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"Se le finalità che hanno portato a intervenire sull'abuso d'ufficio sono condivisibili, la cancellazione di questo reato crea problemi: se lo abrogassimo tout court avremmo diversi vuoti normativi e un'inadempienza rispetto a vincoli internazionali". A parlare è il presidente di Anac, Giuseppe Busia (in foto), intervenuto in commissione al Senato nel corso dell'audizione sulla riforma della giustizia. L’Autorità nazionale anticorruzione torna sul tema della riforma come una spada di Damocle e mette nuovamente in allerta la classe dirigente. “Sono giuste le finalità volte a tipizzare il reato - ha detto Busia -. Con l'intervento del 2020 si è cercato di contenere e precisare la fattispecie di reato, ma per quanto il testo sia puntuale, diverse indagini sono state avviate riferendosi a violazioni di principi generali quali il buon andamento della Pubblica Amministrazione, stabilito dall'articolo 97 della Costituzione. Questo allarga eccessivamente la fattispecie e giustifica la necessità di un ulteriore intervento normativo. Tuttavia, è sbagliato abrogare come tale il reato". Per il presidente dell'Anac, non ci sono dubbi: continuando di questo passo c’è il pericolo di incombere in un’incoerenza con l'ordinamento internazionale ed europeo. “Con un decreto legislativo dell'ottobre 2022, abbiamo giustificato il pieno rispetto della Convenzione delle Nazioni Unite e della direttiva europea sulla Protezione Interessi Finanziari, in materia di peculato, inserendo un rinvio all'abuso d'ufficio, che verrebbe meno nel caso di abrogazione - ha continuato -. Inoltre, si creerebbero vuoti in fattispecie e in casi di violazione di legge e favoritismi in cui non vi è scambio di denaro, che non possiamo lasciare scoperti”. Tra questi, per esempio, “l’affidamento diretto invece di fare le gare, assegnando un lucroso contratto ad un amico, andando oltre le soglie del Codice; o favoritismi nei concorsi pubblici, quando un commissario di gara fa vincere il concorso alla sua amante; o condotte prevaricatrici nella Pubblica Amministrazione, come il demansionamento di dipendenti, o il mancato rinnovo di incarichi per fini ritorsivi; abusi in sanità di operatori sanitari che dirottano verso cliniche private, come il medico che non rispetta le norme relative all'intramoenia e favorisce la sanità privata; l'obbligo di astensione in caso di conflitto di interessi, eccetera". L’Anac avverte che con l'abolizione del reato di abuso d'ufficio, "in molti casi si creerebbero ambiguità, con il rischio di ulteriore confusione”. E per ovviare questo pericolo secondo Busia “sarebbe doveroso intervenire su altri reati contro la Pubblica Amministrazione, con il rischio, però, di peggiorare il quadro e di squilibrare il sistema. Allora meglio limitarsi a interventi per precisare l'articolo 323 (reato d'abuso d'ufficio), evitando interpretazioni estensive. Ad esempio, escludendo punibilità per violazioni di mere norme di principio o disposizioni puramente formali". Discorso analogo si potrebbe fare sul traffico di influenze, sul quale pure il disegno governativo interviene. “Occorre valutare la coerenza della proposta normativa con i vincoli internazionali - ha sottolineato Busia -. Uno degli elementi che ha reso incerta l'applicazione, inoltre, è legato all'assenza di indicazione di cosa è lecito e cosa non lo è. Questo richiede, quindi, parallelamente un intervento normativo, una disciplina organica sui portatori d'interesse, sulle lobby, che oggi manca in Italia. Intervenire e colmare tale lacuna che il nostro ordinamento ha, sarebbe di estremo aiuto. Come pure rafforzare la normativa sulla prevenzione della corruzione, alla quale si dedica l'Anac”. Secondo Busia non è corretto giustificare l'abolizione dell'abuso d'ufficio come volontà di eliminare la paura della firma. “Essa, infatti, solo in parte residuale deriva dal timore di essere oggetto di indagini penali - ha spiegato -. Essa è invece dovuta alla scarsa chiarezza delle disposizioni, anche amministrative, che dovrebbero definire puntualmente l'ambito della discrezionalità dei funzionari pubblici sulla quale non deve intervenire il giudice penale", ha concluso il presidente dell'Anac.

Foto © Imagoeconomica

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