Intervista esclusiva di ANTIMAFIADuemila al Commissario Capo della Casa Circondariale di Ancona
La società ha poca conoscenza del ruolo della polizia penitenziaria, per iniziare quel è il suo ruolo e suoi compiti?
“Non può tacersi come la società non abbia una conoscenza approfondita del corpo della polizia penitenziaria. Io ritengo che una prima risposta possa essere che oggi siamo tutti proiettati sulla fase delle indagini. Siamo tutti alla ricerca di quello che è il colpevole, il nemico dello Stato, spesso anche con aggiornamenti mass mediatici. Nel momento in cui viene arrestato e viene condotto in carcere sembra che sia la fine di tutto.
Il lavoro della polizia penitenziaria non interessa a nessuno e si ritorna a parlare del soggetto solo quando dopo un lungo percorso riesce a ottenere qualche beneficio, quale potrebbe essere il permesso o una misura alternativa. Ma di tutto quello che si è fatto durante l'esecuzione della pena se ne parla pochissimo.
Tutti si preoccupano di carcere ma nessuno si occupa di carcere.
Un altro problema è che il carcere è visto come la realtà che deve stare 'fuori' dalla società, è quel 'qualcos'altro' che è degli altri. Mentre in carcere purtroppo è facile entrarci.
In tutto questo la polizia penitenziaria non riesce a trovare un adeguato riconoscimento sociale nonostante l'altissimo valore che gli viene attribuito: la polizia penitenziaria non si occupa soltanto di far eseguire i procedimenti di esecuzione della pena e traduzione dei detenuti, ma soprattutto garantisce la sicurezza interna ed esterna agli istituti penitenziari, quindi la legalità all'interno degli istituti, ma partecipa anche alle opere di rieducazione, un compito difficilissimo che richiede il giusto dosaggio tra umanità e fermezza per coniugare nel migliore dei modi le finalità di sicurezza”.
Questa casa circondariale quanti detenuti ospita?
“Attualmente ho trecentoquindici detenuti di cui novanta sono definiti detenuti di 'alta sicurezza' perché appartengono ad una associazione a delinquere di stampo mafioso”.
Dalle cronache è emerso che agenti della polizia penitenziaria si sono tolti la vita. Vi sono problemi di cui può parlarci?
“L’amministrazione da tempo sta avviando dei percorsi volti a garantire il benessere del personale. Per cui abbiamo dei progetti tutt'ora in atto" con "il supporto da parte di alcuni psicologi che riguardano incontri sia collettivi e sia individuali quando si presenta la necessità. Io ritengo che rispetto ai suicidi nelle Forze dell'ordine si dice che la polizia penitenziaria ha un numero elevato, ma io non credo che sia così tanto elevato rispetto alle altre forze dell'ordine perché sono proprio i compiti che sono diventati sempre più difficili per tutti.
Probabilmente questo lavoro, siccome viene svolto per la maggior parte al chiuso, tende ad enfatizzare sempre di più certe situazioni e certi disagi personali”.
Ci sono delle gravi mancanze di organico. Si parla anche di agenti che non riescono ad avere neanche un giorno di ferie. Conferma?
“Io sono ormai qui da sette anni come Comandante dell'istituto e devo dire che in questi sette anni ho sempre lavorato con il 30 - 35 percento di carenza del personale. Mi spiego. Io dovrei avere 176 agenti e invece lavoro con 115 agenti, quindi meno 61 agenti.
D'altronde questo istituto è di primo livello e ospita trecentoquindici detenuti. Ma c'è anche un altro problema ed è che questo istituto accoglie anche i detenuti della provincia di Macerata. Dopo la chiusura della casa circondariale di Camerino per gli eventi sismici del 2017 noi accogliamo sia arrestati provenienti da Ancona ma anche quelli provenienti da Macerata, e questo comporta un ulteriore aggravio di lavoro.
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Se pensiamo che in questo istituto c'è il servizio sanitario, quindi il medico con l'infermiere, garantito 24 ore su 24 - siamo gli unici nelle Marche se consideriamo che ad Ascoli Piceno il medico è presente solo in alcune ore della giornata - quindi significa che l'amministrazione assegna dei detenuti con particolari tipologie che richiedono continui contatti con i presidi ospedalieri e molto spesso siamo costretti ad annullare delle visite specialistiche a danno della salute del detenuto, diritto costituzionalmente garantito, proprio perché non riusciamo a far fronte a tutte le traduzioni.
