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Nino Manfredi nelle vesti di Pasquino: "De teste ne poi taja' quante te ne pare... so' le lingue che contano!"

Con l’entrata in vigore delle riforme sulla giustizia ci sveglieremo in un Paese ‘migliore’, ma solo perché non leggeremo più molte inchieste e i cittadini non sapranno ciò che accade. Con la legge sulla presunzione d’innocenza non si potranno fare nomi, né parlare nei dettagli dei reati senza una sentenza definitiva. E siccome il meccanismo dell’improcedibilità farà saltare metà dei processi, arriveremo alla desertificazione dell’informazione”. Così il conduttore di Report Sigfrido Ranucci sul 'Fatto Quotidiano' ha denunciato la censura istituzionalizzata dalla Riforma Cartabia. Una riforma che con nonchalance uccide il diritto all'informazione giustificandosi con il solito mantra del 'ce lo chiede l'Europa'.
Ricordiamo che la riforma è entrata in vigore il 14 dicembre 2021 e avrebbe dovuto tutelare la “presunzione d’innocenza”, recependo la direttiva europea 343 del 2016.
L'Europa aveva dato indicazione di introdurre il principio di non esprimere giudizi e affermazioni di colpevolezza in caso di indagini non giunte a sentenza definitiva, per non creare ferite all’immagine e all’onorabilità della persona. Ma estendendo la normativa oltre queste indicazioni il potere di decidere cosa diventa notizia e cosa no, è stato trasferito alle procure con tanto di minaccia di provvedimento disciplinare in caso di mancata osservanza della norma.
"Quello di Bergamo è un caso emblematico”, ha detto il giornalista riferendosi al surreale comunicato stampa con cui la Procura di Bergamo ha annunciato la chiusura della maxi-inchiesta sulla gestione dell’emergenza Covid: 21 righe, senza un nome, senza un chiarimento sulle posizioni e sulle imputazioni, nessuna informazione utile per una ricostruzione giornalistica decente, un’indagine di enorme interesse pubblico che coinvolgeva l’allora governo, l’attuale presidente della Regione Lombardia e importanti dirigenti del ministero della Salute.
"Di fronte all’indagine sulla più dolorosa tragedia del Dopoguerra, i nomi degli indagati – tra cui l’ex premier, ministri, il presidente lombardo – si sono scoperti solo grazie a giornalisti che sono andati oltre le notizie ufficiali. Questa non è presunzione di innocenza, ma oblio di Stato. Giornalisti e cittadini dovrebbero ribellarsi nella consapevolezza che la migliore arma per la dittatura è il segreto".
In uno Stato democratico la libertà di informazione e cronaca dovrebbero essere garantiti, come stabilito dall'articolo 21 della Costituzione ma "al contrario, qui si ostacola la diffusione delle notizie, ergendo un muro nei rapporti tra cronisti e fonti istituzionali dei Corpi di polizia giudiziaria e delle procure che blocca informazioni su inchieste, omicidi, fatti di sangue e di violenza. Un bavaglio. Un attentato al diritto di informare e di essere informati. E il comunicato di Bergamo è solo la punta di un iceberg fatto di centinaia di casi", ha sottolineato il conduttore di Report.
Il 'Fatto' ne ha riportati alcuni: la brutale aggressione a sfondo razzista di un dipendente di un noto fast food nei pressi di piazza Navona a Roma; la morte di due turiste belghe sempre nella Capitale; l'aggressione di una turista israeliana  mentre si trovava davanti alle biglietterie elettroniche della stazione Termini di Roma; a Milano invece, in zona Città Studi, un ragazzo algerino è stato ucciso con una coltellata.


