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L’indagato ha un alibi e agli inquirenti ha mostrato, con dovizia di dettagli, il tragitto fatto la sera del delitto

L'omicidio di Badr Boudjemai, avvenuto nella notte tra venerdì e sabato scorsi, resta ancora pieno di ombre. Ignoto è il movente e ignoti sono gli esecutori ed eventuali mandanti. Ieri i pm per tutta la giornata hanno ascoltato testimoni in caserma mentre sono andate avanti perquisizioni in diverse abitazioni. Ai raggi X anche il cellulare della vittima per ricostruire frequentazioni e spostamenti. L’unico indagato, un tunisino di 32 anni Ali El Abed Baguera, anche lui lavorava in un locale di via Emerico Amari, il “Magnum”, situato vicino a quello in cui era impiegata la vittima, respinge ogni accusa. Il provvedimento di fermo stilato dalla Procura sarà trasmesso a stretto giro al gip che dovrà fissare l'udienza di convalida entro 48 ore. 

L'indagato per l'uccisione di Badr Boudjemai è stato interrogato per quasi tre ore ed avrebbe fornito un alibi, disegnando anche il suo percorso per tornare a casa quella sera e indicando tutti coloro che lo avrebbero visto andare via: "Conoscevo la vittima, ma non l'ho mai frequentata e non abbiamo mai avuto screzi, non c'entro nulla”.

"Sono innocente, non c'entro nulla con questa storia". Davanti al procuratore aggiunto Ennio Petrigni ed il sostituto Vincenzo Amico, l’indagato ha respinto la gravissima accusa di aver ucciso con tre colpi di revolver Boudjemai. "Sono uscito dal locale alle 23.45 - ha detto ai pm - e sono tornato a casa a piedi, a 5 minuti dal mio posto di lavoro". Da via Roma, quindi, non sarebbe mai passato quella sera.

Un ruolo fondamentale nella ricostruzione del delitto lo hanno senz'altro le telecamere di sorveglianza, presenti praticamente ovunque in via Roma, luogo del delitto. E sono probabilmente proprio le immagini riprese la sera dell'omicidio che hanno condotto i carabinieri dall'indagato. La sua abitazione è stata perquisita e sono stati sequestrati anche i filmati degli impianti presenti nei locali della zona in cui lavoravano i due. Allo stato però l'arma usata per uccidere il cameriere - un revolver - non è stata ritrovata.

Il fermato, difeso dall'avvocato Salvino Caputo, ha spiegato che conosceva la vittima, che si salutavano perché lavoravano in due attività vicine, ma di non aver mai avuto con lui una frequentazione né motivi di discussione. Ha chiarito che quando è andato via dal locale quella sera avrebbe salutato diverse persone (e le avrebbe indicate con nome e cognome) e ha persino fatto un disegno agli inquirenti per indicare la posizione di ognuna ma anche il tragitto che ha percorso per tornare a casa, a due passi dal locale. Ha risposto alle domande dicendo anche com'era vestito (cioè con la classica divisa da cameriere).

Il tunisino è arrivato in Italia nel 2018, con un barcone approdato a Lampedusa. Per le condizioni di permanenza all'interno dell'hotspot avrebbe preso parte con altri stranieri ad una rivolta, durante la quale erano stati bruciati dei materassi, e per questo aveva rimediato una condanna lieve, con pena sospesa. Al posto del carcere, infatti, ha poi ottenuto l'affidamento in prova dal tribunale di Sorveglianza e lavora nel locale di via Amari da maggio dell'anno scorso.

L'uomo vive con una cugina e il marito che potrebbero confermare il suo orario di rientro e le condizioni in cui era. Gli è stato sequestrato pure il cellulare, ma a suo dire non ci sarebbe stato alcun contatto con la vittima. Non è chiaro al momento se sia stato sottoposto allo stub, l'esame scientifico per rilevare la presenza di polvere da sparo.

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