Consideriamo anche che l'autorità giudiziaria di Macerata non viene in istituto per celebrare le udienze di convalida e gli interrogatori di garanzia e quindi siamo costretti ogni volta ad andare a Macerata con enorme dispendio di risorse umane.
C'è una grave carenza di funzionari giuridico - pedagogici all'interno degli istituti. Noi dovremmo avere tra Montacuto e Barcaglione (perché i due istituti sono unificati, c'è una unica direzione), abbiamo trecento circa detenuti qui e cento circa a Barcaglione, e abbiamo appena sei funzionari giuridico - pedagogici rispetto agli otto - nove previsti. E il nucleo di Ancona soddisfa anche le esigenze di Barcaglione per quanto riguarda le udienze e le visite specialistiche.
È molto difficile riuscire a garantire il tutto con una carenza del 35 percento del personale”.
Oltre a questo si sommano anche delle difficoltà interne particolarmente pesanti.
“La gestione del carcere è diventata particolarmente difficile. Come diceva Cesare Lomborso il carcere ha effetti desocializzanti. Purtroppo ci arrivano in istituto anche detenuti ristretti per criminalità sociale, fragilità economiche o famigliari, che hanno commesso il reato otto o nove anni prima. La sentenza definitiva arriva dopo otto o nove anni. Gente che ha una famiglia, un lavoro, e viene portata in carcere con pene anche inferiori a quattro anni. Ma il carcere aggrava anche situazioni di disagio psichico che non è malattia psichiatrica rilevante.
Diciamo che non c'è una ricerca scientifica su questo ma diciamo che circa il sessanta percento soffre di disagio psichico e a questi si devono aggiungere anche quelli psichiatricamente rilevanti.
Proprio oggi è arrivato da noi un provvedimento di assegnazione di un detenuto a una Rems (Residenza per l'esecuzione delle misure di sicurezza ndr) e non c'è posto. Le Rems non hanno di fatto adeguatamente sostituito gli Opg (ospedali psichiatrici giudiziari ndr) che non sono stati chiusi dalla commissione Marino nel 2015 perché erano luoghi inumani e degradanti, ma attualmente le Rems non li hanno sostituiti perché i posti sono pochissimi.
C'è una lista di attesa lunghissima e noi non riusciamo a trasferire questa gente in una Rems. Perché se escono fuori commettono dei reati.
Il quaranta percento dei detenuti sono stranieri e quindi abbiamo difficoltà con le barriere culturali e linguistiche.
E un buon 35 percento sono ex tossico dipendenti e presentano disturbi comportamentali.
Quindi la gestione dell'istituto è veramente molto difficile se consideriamo anche che é una realtà molto complessa ed eterogenea: c’è l'area sicurezza, di cui mi occupo personalmente, l'area sanitaria, l'area trattamentale e anche quella contabile.
La polizia penitenziaria deve far fronte a numerosissimi eventi critici che si verificano quotidianamente: gesti autolesivi, gente che ingerisce la lametta, denti delle forchette, batterie, gente che si barrica in cella, risse o sopraffazioni del personale. Tutti gesti pretestuosi volti a ottenere qualche telefonata in più, lavori, trasferimento in altra sede”.
Ci furono dei disordini anche nel marzo 2020.
“Ci furono in 28 istituti delle rivolte che portarono a dodici decessi, tutti per overdose da farmaci.
Le rivolte purtroppo ci hanno insegnato che i detenuti andavano in due direzioni diverse: la prima era quella di andare nei locali dove noi abbiamo tutta l'attrezzatura per la manutenzione ordinaria dell'istituto" e "parte dei detenuti invece andavano in infermeria dove si procuravano del metadone e quindi ci furono dei decessi.
Noi abbiamo avuto due tentativi di rivolta a Marzo 2020 e siamo riusciti a prevenirli parlando con i detenuti e riuscendo subito a capire quali fossero i promotori e trasferirli subito. Ma non c'è stata la rivolta non perché siamo stati più bravi degli altri ma perché siamo forse riusciti ad arrivare in tempo e a parlare e guardare meglio negli occhi i detenuti e a parlargli per cercare insieme una soluzione”.
Il dott. Sebastiano Ardita nel suo libro 'Al di sopra della legge. Come la mafia comanda dal carcere' ha parlato della circolare delle 'celle aperte'. Vi sta creando problemi questa circolare nella gestione della struttura?
