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L’ex Direttore dell’Ufficio Centrale Detenuti e trattamento Dap commenta la vicenda dell’anarchico in sciopero della fame

È una situazione complessa quella che si è venuta a creare. Si è inizialmente scelto di applicare per la prima volta ad un appartenente all’area anarchica insurrezionalista una misura estrema come quella del 41 bis dell’ordinamento penitenziario, molto efficace contro le organizzazioni criminali. Si tratta di una decisione ritenuta legittima anche dalla autorità giudiziaria chiamata a giudicarne i presupposti. È pur sempre una scelta politica e simbolica, e quindi - anche se c’è il rischio di un allargamento del fronte di chi guarda criticamente il 41bis - non è facile pronosticare che il governo faccia un passo indietro”. Così Sebastiano Ardita, già consigliere togato al Csm ora prossimo a fare rientro nella sua Catania come procuratore aggiunto, che commentando il caso di Alfredo Cospito con Simone Allivia (L’Espresso), ha sottolineato la delicatezza della questione. Da un lato la necessità di salvaguardare i diritti del detenuto (specie le sue condizioni fisiche e di salute) e dall’altro la necessita di non fare un “dietrofront” con il 41bis che, è bene ricordarlo, è uno strumento volto ad impedire ai capi delle organizzazioni mafiose o terroristiche di continuare a gestire dal carcere le attività dei sodalizi criminali. Una misura severa, sì, ma “rinunciare al 41bis sotto la pressione di gruppi, di esponenti o di singoli, rappresenterebbe un segno di debolezza dello Stato”. E alcuni detenuti, soprattutto i mafiosi, potrebbero approfittarsi di questo segno di debolezza istituzionale. Il magistrato si è detto preoccupato rispetto alle intercettazioni provenienti dal carcere in cui è emerso che l’anarchico condivideva la sua volontà di abolire il 41bis con detenuti appartenenti ad organizzazioni mafiose. “Preoccupa perché da la misura di come Cosa nostra non si faccia alcuno scrupolo nel cercare strade comuni per evitare il 41bis”, ha detto il magistrato che a lungo si è occupato di mafia e ha un’esperienza quasi decennale all’interno del Dap (Dipartimento dell’Amministrazione Penitenziaria), da poco uscito con il suo ultimo libro “Al di sopra della legge” (Solferino, ndr). Da giorni la legittimità del 41bis è diventata un tema centrale sia all’interno di Palazzo Chigi sia all’interno del Parlamento. Ma anche nel dibattito pubblico (in particolare quello televisivo) l’argomento è in auge. Per Ardita, oggi la messa in discussione del 41bis “sta trovando nuove sponde”, ad ogni modo ritiene che “in una democrazia, oltre al rispetto per le opinioni di tutti, deve esistere il primato della legge come espressione della volontà popolare. Specialmente quando la sua applicazione serve a garantire la vita, la libertà e l'incolumità fisica di persone innocenti”. “E penso – ha concluso il magistrato - che rinunciare a strumenti di tutela collettiva, come è il regime 41 bis contro la mafia, sotto la pressione di gruppi, di esponenti o di singoli, rappresenterebbe un segno di debolezza dello Stato”.

Foto © Imagoeconomica

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