Cinque anni dopo il crollo che ha causato la morte di 43 persone, saranno ascoltati anche manager come Giovanni Castellucci

Cinque anni dopo il crollo del Ponte Morandi, che il 14 agosto del 2018 ha causato la morte di 43 persone e costretto oltre 200 famiglie a lasciare le proprie abitazioni, con 170 testimoni, 84 udienze e 58 imputati tra ex dirigenti e tecnici di Autostrade e Spea (l’ex controllata che si è occupata delle manutenzioni autostradali), entrambe uscite con un patteggiamento di quasi 30 milioni, prosegue il processo iniziato quasi 12 mesi fa, la cui sentenza potrebbe non arrivare prima del 2024. Secondo le accuse mosse dalla Procura, corroborate in buona parte dalle testimonianze, intercettazioni, mail e messaggi, il ponte sarebbe crollato dopo decenni di scarse manutenzioni pensate per risparmiare e aumentare i profitti. In questi mesi, all’interno della tensostruttura installata nel cortile di palazzo di giustizia a Genova, sono stati esaminati i rilievi tecnici eseguiti dai periti per accertare le dinamiche del collasso e le testimonianze dei sopravvissuti, oltre che degli ex vertici di Atlantia ed Edizione, rispettivamente la holding e la cassaforte della famiglia Benetton. Scioccanti sono state le dichiarazioni dell'ex Ad di Edizione, Gianni Mion, che in sede processuale ha parlato di una riunione avvenuta nel 2010 con i vertici di Aspi, dove si è parlato di “rischio crollo” a causa di un grave difetto di progettazione. Difatti, i periti che hanno accertato le cause del crollo - ha fatto sapere “La Repubblica” - hanno evidenziato che “la mancanza e/ o l’inadeguatezza dei controlli e delle conseguenti azioni correttive hanno costituito gli anelli deboli del sistema; se essi, laddove mancanti, fossero stati eseguiti e, laddove eseguiti, lo fossero stati correttamente”, non ci sarebbe stata la catastrofe avvenuta nel 2018. Data la lunghezza e la complessità delle udienze, ai pm Massimo Terrile e Walter Cotugno, che hanno coordinato le indagini della Guardia di Finanza, è stato affiancato anche il pm Marco Airoldi. Il prossimo autunno saranno sottoposti ad esame una ventina di imputati; tra questi, anche l'ex Ad di Aspi, Giovanni Castellucci. Sempre in autunno - ha reso noto Ansa - potrebbe iniziare l'udienza preliminare per il filone bis che vede imputate 47 persone; per buona parte, le stesse che rientrano nel processo principale. L’indagine del filone bis verte sui report falsi relativi allo stato dei viadotti, delle barriere antirumore pericolose, il crollo della galleria Bertè avvenuto in A26 il 30 dicembre del 2019, oltre al mancato rispetto delle norme europee per la sicurezza nei tunnel. Secondo gli inquirenti, i tecnici di Spea avrebbero mitigato i rapporti sullo stato dei ponti per evitare i lavori. Inoltre, durante le indagini, è stato scoperto che le barriere fonoassorbenti installate su alcuni tratti autostradali erano difettose e si erano staccate causando rischi e problemi agli automobilisti; addirittura, uno degli indagati ha detto durante una telefonata che i pannelli fonoassorbenti sono stati “attaccati con il Vinavil”. Anche in questo caso, le due società Aspi e Spea sono uscite dall'inchiesta dopo avere patteggiato circa un milione di euro.

Foto © Imagoeconomica

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