“La situazione dentro le carceri è sfuggita di mano ed è un problema enorme per le funzioni pubbliche e per lo Stato che ha il compito di controllare e garantire questo settore di fronte ai cittadini”. Così il procuratore aggiunto di Catania Sebastiano Ardita, già consigliere togato al Csm, intervenuto lo scorso venerdì 30 giugno ad un convegno organizzato dall’Accademia della Legalità presso la sala Protomoteca del Campidoglio. Un evento interessante in cui il magistrato, oltre a presentare il suo ultimo libro “Al di sopra della legge” (Ed. Solferino), ha avuto modo di analizzare il sistema “Giustizia” e quello carcerario. Ardita nella sua carriera in magistratura si è occupato molto di mafia ma conosce bene anche la realtà del carcere essendo stato per nove anni responsabile dell'applicazione del 41bis, ricoprendo il vertice del Dap. E proprio grazie alla sua esperienza nel Dipartimento dell’Amministrazione Penitenziaria, Ardita ha voluto ricordare al pubblico le rivolte che ci sono state dentro le carceri nel 2020: “Un fatto di una gravità inaudita da non potersi spiegare, che non va dimenticato”. “Erano rivolte generalizzate in tutte le carceri di fronte alle quali lo Stato ha issato la bandiera bianca - ha aggiunto -. Senza che vi fosse qualcuno che spiegasse cosa stesse accadendo, grazie anche alla copertura dovuta al disinteresse dovuto a un problema più grande come il Covid-19, che però nel frattempo è andato via mentre la situazione dentro le carceri è rimasta”. Ardita ha voluto esaminare le proteste carcerarie durante la fase del lockdown perché sono sintomo di una cattiva gestione del sistema carcerario e del suo stato di totale abbandono.
Come se non bastasse, ha aggiunto il magistrato, “dal carcere partono centrali telefoniche o telematiche di ordini all’esterno e sono diventate piazze di spaccio”.
“Un tempo ci si occupava dei giovani che entravano in carcere, perché l’obiettivo fondamentale era tutelare le persone più deboli - ha continuato -. Oggi un giovane nella sua prima esperienza detentiva viene lasciato in una sezione in cui c’è scritto che gli agenti si attestano fuori dalla sezione…”. “Quante violenze sessuali sono avvenute in carcere in questi anni? Violenze non denunciate e non denunciabili - ha affermato con forza -. Questo sta succedendo. E tutto ciò fa parte di un sommerso che non interessa e di cui nessuno si occupa. Temi che non suscitano né la curiosità né l’attenzione dei pubblici poteri che sono chiamati a vigilare e a garantire il funzionamento delle carceri italiane”.
Riforma Cartabia e giustizia riparativa
Nel corso dell’evento è stato dato ampio spazio anche alle domande del pubblico. Tra queste ve ne sono state alcune legate anche alla Riforma Cartabia e al concetto di giustizia riparativa contenuto al suo interno. Argomenti complessi e impegnativi che il magistrato è riuscito a sintetizzare e semplificare.
“Ipotizzare che chi ha commesso un reato, nella fase dell’esecuzione della pena - dopo la sentenza passata in giudicato - possa, con il consenso della vittima e quando non c’è più un processo, trovare un momento di comunicazione con la persona che ha subito il danno è una cosa che mette d’accordo tutte le persone di buon senso - ha risposto Ardita -. Può essere una forma nuova e risolutiva di trattamento penitenziario. Il problema è che la cosiddetta Riforma Cartabia non solo ha banalizzato la funzione della giustizia riparativa, bensì l’ha resa inattuabile cucendo addosso a un soggetto che non può riceverlo un abito non suo. L’intera riforma prevede una serie di obblighi di comunicazione a carico dagli organi giudiziari, dal primo atto del procedimento, con cui informano l’indagato della possibilità di avviare un percorso di giustizia riparativa”. Ciò significherebbe che, in teoria, “se una persona commette una violenza sessuale deve essere informato con il primo atto che può avviare un percorso di riparazione e quindi può andare a chiedere di incontrare la vittima della violenza sessuale prima del processo”, ha aggiunto. Questa, ha continuato Ardita, “è una cosa di una tale enormità che fa intendere perfettamente come tale scelta, cioè la possibilità di infilare in ogni fase del processo questa opportunità, è semplicemente il tentativo di rendere ideologica una prospettiva che potrebbe essere sostanziale e di renderla inattuabile”. A maggior ragione in un carcere come quello attuale, “in cui i livelli di rispetto delle regole interne e delle altre persone che coabitano gli spazi è bassissimo, in cui le violenze si sono moltiplicate e i reati sono cresciuti in modo geometrico”.
In questo contesto di assoluta mancanza di regole, ha concluso Ardita, “nessuno accetta un dialogo o un dibattito pubblico. Io vorrei fare un dibattito pubblico con chi ha pensato questa riforma”.
Foto © Imagoeconomica
ARTICOLI CORRELATI
Riforma Nordio, Ardita: ''Togliere abuso d'ufficio tutela i colletti bianchi''
Riforma anti-indagini: in Cdm via abuso d'ufficio e stretta sul traffico di influenze
Riforma 'ammazza-indagini': Nordio annuncia taglio dei fondi per le intercettazioni
Intervento del senatore Scarpinato contro le riforme classiste di Nordio
Melillo: ''Togliere intercettazioni su corruzione? Danno serio a lotta alla mafia''
Ardita: ''Sistema carcerario in stato di abbandono. Sono preoccupato''
- Dettagli
- Jamil El Sadi
