Depositate le motivazioni della sentenza che ha assolto il direttore di Telejato dall’accusa di estorsione e lo ha condannato per diffamazione
Sono state depositate le motivazioni della sentenza con cui il giudice monocratico del tribunale di Palermo Mauro Terranova ha assolto il giornalista Pino Maniaci dall’accusa di estorsione condannandolo invece per diffamazione. A detta del giudice lo storico editore e direttore dell’emittente “Telejato”, per il quale il sostituto procuratore Amelia Luise aveva chiesto una condanna a undici anni e mezzo di carcere, nella ricostruzione dell’accusa ci sono “vuoti probatori” e “incongruenze”. Mai le sue “pressioni mediatiche” avrebbero raggiunto il livello della minaccia". Le diffamazioni, invece, ci furono tutte e con la recidiva, lesive della dignità delle persone offese e per questo è invece arrivata la condanna a un anno e 5 mesi di reclusione e al risarcimento delle parti civili costituite.
La vicenda risale al 2016. Il giornalista, noto per le sue campagne antimafia attraverso l'emittente di Partinico, finì coinvolto in una indagine della Dda sulla mafia di Borgetto, paese della provincia di Palermo che portò all’arresto di nove esponenti del clan.
Maniaci venne chiamato clamorosamente a rispondere di tentata estorsione e diffamazione, senza l'aggravante mafiosa.
Successivamente, la posizione venne stralciata e separata dagli altri imputati.
Secondo l'accusa Maniaci avrebbe estorto 366 euro agli ex sindaci di Borgetto e Partinico, Gioacchino De Luca e Salvatore Lo Biundo, per non mandare in onda servizi contro di loro.
Mentre le diffamazioni sarebbero state commesse nei confronti di Michele Giuliano, Nunzio Quatrosi e Gaetano Porcasi.
Nel corso del processo (uno dei due tronconi del processo Kelevra) non erano mancati dei colpi di scena clamorosi. Nel novembre 2019, ad esempio, Gioacchino Polizzi, ex assessore di Borgetto a cui, secondo la Procura di Palermo, sarebbe stato imposto da Pino Maniaci di cedere duemila euro di magliette col logo della sua emittente e di pagargli tre mesi di affitto di alcuni locali, sentito come testimone negò categoricamente di aver mai subito minacce, estorsioni o di aver affittato case o ceduto magliette. Due anni gli avvocato Bartolomeo Parrino e Antonio Ingroia sono riusciti ad ottenere l’assoluzione per il suo assistito (salvo per l’accusa di diffamazione). Solo oggi sono state depositate le motivazioni di quella decisione dei giudici. Il giudice del tribunale di Palermo avrebbe riscontrato nei vari episodi contestati come l’ipotesi accusatoria sia stata “viziata da numerose incongruenze e vuoti probatori che l’istruttoria dibattimentale non ha colmato”.
Secondo il giudice le intercettazioni da sole non sarebbero in grado di poter confermare l’esistenza di questa minaccia con fini estorsivi. "Le continue e pressanti richieste da parte dell’imputato, al di là delle colorite e vanagloriose espressioni di Maniaci nelle conversazioni con Candela, - si spiega in sentenza - non hanno mai raggiunto il livello di minaccia perché manca del tutto la prospettazione di un male ingiusto che non è emerso”.
“Gli esponenti politici - si legge -, se da un lato dovevano subire gli attacchi mediatici di Telejato, dall’altro hanno imparato a conviverci. E ad utilizzare anche per il proprio tornaconto la cassa di risonanza costituita dall’emittente televisiva secondo un gioco delle parti di cui tutti erano consapevoli”. Maniaci invece è stato condannato per le diffamazioni nei confronti di Gioacchino De Luca, dell’ex presidente del consiglio di Borgetto Elisabetta Liparoto, dell’ex assessore sempre di Borgetto Vito Spina, del giornalista Michele Giuliano, dell’operatore tv Nunzio Quatrosi e dell’artista e docente Gaetano Porcasi. Ai politici attribuì fantomatici rapporti con esponenti della mafia, gli altri tre furono attaccati attraverso la tv gestita da Maniaci. In questo caso il giudice parla di “uso spregiudicato della sua attività giornalistica”.
Fonte: blogsicilia.it
Foto © Imagoeconomica
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