“Diciamo che non abbiamo avuto difficoltà ma abbiamo costatato che difatti la circolare era un po' utopistica. I detenuti secondo quella circolare dovevano recarsi tutti alle attività trattamentali e non doveva rimanere nessuno all'interno delle sezioni. E questo ha dato la possibilità al detenuto di oziare nei corridoi con le camere aperte. E si sono verificati anche eventi critici perché consentono ai detenuti di rubare il caffè, la sigaretta e di introdursi all'interno delle altre camere.
Però nel frattempo è intervenuta una circolare del 22 maggio 2022 con cui si è cercato di riequilibrare: noi avevamo quattro sezioni di media sicurezza e due di alta sicurezza. Le sezioni ad alta sicurezza sono escluse da questo regime di vigilanza dinamica perché la finalità è di impedire i collegamenti con l'esterno. Questa circolare è rivolta solo alla media sicurezza.
Noi avevamo quattro sezioni di media sicurezza di cui tre aperte e una chiusa. Questa circolare ci invita a rivedere il circuito della media sicurezza: quindi abbiamo chiuso due sezioni e due le lasciamo aperte.
Questo perché le sezioni chiuse sono sezioni ordinarie a preparazione del trattamento intensificato, mentre quelle aperte sono dette sezioni in preparazione al trattamento intensificato, dove c'è gente che partecipa ad attività trattamentali e che ha mostrato nel corso del tempo una condotta più regolare.
Però si ha creato problemi perché il detenuto oziava all'interno della sezione”.
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Per quanto riguarda i detenuti mafiosi, ci sono stati dei momenti in cui hanno cercato di aggregarsi e prendere il controllo di una parte della struttura?
“Il controllo della struttura no ma all'interno delle sezioni ci sono queste situazioni di potere di fatto informali che si vengono a costituire rispetto a quella che è la gerarchia istituzionale.
All'interno delle sezioni ci sono dei soggetti che a seconda del reato e a seconda del loro 'curriculum' tendono a gestire quella che è la sezione all'interno degli istituti.
Le cose sono cambiate anche per quanto riguarda i 'disvalori' soprattutto della Camorra.
Tanti anni fa avevamo un soggetto che all'interno della sezione aveva un suo peso ma era un soggetto anziano che aveva un curriculum abbastanza particolare ed era più rispettoso delle istituzioni, almeno dentro gli istituti penitenziari.
Ultimamente c'è gente che tende a predominare all'interno della sezione ma sono tutti ragazzini che si sono macchiati di crimini che prima non erano commessi. Io ho avuto un detenuto che aveva commesso l'omicidio di un ragazzino diciottenne - quindi condannato in primo grado all'ergastolo - che si era rifiutato di fare lo stesso tatuaggio di un boss della cosca rivale. Per cui questo ragazzino si era trovato nell'impossibilità di farsi lo stesso tatuaggio perché sarebbe stato ammazzato dal clan rivale. E lui l'ha freddato perché i codici sono cambiati. Quindi mostrando all'interno dell'organizzazione che per lui la vita contava pari a zero ha acquisito potere.
Adesso ci troviamo un ragazzino che si è macchiato di un reato molto deplorevole.
E all'interno delle sezioni ci sono coloro che tendono a predominare rispetto agli altri. Spesso si dice che il carcere arruola, ed è vero. Ci sono delle affiliazioni che avvengono all'interno del carcere.
Il dato particolare è che all'interno del carcere c'è molta solidarietà. Nel senso che i detenuti (che possono essere anche di un clan rivale, a meno che non parliamo di situazioni esterne in cui magari fuori gli hanno ammazzato qualche perente) si rispettano tutti e c'è molta solidarietà.
Anche se di cosche contrapposte.
Perché sanno benissimo che sono in una situazione di difficoltà e lo sono anche i loro famigliari e quindi il carcere deve aiutare loro e le loro famiglie.
Proprio magari fuori ci sono degli scontri, in carcera per fortuna questo non avviene. C'è comunque la tendenza da parte di alcuni di loro di dettare le regole rispetto a quelle che sono le regole dell'amministrazione penitenziaria”.
Un anno fa c'è stata la Riforma Cartabia. Quali sono le criticità che ci può segnalare se ne avete avute?
