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Silvio Berlusconi era indagato dalla procura di Firenze per un presunto ruolo di ‘mandante esterno’ alla mafia per le stragi del '93.
Con la sua morte si chiude definitivamente l'inchiesta nei suoi confronti, tuttavia le cose potrebbero andare diversamente per l'altro co-indagato, Marcello Dell'Utri, cofondatore di Forza Italia già condannato per concorso esterno in associazione mafiosa, pena scontata.
In presenza di una possibile richiesta di rinvio a giudizio a carico di Dell'Utri per comportamenti criminosi con l’ex premier, i pm potrebbero scrivere “in concorso con il defunto Berlusconi”.
Quest'ultimo, ricordiamo, non è mai stato processato o condannato per 'rapporti' con la mafia: fu solo indagato e archiviato su richiesta dei pm nel 1997; a Caltanissetta Berlusconi è stato indagato e archiviato su richiesta dei pm più volte per le stragi del 1992. A Firenze era stato iscritto e archiviato più volte su richiesta dei pm per le stragi del 1993.
Allo stato attuale l'ex premier resta per i giudici un imprenditore che, nel 1974, come confermato dalla Corte di Cassazione nel processo a Dell’Utri, incontrò il capomafia di Palermo Stefano Bontade per chiedergli protezione in quel momento storico in cui erano ordinari i sequestri di persona. Cosa nostra gli mise in casa lo "stalliere", boss di Porta nuova, Vittorio Mangano a garanzia. Quel Vittorio Mangano che ha più volte, assieme a Dell'Utri, definito "eroe".
Per i giudici, “i pagamenti di Berlusconi in favore di Cosa Nostra palermitana - quale corrispettivo per la complessiva protezione a lui accordata e in attuazione dell’accordo raggiunto nel 1974 con la mediazione di Dell’Utri - erano proseguiti senza soluzione di continuità. I soldi venivano materialmente riscossi a Milano presso Dell’Utri da Gaetano Cinà che provvedeva a recapitarli a Stefano Bontate e, dopo la morte di quest’ultimo, li faceva pervenire ai Pullarà tramite Pippo Di Napoli e Pippo Contorno, ‘uomo d’onore’ della stessa ‘famiglia’ mafiosa”.
Quando finirono i pagamenti?
La sentenza definitiva contro Dell’Utri ferma il rapporto al 1992, cioè prima della fase politica.
I punti di indagine più delicati su cui oggi stanno investigando i magistrati fiorentini Luca Tescaroli e Luca Turco sono sostanzialmente due: i presunti innesti finanziari senza paternità nelle società che hanno dato vita alla Fininvest e sulle affermazioni (per ora senza riscontro) del capo mafia di Brancaccio Giuseppe Graviano.
Andiamo per ordine.


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Luca Tescaroli © Imagoeconomica


L'esame sulla vita imprenditoriale di Berlusconi (tra il febbraio 1977 e dicembre 1980) ha un fulcro, una relazione tecnica, di oltre 500 pagine depositata nei mesi scorsi, da cui sono emerse delle novità rispetto alle operazioni ‘anomale’ rilevate nella prima consulenza fatta a Palermo e prodotta nel processo a Marcello Dell’Utri: gli esperti dei pm fiorentini avrebbero accertato che ci sono settanta miliardi e mezzo di lire (versati in contanti) di origine non decifrabile che hanno foraggiato l'impero societario di Berlusconi.
A questo si aggiunge anche il racconto (ripetiamo finora senza alcun riscontro) di Giuseppe Graviano ai pm di Firenze del 20 novembre 2020: “Mio nonno portò me e Salvatore (cugino di Graviano, ndr) a Milano a incontrare Silvio Berlusconi. L’incontro avvenne all’Hotel Quark (…) con Berlusconi ho avuto un incontro anche nel 1985/1986, allorquando ero già latitante (…) sapeva che io ero latitante”.
Il cugino sarebbe (in ipotesi) anche il custode di una “carta privata” (mai trovata) che proverebbe l’investimento da 20 miliardi di lire compiuto negli anni ’70 dal nonno di Graviano, Filippo Quartararo, ed altri finanziatori siciliani negli affari di Silvio Berlusconi a Milano.
Queste affermazioni sono state bollate come calunniose da Berlusconi e dai suoi legali.
Infatti i punti che i pm dovranno chiarire e verificare sono ancora molti.

Le indagini sul capitale originario della Fininvest
L’analisi documentale, grazie alla nuova produzione, ha permesso agli inquirenti di alzare il velo anche su altre operazioni, cioè una serie di acquisizioni di società da parte della Fininvest che pochi mesi prima del passaggio di mano sono state ricapitalizzate per miliardi di lire e anche qui, secondo i documenti, senza nessuna traccia dell’origine dei soldi.
Ad esempio il 26 giugno del 1979 in "assenza di un apporto esterno di provvista finanziaria", vengono acquisite da Fiduciaria Padana all’interno del gruppo Fininvest delle partecipazioni in Parking Milano 2, Società milanese costruzioni e Società generale costruzioni immobiliari.
Qualche mese prima le due società avevano aumentato il proprio capitale di sei miliardi di lire, ma anche in questo caso era stato detto attraverso non ben identificati fondi. Stesso discorso vale per l’acquisizione da parte di Fininvest della partecipazione in Cantieri riuniti milanesi e della Finanziaria commerciale: nessuna traccia dell’origine dei soldi che hanno consentito di rappresentare un valore economico di 27,6 miliardi per la prima società e 20 miliardi per la seconda". I consulenti hanno indicato queste operazioni come "non meglio precisabili sotto il profilo quantitativo e della relativa provenienza".


