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I magistrati della procura di Caltanissetta hanno presentato ricorso contro la sentenza di primo grado emessa dal tribunale nisseno sul depistaggio delle indagini sulla strage di via d'Amelio che si è concluso con la dichiarazione di prescrizione del reato di calunnia aggravata contestato ai poliziotti Mario Bo e Fabrizio Mattei e l'assoluzione del terzo poliziotto imputato, Michele Ribaudo.
"È dimostrato in maniera incontrovertibile il coinvolgimento nella strage del 19 luglio 1992, costata la vita al giudice Paolo Borsellino e alla sua scorta, anche di soggetti estranei all'associazione mafiosa Cosa nostra, affermazione che non può nemmeno essere messa in discussione dal mancato accertamento di specifiche responsabilità penali". Le prove del coinvolgimenti di soggetti estranei alla mafia sarebbero la "tempistica della strage che non coincide con gli interessi della consorteria mafiosa e la strana presenza di appartenenti al servizio di sicurezza attorno alla vettura blindata del magistrato negli attimi immediatamente successivi all'esplosione".
Così scrivono il Procuratore capo di Caltanissetta Salvatore De Luca e il pm Maurizio Bonaccorso nelle 98 pagine che contengono i motivi di appello depositati oggi dopo la sentenza emessa il 12 luglio del 2022 dal Tribunale di Caltanissetta nell'ambito del processo sul cosiddetto depistaggio Borsellino.
"La lettura della sentenza - si legge - manifesta le evidenti difficoltà dei giudici di primo grado nelle operazioni di analisi e valutazione dell'imponente materiale probatorio acquisito nel corso del processo. E la spia di tale difficoltà la si ricava, oltre che da un estenuante ricorso al 'copia e incolla' delle precedenti sentenze che hanno definito i processi già celebrati per l'accertamento delle responsabilità per la strage di via d'Amelio, da contraddizioni e profili di illogicità".
"Contrariamente a quanto sostenuto dal tribunale, la valutazione complessiva delle risultanze probatorie - prosegure il pubblico ministero nisseno - offre un quadro estremamente chiaro delle motivazioni che hanno spinto il dottor La Barbera a commettere gli abusi e i gravi illeciti (accertati con sentenze passate in giudicato) nella conduzione delle indagini sulla strage di via d'Amelio; da un lato certamente anche la finalità di carriera ma soprattutto la necessità di mantenere le indagini su un livello tale da non disvelare i rapporti di cointeressenza che 'Cosa nostra' ha avuto nella ideazione e nell'esecuzione della strage di via d'Amelio e con ambienti esterni alla stessa". Il procuratore generale Salvatore De Luca, ha inoltre chiesto di applicare il pm Maurizio Bonaccorso nella trattazione del processo di secondo grado considerata la "particolare complessità del procedimento".

Sentenza da censurare
"L'impugnata sentenza - scrivono i ricorrenti - è certamente da censurare per le conclusioni alle quali è pervenuto il tribunale con riferimento all'accertamento della responsabilità degli imputati per i reati loro ascritti, alla valutazione del ruolo di Arnaldo La Barbera e delle finalità del medesimo perseguite con l'illecita attività di inquinamento probatorio nella conduzione delle indagini sulla strage di via d'Amelio e, infine, alla comunicabilità della circostanza aggravante dell'agevolazione mafiosa degli imputati". "La lettura della sentenza" di primo grado sul depistaggio Borsellino emessa nel luglio 2022, "manifesta le evidenti difficoltà dei giudici di primo grado nelle operazioni di analisi e valutazione dell'imponente materiale probatorio acquisito nel corso del processo". "E la spia di tale difficoltà la si ricava, oltre che da un estenuante ricorso al 'copia e incolla' delle precedenti sentenze che hanno definito i processi già celebrati per l'accertamento delle responsabilità per la strage di via d'Amelio, da contraddizioni e profili di illogicità che talvolta la motivazione presenta in occasione dell'analisi di aspetti fondamentali per il thema probandum". La Procura, molto dura con il tribunale nisseno, parla anche di "vizi del ragionamento che sono conseguenza di una parcellizzazione del quadro probatorio offerto e di una scelta di semplificazione consistente nell'adagiarsi, nonostante gli elementi di novità acquisiti nell'ambito del presente procedimento, alle conclusioni già raggiunte dai giudici del 'Borsellino quater' su circostanze rilevanti per l'accertamenti delle responsabilità penali".

"Gli elementi probatori acquisiti nel presente procedimenti, a conferma delle valutazioni formulate nei precedenti processi, hanno consentito di fare luce sulle gravi violazioni di legge imputabili agli appartenenti al gruppo Falcone-Borsellino, nel corso della gestione di Scarantino", il falso pentito di mafia. E spiegano che l'ex capo della Squadra Mobile di Palermo Arnaldo La Barbera, nel frattempo deceduto, "ha agito deviando le indagini sulla strage di via d'Amelio per mantenerle su un livello tale da non disvelare i rapporti di cointeressenza che Cosa nostra ha avuto nella ideazione della esecuzione della strage con ambienti esterni alla stessa". Secondo i pm le "argomentazioni del tribunale" "presentano evidenti profili di criticità".

Ad esempio, secondo la procura, "il Tribunale ha errato nell'escludere la sussistenza dell'aggravante mafiosa" a carico dei tre poliziotti imputati nel processo depistaggio Borsellino. "Il collegio - dice sempre la Procura nissena - ha escluso la sussistenza della circostanza aggravante in via principale in considerazione della mancanza della prova che Arnaldo La Barbera (l'ex capo della Mobile, morto ndr) abbia agito con la finalità di agevolare l'attività di Cosa nostra e comunque, anche prescindendo da tale argomentazione, per la mancanza della prova della conoscenza da parte degli imputati della finalità perseguita dal correo".

L'Agenda Rossa di Paolo Borsellino
"Il movente della sottrazione di un reperto così importante" come l'agenda rossa di Paolo Borsellino "da parte di soggetti che per funzioni svolte erano legittimati ad intervenire e operare sul luogo della strage e quindi esterni alla consorteria mafiosa, non può essere altro che quello di sviare le indagini, nel senso di impedire che le investigazioni potessero fuoriuscire dal perimetro delimitato dalla matrice esclusivamente mafiosa dell'attentato di via d'Amelio". "I comportamenti tenuti dal dirigente della Squadra mobile" Arnaldo La Barbera "risultano eccessivamente sospetti e inducono ragionevolmente a ipotizzare un ruolo del dottor La Barbera per la sottrazione dell'agenda rossa", scrive la procura.

Le risultanze probatorie del processo depistaggio Borsellino "hanno consentito di acclarare con assoluta certezza episodi di indottrinamento posti in essere da Arnaldo La Barbera e da Mario Bo". "In occasione di ciascuno dei due interrogatori del 16 settembre e del 28 ottobre 1994 - dicono i pm - risultano documentati accessi del dottor Bo nel carcere di Palliano, dove era detenuto il collaboratore Andriotta". Poi ribadiscono "il numero elevato di colloqui investigativi con Scarantino" che "evidenziano un costante modus operandi del dottor La Barbera e dei suoi fedelissimi funzionari caratterizzati dall'uso dei colloqui investigativi e degli accessi in strutture carcerarie per istruire i falsi collaboratori".

Per la Procura “la chiave di lettura alle incomprensibili condotte e reazioni del dottor La Barbera su questa specifica vicenda allora non può essere altra che quella del mantenimento delle indagini all'interno del 'perimetro' mafioso della strage".

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