Arriva il “mea culpa” della docente associata di procedura penale di Palermo dopo le scandalose dichiarazioni sull’operato dei due giudici
“Sono molto dispiaciuta per le incaute espressioni che ho adoperato a proposito del maxiprocesso nel contesto dell’incontro con gli studenti in presenza del dottor Nino Di Matteo”. Sono queste le parole, contenute in una dichiarazione inviata a Repubblica questa mattina, con cui la docente di procedura penale dell’Università di Palermo, Daniela Chinnici, ha ritrattato quanto aveva dichiarato lo scorso giovedì pomeriggio all'Aula Chiazzese della facoltà di Giurisprudenza di Palermo nel corso di un dibattito organizzato dall’associazione Contrariamente. La Chinnici aveva definito il Maxiprocesso istruito da Giovanni Falcone e Paolo Borsellino un “obbrobrio” aggiungendo, inoltre, che “nei processi ai mafiosi devono esserci le stesse garanzie dei processi ai ladri di auto”, lasciando intendere che tali garanzie non ci furono nel Maxiprocesso. “Il processo non deve fare vendetta” disse agli studenti sempre alludendo al Maxiprocesso. E ancora: “I maxiprocessi sono congegni eversivi del sistema”. “Ribadisco il mio assoluto rispetto e la mia incondizionata fiducia nell’operato della magistratura e di tutte le forze dell’ordine che hanno combattuto, anche al prezzo altissimo della propria vita, ogni forma di criminalità e associazione mafiosa. La mia intenzione non era quella di delegittimare l’operato della magistratura a cui va tutta la mia gratitudine”, ha detto stamane la Chinnici. Salvo, però, come ha ricordato Salvo Palazzolo su Repubblica, rilanciare la sua tesi su Facebook: "Non è chiaro a molti ciò che giuridicamente sono le fondamenta del processo penale democratico". La pensano diversamente, invece, molti studenti che hanno assistito all’evento che ha avuto come ospite Nino Di Matteo, attuale magistrato impiegato alla Procura nazionale antimafia. Com’è stato altrettanto evidente la differenza che c’è tra la dottrina (la docente) e la giurisprudenza (il magistrato). Di Matteo nel corso della conferenza ha risposto alle numerose domande e curiosità dei giovani studenti sulle riforme inerenti alla lotta alla mafia e sui mutamenti sia della legislazione antimafia, che della classe politica, dal 1992, anno delle stragi, al giorno d’oggi in cui, di recente, di quelle stragi è stato catturato l’ultimo dei boss mandanti ancora libero: Matteo Messina Denaro.
Anche il capodipartimento di Giurisprudenza, Armando Plaia, si è espresso nel merito di quanto affermato dalla Chinnici, prendendone le distanze. “Il confronto di idee e la formazione del pensiero critico, che il dipartimento di giurisprudenza da sempre prova a stimolare, esigono il rispetto di tutte le opinioni, ma anche continenza formale, specie su temi particolarmente delicati”, ha detto. “È apprezzabile che la professoressa Chinnici abbia riconosciuto come alcune espressioni dalla stessa utilizzate siano state eccessive, anche perché non in linea con l’approccio con cui da sempre i nostri docenti e i nostri studenti si confrontano con il tema del contrasto alle mafie”. Il professore ha poi annunciato che “tra aprile e maggio, nell’ambito di un progetto di ateneo finanziato dal ministero dell’Università e della Ricerca, ospiteremo un ciclo di seminari tenuti da Pietro Grasso e in uno di questi incontri verranno approfonditi proprio la genesi, lo svolgimento e gli esiti del maxiprocesso”. Progetto fortemente voluto dal docente ordinario di diritto penale Vincenzo Militello, il quale da un lato ha sottolineato come “questa iniziativa si pone nell'ambito di un percorso strutturato di approfondimento e di studio che va avanti ormai da anni”, e dall’altro ha evidenziato “il grande attivismo delle associazioni studentesche a Giurisprudenza per la lotta alla mafia”. Interesse da parte di ragazzi che “all'epoca delle stragi non erano neanche nati e noi li sosteniamo per approfondire sempre di più le varie tematiche”, ha aggiunto.
Si chiude così questa triste parentesi che, anche se per pochi giorni, ha gettato disonore nei confronti di Giovanni Falcone, Paolo Borsellino e dei tanti servitori dello Stato che hanno perso la vita contro la mafia.
Foto © Paolo Bassani
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