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“Risulta con evidenza la sussistenza dell’elemento soggettivo del delitto di omicidio volontario, nella forma del dolo eventuale, in quanto i concorrenti, con la condotta violenta tenuta da ciascuno di essi, pur rappresentandosi che il brutale pestaggio potesse determinare la morte della vittima, hanno agito ugualmente non solo accettando il rischio ma palesando un’adesione psicologica all’evento poi verificatosi”. È questo che hanno scritto i giudici della Corte di Assise d’Appello di Frosinone - Presidente Vincenzo Gaetano Capozza - nelle motivazioni della sentenza (relativa al processo per l’omicidio di Willy Monteiro Duarte, avvenuto a Colleferro il 6 settembre 2020) con cui il 12 luglio scorso sono stati condannati a 24 anni di reclusione i fratelli Gabriele Bianchi e Marco Bianchi (in primo grado erano stati condannati all’ergastolo) e con cui è stata confermata la condanna per Pincarelli Mario e Belleggia Francesco (21 e 24 anni di reclusione).

La Corte ha rigettato le tesi delle difese asserendo che ci sono gli elementi per i quali “si configura il delitto di omicidio volontario – e non quello di omicidio preterintenzionale, caratterizzato dalla totale assenza di volontà omicida – quando la condotta, alla stregua delle regole di comune esperienza, dimostri la consapevole accettazione da parte dell’agente anche solo dell’eventualità che dal suo comportamento possa derivare la morte del soggetto passivo”. Anche ai fini dell’accertamento dell’elemento soggettivo del reato – si legge nella decisione – valgono le considerazioni sopra esposte in merito alla struttura unitaria del concorso di persone nel reato, nel senso che l’azione deve essere valutata nella sua interezza e non nei singoli atti , che i singoli autori devono essere consapevoli del collegamento finalistico tra i vari atti e che, in presenza dei requisiti richiesti, i concorrenti rispondono del medesimo titolo soggettivo di partecipazione al fatto-reato". In tal senso, la Corte ha ritenuto "significativi gli elementi emersi con rassicurante certezza all’esito dell’istruzione dibattimentale, tra i quali l’affiancamento del Belleggia e del Pincarelli ai fratelli Bianchi e la movimentazione di tutti verso il medesimo obiettivo (il giovane Willy); la potenza e la reiterazione dei colpi inferti alla vittima finanche quando ormai era a terra inerme; la particolare tecnica dei colpi sferrati per imprimere maggiore forza da soggetti esperti di arti marziali (ad eccezione del Pincarelli ); le regioni del corpo attinte (torace, testa, collo, addome) tutte sedi di organi vitali; le rilevanti conseguenze lesive riportate dalla vittima sul corpo, quali evidenziate da tutti i consulenti medico legali".

Secondo la Corte, "in tale contesto, e secondo le regole della comune esperienza, deve del tutto escludersi che gli imputati abbiano agito al solo fine di cagionare lesioni alla vittima, ove si consideri anche che sin dal calcio iniziale Willy è già incapace di difendersi, tanto che in suo aiuto interviene il Cenciarelli, parimenti colpito con violenza con calci e pugni". In tutto ciò, "scarsamente significativo è se il calcio al torace sia o meno vietato dalla disciplina delle arti marziali, in quanto nel caso di specie il colpo è stato sferrato non in ambito agonistico, contro un atleta di pari prestanza fisica, preparato a riceverlo e a pararlo, ma all’improvviso, contro un ragazzo dalla corporatura esile". Né può assumere rilievo la circostanza della mancanza di un preventivo accordo tra gli imputati, "in quanto la scelta dei partecipi di tenere una determinata condotta può essere anche estemporanea, presa cioè al momento in cui si verifica l’episodio". La Corte ha anche rigettato la richiesta di esclusione della aggravante dei futili motivi – avanzata da alcuni imputati – aderendo all’orientamento secondo cui "tale aggravante sussiste ove la determinazione criminosa sia stata indotta da uno stimolo esterno di tale levità, banalità e sproporzione, rispetto alla gravità del reato, da apparire, secondo il comune modo di sentire, assolutamente insufficiente a provocare l’azione criminosa, tanto da potersi considerare, piú che una causa determinante dell’evento, un mero pretesto per lo sfogo di un impulso violento". Ad avviso dei giudici, "nel caso di specie, è del tutto evidente l’assoluta sproporzione tra la gravità del reato, commesso con l’impiego di una forza tanto brutale e incongrua quanto inutile, peraltro in danno di un giovane completamente estraneo alla vicenda, e l’asserito “stimolo esterno”, tale da risolversi in un mero pretesto per dare sfogo ad impulsi violenti".

Da ultimo la Corte ha svolto una considerazione sulla personalità dei fratelli Bianchi: gli imputati, "gravati da un precedente per cessione di sostanze stupefacenti ed estorsione di non particolare rilievo, erano conosciuti nel loro ristretto ambito territoriale come soggetti che praticavano le arti marziali (MMA) e che si mostravano aggressivi e violenti ulteriori”.

Foto © Imagoeconomica

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