“Siamo in attesa di quelli che sono i decreti attuativi che verranno emanati entro il trenta giugno. Per il momento di effetti non ne abbiamo avuti però potrebbe portare molti benefici al carcere.
Uno degli obbiettivi della riforma Cartabia è quello di deflazionare un po' il carcere nel senso che il giudice anziché condannare al carcere può condannare la persona a sanzione sostitutiva o alla pena sostitutiva, che non è la misura alternativa dopo la fase di esecuzione. Il giudice di cognizione può quindi dare queste misure sostitutive che sono quindi la semi libertà o la detenzione domiciliare. Questo evita l'ingresso del detenuto all'interno del carcere e questo potrebbe portare ad uno sfollamento del carcere.
Il problema e che questa riforma avverrà senza un incremento delle risorse umane, lo dice l'articolo 99 stesso del decreto della Cartabia.
Quindi io non so bene come riusciranno, se già avevano difficoltà a dare informazioni prima al magistrato di sorveglianza per le misure alternative durante la fase di esecuzione della pena, affinché potesse decidere se il soggetto poteva essere condannato o no ad una pena sostitutiva, non so come il personale riuscirà a svolgere questo compito senza un incremento di queste risorse.
La Riforma Cartabia modifica anche l'articolo 13 dell'ordinamento penitenziario per quanto riguarda le modalità di trattamento ma soprattutto introduce l'articolo 15 bis con cui si obbliga l'amministrazione a garantire dei percorsi di accesso ai detenuti a programmi di giustizia riparativa, come l'incontro tra vittima del reato e autore del reato. L’articolo 15 bis prevede che il magistrato di sorveglianza nella concessione delle misure alternative deve valutare la partecipazione a prescindere da quello che è l'esito della giustizia riparativa. E se un detenuto non porta a termine quello che è il programma delle misure alternative o comunque lo interrompe questo può essere valutato comunque dal magistrato di sorveglianza.
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E questo è importate perché se il detenuto decide spontaneamente di incontrare la vittima questo è importante ai fini di una rieducazione del condannato. Perché il detenuto sicuramente riconosce di aver sbagliato, c'è quel processo di revisione critica e la volontà di voler porre rimedio al danno procurato alla vittima. Perché noi in carcere assistiamo al fatto che spesso il detenuto non intraprende quel processo di revisione critica che non lo porta alla rieducazione: la colpa è sempre dell'avvocato che ha sbagliato, del magistrato che si è accanito contro di lui, del giudice che non ha valutato bene i fatti, quindi è importante secondo me questo percorso di cambiamento riconoscendo di aver sbagliato e di voler incontrare la vittima”.
Quale apporti normativi o di altro genere servono per migliorare la tenuta del carcere?
“Più che interventi normativi bisogna adeguare gli organici e investire di più sul cercare perché se vogliamo che la pena sia realmente rieducativa abbiamo bisogno di parlarci e di incontrare i detenuti: invece siamo pochi e con tante incombenze da fare non riusciamo tante volte ad incontrare il detenuto. E da quell'incontro può nascere il cambiamento.
Ma soprattutto per la gestione dell'alta sicurezza per impedire che possano continuare dall'interno a gestire traffici e continuare con la loro attività criminale dall'esterno; manca personale anche per effettuare le vigilanze e soprattutto per prevenire quel fenomeno dell'ingresso dei telefonini in carcere che sta diventando spropositato. I telefonini sono piccolissimi e di plastica e quindi riescono a superare anche il controllo di Metal detector.
E quindi secondo me bisogna adeguare gli organici della polizia penitenziaria e di tutti gli operatori e investire di più sul carcere. E l'intervento legislativo forse c'è che è quello della concreta attuazione della Riforma Cartabia perché ha cambiato un po' il senso della pena in ottica di pedagogia collettiva.
Dobbiamo decidere chi deve stare in carcere. Ritengo che sia fondamentale il 41 bis e dell'alta sicurezza perché dobbiamo cercare di evitare che possano comunicare con l'esterno e quindi continuare con l'attività delittuosa. Però c'è una grossa fetta della popolazione detenuta che può scontare la pena con la società nella società.
Quindi secondo me è importante che venga portata avanti la Riforma Cartabia in modo tale che sappiamo chi deve stare in carcere, gestiamo quei detenuti con i costi trattamentari adeguati e il resto può scontare la pena fuori dal carcere”.
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