Negli ultimi giorni la stampa mainstream in Italia è tornata sulla questione carceraria. Sovraffollamenti, condizioni al limite dei diritti umani, violenze da parte delle forze dell'ordine e, dall'altro lato, humus criminale che si alimenta fino a riuscire ad affiliare detenuti nelle organizzazioni mafiose. Questa mattina l'Avvenire è tornato sul tema con un'intervista di Nello Scavo al procuratore generale di Cagliari Luigi Patronaggio, magistrato con una lunga esperienza antimafia alle spalle, il quale ha lanciato un allarme richiamando alle responsabilità della magistratura e della politica. "Le carceri italiane registrano criticità croniche che si acuiscono in estate quando gli spazi di detenzione ristretti diventano, per il caldo e per la mancanza di idonei servizi igienici, invivibili", ha detto il procuratore, smontando così l'idea che si tratti di un'emergenza saltuaria. "Sono a conoscenza di istituti penitenziari dove è possibile fare la doccia una volta alla settimana o a turni prestabiliti - ha aggiunto -. Ma la vera criticità delle carceri italiane è la mancanza di una efficace assistenza socio-psicologica che accompagni percorsi di riabilitazione e reintegrazione sociale".
Quello delle carceri è un sistema fragile, come hanno dimostrato gli anni di lockdown da Covid-19. "La presenza costante in istituto di un medico nelle 24 ore non è un dato affatto scontato - ha detto Patronaggio -. Va inoltre registrata la presenza assolutamente episodica della componente medico psichiatrica. L’emergenza Covid evidenziò inoltre uno spinoso problema, tutto italiano, quello del doppio binario trattamentale, cioè del regime differenziato fra detenuti comuni e detenuti per gravi delitti di criminalità mafiosa o terroristica. Problema che ha tragicamente messo in luce come la ferita delle stragi mafiose degli anni ’90 non si è mai rimarginata e che non è mai avvenuta una pacificazione sociale con il reale superamento dell'emergenza mafiosa, con la spiacevole conseguenza di una non sempre giustificata disparità di trattamento fra detenuti, come sottolineato dalla Corte europea dei Diritti dell’uomo e dalla stessa Corte Costituzionale".
L'assenza di Stato nelle carceri rende il sistema criminogeno, infatti "la mancanza di una occasione di qualificazione lavorativa, unitamente alla mancanza di una valida rete di sostegno socio-assistenziale, è forse il dato più allarmante della vita carceraria". Per essere efficiente, lo Stato deve investire sul personale e su risorse economiche. "Occorrono educatori, assistenti sociali, psichiatri e psicologi - ha detto Patronaggio -. Occorre inoltre la creazione di un ponte di comunicazione e solidarietà fra chi sta dentro e noi tutti che stiamo fuori". Patronaggio, infine, si è detto preoccupato per "il numero elevatissimo di soggetti deboli presenti in carcere: extracomunitari, tossicodipendenti, emarginati, nuovi poveri, soggetti con problemi psicologici e talvolta anche con problemi psichiatrici. Questi soggetti oggi non hanno una concreta e reale possibilità di reinserimento, situazione questa che impone a tutti noi, cioè alla cosiddetta comunità dei liberi, dei regolari e dei sani, ad assumerci le nostre responsabilità non più procrastinabili".
E per intervenire richiama alla responsabilità politica. "Il numero allarmante dei suicidi in carcere in questi ultimi tempi deve far prendere atto della grande debolezza strutturale del sistema. Di fronte ad un uomo o a una donna che rifiutano la vita per disperazione non possiamo voltarci dall'altra parte. C'è una responsabilità politica e sociale, che investe in parte anche la magistratura, cui non possiamo sottrarci e che ci impone di agire", ha concluso.
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