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L'ex ministra della Giustizia, Marta Cartabia


In tutti e quattro i casi si è verificato un 'blackout informativo'.
In altre occasioni si era ironicamente proposto di istituzionalizzare la figura del desaparecidos in quanto è impossibile ricevere notizie riguardo a omicidi o arresti. "Ai giornalisti viene vietato perfino di porre domande” ricorda Paolo Colonnello, caporedattore di Milano de La Stampa.
Accade così in ogni parte d’Italia ormai – ricorda sul 'Fatto' il corrispondente de Il Messaggero Giovanni Del Ciaccio come quando, a Frosinone, nessuno era autorizzato a dirci se il ragazzo di 19 anni colpito da uno sparo era vivo o morto”.
Il 2022 "resterà negli annali giornalistici come l’annus horribilis della riforma Cartabia, un vulnus al diritto dei cittadini a essere informati”, ha detto al 'Fatto' il presidente del gruppo Cronisti Lombardi Fabrizio Cassinelli.
E non a torto: "La riforma - ha detto Ranucci - è spacciata come una garanzia per i cittadini, in realtà tutela solo i politici e i potenti. L’erosione al diritto di cronaca però viene da lontano, dalle riforme Castelli e Mastella, dall’accentramento di poteri e comunicazione nelle mani dei procuratori. Nel frattempo abbiamo assistito alla progressiva restrizione dell’accesso agli atti giudiziari”.
D'altronde "un Paese senza libertà di informazione è come un’auto che circola senza certificato di garanzia - ha ribadito il giornalista - Un’altra piaga della riforma è l’accesso al diritto di oblio, se lo sommi al fatto che fino alla sentenza definitiva non puoi fare nomi, in un solo colpo cancelli passato, presente e futuro. L’effetto per un cittadino che vuole accedere all’informazione sarà come entrare in un cimitero, si troverà di fronte a lapidi che magnificano solo persone eccellenti, e si chiederà: ma i figli di buona donna dove li hanno seppelliti?"
Ma ad essere colpito è soprattutto il giornalismo di inchiesta, in particolare la tutela delle fonti: "Sono stati acquisiti tabulati telefonici di giornalisti e assoldati investigatori privati per scoprire l’origine delle informazioni. Una sentenza del Tar voleva obbligarci a rendere pubblici documenti per svelare le nostre fonti. Un’insegnante è stata indagata per aver documentato all’Autogrill l’incontro tra Renzi e lo 007 Mancini, Carlo Bertini è stato licenziato da Bankitalia per aver raccontato quelle che per lui erano anomalie sulla truffa sui diamanti. Fare vero giornalismo d’inchiesta costa. Ci sono freelance sottopagati, minacciati e senza tutela legale: è come mandare in guerra soldati senza l’elmetto", ha concluso Ranucci.
Di fronte a questo non possiamo dimenticarci la celebre frase pronunciata da Nino Manfredi nelle vesti di Pasquino: “De teste ne poi taja' quante te ne pare... so' le lingue che contano!”
Inoltre anni fa, di fronte all'imminenza delle prime leggi bavaglio sulle intercettazioni, un grande magistrato e libero pensatore come Bruno Tinti, sul blocco dell'informazione diceva: “Distruggerà l’assetto democratico del nostro Paese. I cittadini non sapranno più nulla, i delinquenti che hanno infiltrato la politica a ogni livello si presenteranno con le mentite spoglie di brave e oneste persone. La classe dirigente perpetuerà sè stessa senza controlli e senza resistenze. La parte sana di essa si ridurrà progressivamente. E l’Italia diventerà un paese senza legge e senza etica, sempre più povera e indifesa. Fino al disastro finale, fino alla bancarotta istituzionale ed economica. Non possiamo permetterlo”. E poi ancora: “Non so quali e quante informazioni riuscirò a conoscere; non so in che misura farle conoscere ai cittadini potrà rallentare il degrado del nostro paese. Ma io non rispetterò questa legge; e sono certo che molti altri non la rispetteranno. Vedremo se davvero è arrivato il tempo della dittatura”.
Vedremo, ma purtroppo, stiamo già vedendo.

Foto © Imagoeconomica

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