"C'è tutta una fase delle indagini del processo che ha ricostruito la nascita di questa idea criminale, che era il portato di tutto un dibattito interno agli stati maggiori di Cosa Nostra, secondo cui ritenevano che un attacco di tipo terroristico ai beni irripetibili, ovvero non ricostruibili, potesse avere quell'efficacia ricattatoria nei confronti dello Stato". Lo ha detto Giuseppe Nicolosi (in foto), ex pm della procura di Firenze che ha indagato, col procuratore Pier Luigi Vigna e Gabriele Chelazzi e poi con Alessandro Crini, sulla strage dei Georgofili del 27 maggio 1993 portando a processo Cosa nostra, in occasione della presentazione della mostra che aprirà domani agli Uffizi, per il trentennale dell'attentato che causò 5 vittime e danni gravissimi allo stesso museo. Nicolosi ha anche ricordato di un collaboratore di giustizia che "era stato la persona che aveva accompagnato gli attentatori a fare un sopralluogo preliminare all'esecuzione dell'attentato. Nell'interrogarlo - ha raccontato Nicolosi - facemmo il percorso che avevano fatto gli attentatori nella fase di studio dei luoghi. Fino al piazzale, nel luogo in cui avevano pensato di collocare il Fiorino" imbottito di tritolo, "che poi è stato collocato in un ambiente più ristretto", in via dei Georgofili alle spalle degli Uffizi, "perché lì l'esplosione avrebbe avuto più effetto". Rispondendo poi ai cronisti che gli chiedevano se l'arresto del boss Matteo Messina Denaro possa in qualche modo aprire uno spiraglio sulle vicende di mafia, Nicolosi ha risposto che "al momento non sembra che ci sia" questa possibilità, "ma è auspicabile".
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