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Walter Ferrari, Coordinamento Lavoro Porfido: "Serve commissione di inchiesta a livello politico"

La corte d'assise di Trento ha condannato a vario titolo, per un totale di 76 anni complessivi di carcere, a fronte degli 88 anni chiesti dalla Procura della Repubblica, gli otto gli imputati del filone principale del processo scaturito dall'indagine "Perfido", sulle infiltrazioni della 'Ndrangheta nel settore del porfido in Trentino. La corte, con sentenza emessa, ha riconosciuto cinque degli imputati colpevoli del reato di associazione di tipo mafioso, mentre due sono stati dichiarati colpevoli di concorso esterno. Inoltre, tre dei cinque condannati per associazione di tipo mafioso e uno di quelli condannati per concorso esterno sono stati riconosciuti colpevoli anche del reato di intermediazione illecita e sfruttamento del lavoro. In particolare, per il reato di associazione di tipo mafioso - quale propaggine locale delle cosche calabresi di Cardeto, Bagaladi, Melito Porto Salvo e Reggio Calabria - Domenico Ambrogio è stato condannato a otto anni di reclusione, Mario Giuseppe Nania a 11 anni e 8 mesi, Giuseppe Battaglia a 12 anni, Pietro Battaglia a 9 anni e 8 mesi, Demetrio Constantino a 10 anni e Antonino Quattrone a 8 anni e 8 mesi. Per il reato di concorso esterno, sono stati condannati Giovanna Casagranda a 9 anni e 4 mesi e Federico Cipolloni a 6 mesi e 8 anni. Nania, Pietro Battaglia, Giuseppe Battaglia e Casagranda sono stati condannati anche per sfruttamento del lavoro. La corte ha inoltre condannato in solido gli imputati al risarcimento dei danni in favore delle parti civili. Alla Provincia di Trento, sono stati riconosciuti 100.000 euro, 200.000 euro al Comune di Lona Lases, e 30.000 euro a ciascuna per Libera, Filca Cisl, Fillea Cgil del Trentino. Alla Presidenza del Consiglio dei ministri, al Ministero della difesa, al Ministero dell'interno e ad Arci del Trentino sono riconosciute le spese di costituzione, mentre, in considerazione del momento in cui è stata effettuata la costituzione a parte civile, la corte ha stabilito che il riconoscimento dei danni è da liquidarsi in separato giudizio, mentre è stata rigettata la richiesta della società editrice Altrotrentino.
A Lona-Lases nessuno vuole parlare del processo. Molti sono convinti che sia un’esagerazione dei magistrati. "Qui tutti vivono direttamente o indirettamente nel settore del porfido", ha detto Marco Galvagni, segretario comunale di Lona-Lases. "Quando ci sono stati gli arrestati c’è stato più che altro imbarazzo, non sorpresa" ha sottolineato.
Walter Ferrari, portavoce del Coordinamento Lavoratori Porfido, sentito da ANTIMAFIADuemila, ha denunciato la mancanza di partecipazione delle istituzioni locali al processo e la solitudine nel continuare a tenere alta l'attenzione sulle infiltrazioni della 'Ndrangheta.
"Purtroppo il commissario Franchini che guida il comune con l'amministrazione di Lona Lases", che "vantava di operare per il risanamento del comune", "negli ultimi tempi, cioè dalle fasi cruciali del processo" non "si è più mostrato in tribunale".
"È questo è grave perché avrebbe dovuto almeno rappresentare la comunità".
"Addirittura ha disertato il tribunale, spesso, anche l'avvocato che avrebbe dovuto rappresentare il comune" ha detto Ferrari. "Anche negli ultimi giorni l'attenzione rispetto a quello che si stava discutendo in aula" è "stata tenuta alta solamente da noi (Coordinamento Lavoratori Porfido ndr) nel più totale isolamento. Voglio sottolineare purtroppo anche l'assenza di Libera, che si sono costituiti parte civile".
"Ci siamo trovati da soli a tenere alta l'attenzione rispetto al processo": "In aula era rappresentata soltanto la provincia attraverso l'avvocata Marialuisa Cattoni e i tre operai cinesi mediante l'avvocata Sara Donini".
Walter Ferrari è poi entrato nei particolari del processo concluso in primo grado.
