anni di reclusione), Domenico Cugliari (22 anni e 6 mesi), Antonio Larosa (24 anni e 6 mesi), Paolino Lo Bianco (30 anni), Antonio Macrì (20 anni e 10 mesi), Salvatore Morelli (28 anni e 4 mesi), Valerio Navarra (23 anni), Agostino Papaianni (20 anni), Rosario Pugliese (28 anni) e Antonio Vacatello (30 anni).
Sono stati giudicati colpevoli l’avvocato Francesco Stilo (14 anni di carcere), l’ex capitano dei carabinieri Giorgio Naselli (2 anni e 6 mesi), l’ex comandante della polizia municipale di Vibo Valentia Filippo Nesci (4 anni), gli imprenditori Mario e Umberto Artusa (rispettivamente 21 anni e 18 anni di carcere), Mario Lo Riggio (17 anni), Gianfranco Ferrante (20 anni e 2 mesi).

De Magistris su condanna Pittelli: "Il tempo è galantuomo"
"Il tempo è galantuomo, ma le ingiustizie subite dalla criminalità istituzionale non saranno mai riparate." Ha affermato in una nota Luigi de Magistris, ex magistrato ed ex sindaco di Napoli. "Questa mattina il Tribunale di Vibo Valentia - aggiunge - ha condannato nel processo Rinascita Scott ad 11 anni di reclusione per concorso in associazione mafiosa l'avvocato Giancarlo Pittelli, già coordinatore regionale di Forza Italia poi Fratelli d'Italia, già deputato e senatore. Quando da pm a Catanzaro indagai nel 2006/2007 Pittelli per associazione a delinquere, riciclaggio e partecipazione a logge occulte nell'ambito dell'indagine Poseidone su gravissimi crimini nel settore ambientale, il Procuratore della Repubblica Lombardi, di cui Pittelli era avvocato ed amico caro, mi revocò l'indagine. Sei mesi prima il figlio della moglie del Procuratore era stato anche assunto nella società dell'avvocato Pittelli e il Procuratore diede pure fideiussione. Lo stesso figlio recentemente è stato arrestato in flagranza per una concussione di 50 mila euro". "Il Consiglio superiore della magistratura, su richiesta del Ministro della Giustizia - ha detto ancora de Magistris - mi trasferì per incompatibilità ambientale e funzionale. Cacciò me che indagavo su corruzione e mafie obbligandomi a non fare più il pm in nessuna sede perché non avevo avvisato il Procuratore che stavo indagando sul suo amico ed avvocato. Non gli dissi nulla anche perché un anno prima lo avevo avvisato della perquisizione, sempre nella stessa indagine, al presidente della regione Giuseppe Chiaravalloti, già procuratore generale a Catanzaro e Reggio Calabria, e dopo averlo informato ci fu una grave fuga di notizia che scoprimmo grazie alle intercettazioni".

Foto di copertina © Imagoeconomica

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