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Giuseppe Graviano


Oltre a questo nelle mani della procura vi è anche un'altra consulenza tecnica. Quest'ultima era stata effettuata l'11 maggio 2022 e fra le pagine emergeva "la mancata giustificazione della provvista impiegata (oltre 16 miliardi di lire) per la reintestazione di crediti a nome di Fininvest Roma, in parte riportati nel bilancio di esercizio 1977 della Fininvest spa".
Dopo oltre trent'anni la domanda rimane sempre la stessa: chi aveva fornito i finanziamenti confluiti nelle casse delle "società che hanno dato vita al gruppo Fininvest"?
Vi è un nesso tra gli "innesti finanziari" e i boss di Cosa Nostra?
Il condizionale è d'obbligo in quanto nulla è stato accertato. Certamente alcuni collaboratori di giustizia hanno sostenuto che quelle somme, frutto del traffico di droga e di cui solo “il principe” Stefano Bontate sapeva la destinazione, fossero finite nelle società di Berlusconi.
Ma di questo passaggio di denaro da Cosa Nostra alla Fininvest non vi è stata prova.
Un boss a conoscenza della destinazione del denaro sarebbe stato, secondo Giovanni Brusca, Giovannello Greco: il pentito aveva raccontato nel 2010 ai pm di Palermo che Greco sarebbe ritornato nel 1982 a Palermo ed avrebbe minacciato di morte la famiglia di Gaetano Cinà - boss di primissimo piano che si incontrava con Berlusconi come riferito dal collaboratore di giustizia Francesco Di Carlo (testimone oculare) - amico di Dell’Utri, per recuperare (con successo) la sua quota dell’investimento.

Le parole di Graviano e la 'bella cosa' che vuol dire strage
In un colloquio intercettato in cella del 14 marzo 2017 “è lo stesso Graviano che imputa a Silvio Berlusconi di essere il mandante delle stragi...‘Tu mi stai facendo morire in galera... che sei tu l’autore... io ho aspettato senza tradirti...’” scrive la Dia in una informativa di 72 pagine firmata dal capocentro Francesco Nannucci.
Nel solco di quello che rimane solo un’ipotesi investigativa ancora da verificare e che allo stato non è dimostrata, la Dia ha raccolto sufficienti indizi per ritenere che i riferimenti di Giuseppe Graviano nel colloquio con Umberto Adinolfi, siano per il coinvolgimento di Silvio Berlusconi e Marcello Dell’Utri nella strage dell’Olimpico di Roma del 23.1.1994 e non per altri episodi, mai riscontrati. Vi è infatti il fondato motivo di credere che Berlusconi, tramite la mediazione di Dell’Utri e di altre persone allo stato ignote, abbia "intrattenuto nel tempo rapporti con esponenti di spicco della mafia siciliana, per ultimo Giuseppe Graviano”.


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Strage via dei Georgofili


La Dia racconta che Graviano, nel 2016, avrebbe confidato al compagno di detenzione Umberto Adinolfi che la strage dello Stadio Olimpico di Roma (23 gennaio 1994) gli sarebbe stata chiesta da Silvio Berlusconi: “Si può affermare che la conversazione ambientale del 10 aprile 2016, oggetto di rivalutazione nel corso dell’odierna delega di indagine, è riconducibile al contesto criminale relativo alla strage dell’Olimpico del 23 gennaio 1994, con il coinvolgimento di Silvio Berlusconi, per il tramite di Marcello Dell’Utri, quale diretto interessato alla sua realizzazione”.
Ma qual è il percorso che hanno seguito gli investigatori per arrivare a tale conclusione?
Il 10 aprile 2016 la Procura di Palermo, nell'ambito dell'inchiesta sulla trattativa Stato-mafia, aveva intercettato nel carcere di Ascoli Piceno il capomafia mentre parlava con il compagno d'ora d'aria delle stragi del 1993, del 41 bis, dei dialoghi con le istituzioni. Ma ad un certo punto aveva fatto riferimento all'ex premier: “Berlusca mi ha chiesto questa cortesia. Per questo è stata l’urgenza”. E poi: “Lui voleva scendere, però in quel periodo c’erano i vecchi e lui mi ha detto ci vorrebbe una bella cosa". E ancora: “Nel ’93 ci sono state altre stragi ma no che era la mafia, loro dicono che era la mafia”.
Secondo gli investigatori la “bella cosa” a cui fa riferimento Graviano nel 2016 era “con tutta probabilità” una strage.
Certamente queste sono solo ipotesi investigative da cui la Dia ritiene si generino “importantissimi elementi probatori in merito ai fatti per cui si indaga (cioè le stragi del 1993, ndr) con specifico riferimento a Silvio Berlusconi”.
L'ex premier, così come i suoi legali, hanno negato tutto parlando di accuse infondate.
Inoltre Graviano, interrogato sul punto, non ha confermato la lettura data dalla Dia delle sue parole.
Il boss di Brancaccio, sentito nel 2020 e nel 2021 dai pm di Firenze avrebbe ammesso che sì le parole erano riferite a Berlusconi, ma solo quando parlava degli investimenti del nonno e della sua delusione per le leggi sul 41 bis.
Anche questo è un punto che dovrà essere provato e su cui ora non vi sono riscontri.
Ma alla domanda specifica dei pm a Graviano: “Ci dica se Berlusconi è stato il mandante delle stragi?” il boss avrebbe risposto: “Non lo so se è stato lui”.
Alla luce di tutto questo è naturale pensare che occorre continuare ad indagare in merito alle questioni riportate dalla Dia e dai magistrati fiorentini, anche per cercare di ricostruire in chiave storica una delle pagine più buie della storia d'Italia.

Foto di copertina © Imagoeconomica

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