La Corte costituzionale ha accolto il conflitto di attribuzioni sollevato dal Csm nell'ambito del procedimento disciplinare a carico di Cosimo Ferri, il deputato finito nello scandalo Palamara. La Consulta ha pertanto annullato la deliberazione con cui, il 12 gennaio scorso, la Camera dei deputati ha negato alla sezione disciplinare del Csm l'autorizzazione all'utilizzo delle captazioni che hanno coinvolto Ferri, magistrato fuori ruolo, il quale per diversi anni ha svolto mandato parlamentare. La deliberazione della Camera è stata annullata, perché ritenuta in contrasto con l'articolo 68, terzo comma, della Costituzione. All'origine del conflitto - deciso con una sentenza depositata oggi (scritta dal giudice Stefano Petitti) - vi era la richiesta di autorizzazione della sezione disciplinare del Csm all'utilizzo di intercettazioni acquisite nell'ambito dell'indagine dei pm di Perugia sul cosiddetto 'caso procure' nei confronti dell'ex magistrato Luca Palamara. La Corte costituzionale ha stabilito che l'utilizzo delle intercettazioni non richiedesse, come invece sostenuto dalla Camera dei deputati, l'autorizzazione preventiva (a norma dell'articolo 4 della legge 140/2003", non risultando che l'attività di indagine "fosse univocamente diretta a intercettare anche le comunicazioni dell'onorevole Ferri". Per il fatto di aver negato l'autorizzazione sul presupposto dell'assenza di un'autorizzazione preventiva, in realtà non necessaria, senza invece pronunciarsi sulla richiesta di autorizzazione successiva (a norma dell'articolo 6 della legge 140/2003, la Camera dei deputati ha quindi, secondo la Consulta, "esercitato si' attribuzioni ad essa in astratto spettanti, ma, in concreto, travalicandone i limiti". La Corte ha stabilito pertanto che "la richiesta di autorizzazione avanzata dalla sezione disciplinare richiede una nuova valutazione, da parte della stessa Camera dei deputati, della sussistenza dei presupposti ai quali l'utilizzazione delle intercettazioni effettuate in un diverso procedimento è condizionata".
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