I pubblici ministeri hanno terminato nei giorni scorsi la requisitoria nell'ambito del processo 'Perfido' sulle infiltrazioni della 'Ndrangheta in Trentino: in tutto sono state chieste pene per un totale di 88 anni di carcere per gli imputati che hanno scelto il rito abbreviato.
L'accusa per tutti è di associazione mafiosa, a cui si aggiunge per quattro imputati la riduzione in schiavitù.
Il pm Davide Ognibene ha parlato anche dei primordi dell'operazione Perfido: l'inizio dell'inchiesta può essere fisata a partire dall'episodio del pestaggio dell'operaio cinese nel dicembre 2014: tre macedoni vennero condannati per lesioni aggravate e sequestro di persona. Per quel fatto sono indagati anche tre carabinieri che all'epoca erano in servizio ad Albiano, accusati di omissione di soccorso del ferito, omessa denuncia per non aver segnalato all'autorità giudiziaria i responsabili e favoreggiamento.
Ai tre è contestato anche il 416 bis comma 1, ossia di aver agevolato l'attività della "locale" della 'Ndrangheta.
Oltre a questo sono state ricordate anche alcune delle molte difficoltà incontrate dagli investigatori: quando questi ultimi iniziarono ad interessarsi agli affari di alcuni imprenditori di origine calabrese, gli stessi interessati vennero a sapere di essere oggetto di verifiche grazie ai loro agganci al sud.
Anche il pm Maria Colpani ha preso la parola davanti alla Corte raccontando la preoccupante capacità di infiltrazione nel tessuto economico locale, ripercorrendo quando emerso nell'indagine dal punto di vista finanziario.
Il conto più salato a Giuseppe Battaglia (62 anni) Imprenditore del porfido ed ex assessore comunale di Lona Lases: 14 anni, con lo sconto del rito abbreviato (partendo da una pena di 21 anni) accusato di rivestire un ruolo apicale nel sodalizio, accusato anche di sfruttamento dei lavoratori e di reati fiscali.
Per il fratello Pietro Battaglia, 60 anni, ex consigliere comunale di Lona Lases e membro di Asuc, accusato anche di aver procacciato voti per le elezioni comunali di Lona Lases nel 2018, la richiesta della procura è di 11 anni. Stessa pena, ossia 11 anni, anche per Giovanna Casagranda, 58 anni, moglie di Giuseppe Battaglia, alla quale si contesta la collaborazione allo sfruttamento dei lavoratori, l'intestazione di società fittizie ed elusione fiscale.
Si torna in aula a metà luglio, con i difensori delle parti civili.
Foto © Imagoeconomica
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