"La riduzione in schiavitù, che era il capo di imputazione per il quale il processo si svolgeva in Corte d'Assise, è stata derubricata a caporalato. Sapere che nelle cave di porfido, dove vi è formalmente una presenza sindacale da parte delle organizzazioni di categoria di CGIL e CISL, non è una bella cosa arrivare ad una condanna per il reato di caporalato.
Però ciò è avvenuto anche grazie al fatto che le difese hanno potuto presentare nelle loro arringhe difensive dei giorni scorsi gli accordi di conciliazione che proprio i sindacati concedenti hanno sottoscritto anche con aziende facenti capo agli imputati, sostenendo sostanzialmente che i lavoratori (che per noi erano stati ridotti in schiavitù) erano invece liberi di rivolgersi alle organizzazioni sindacali.
L'avvocato Sara Donini è stata molto brava perché da una parte ha giustamente denunciato il fatto che questi accordi sono stati siglati a vantaggio delle imprese e non dei lavoratori, perché servivano sostanzialmente a mettere al riparo le imprese da azioni nei confronti delle aziende per le loro inadempienze da parte dei comuni, che erano tenuti a controllare essendo le aziende concessionarie
". Inoltre "le intercettazioni prodotte dai Carabinieri del Ros evidenziano proprio questo fatto: perché in quelle intercettazioni sono proprio gli imputati titolari di queste aziende a sollecitare l'intervento sindacale per sottoscrivere accordi laddove c'è da tamponare problemi nei confronti delle amministrazioni e laddove c'è da sbarazzarsi di qualche operaio che non sta al volere dell'azienda".
"Questi accordi stanno a significare un 'condizionamento' (per usare le parole dell'avvocato Donini al processo) esercitato da questi signori anche sulle organizzazioni sindacali".
Grazie a questo fatto si è "riusciti a derubricare il reato ed a ottenere uno sconto di pena".
Un secondo aspetto sul quale va posta l'attenzione è che "adesso non possiamo stare tranquilli e pensare che, come dice Fugatti il presidente della provincia di Trento, la magistratura ha fatto il suo dovere e ha risanato e la provincia di Trento ha dimostrato di avere gli anticorpi, perché non è così".
"I condannati, tranne la moglie di uno di questi, sono tutti calabresi e si rischia di indicare loro come unici responsabili di quello che è successo". "Non dobbiamo dimenticarci che sono stati coinvolti in questa vicenda i vertici del tribunale di Trento" e "non dobbiamo dimenticarci che ci sono state compromissioni da parte di personaggi politici e amministratori locali" alcuni dei quali potrebbero essere rinviati "a giudizio per voto di scambio".
Giulio Carini, per esempio, imprenditore calabrese, è stato accusato di essere il punto di raccordo tra Innocenzio Macheda (secondo l’accusa il ‘capo’ della locale di ’Ndrangheta) e istituzioni politiche, economiche, oltre che con la magistratura. Secondo gli investigatori organizzava cene a cui partecipavano esponenti di spicco delle istituzioni trentine. L’ascolto delle conversazioni di Carini, spiegano i magistrati nei documenti allegati al processo, ha documentato gli innumerevoli contatti e la sua frequentazione con soggetti istituzionali: un ex prefetto di Trento, un vicequestore della polizia, un capitano dei carabinieri, giudici del tribunale, personalità della politica, un primario dell’ospedale Santa Chiara e altri ancora.
"La questione è dilagata nell'intera provincia di Trento" ha concluso Walter Ferrari ed è indice diretto della responsabilità "della comunità trentina".
Per questo continueremo a chiedere l'istituzione di una "commissione di inchiesta a livello politico su tutta questa vicenda".
Proposta già fatta da Filippo de Gasperi (lista ‘Onda Civica’) e dal consigliere provinciale dei 5 Stelle Alex Marini, ma prontamente ignorata dalla politica locale.

Foto © Imagoeconomica

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