Il Procuratore aggiunto al Corriere della Sera: “La misura è punto fermo nella lotta alle mafie, è compatibile con normativa Ue”
“Come stabilito da varie pronunzie, il 41 bis non è incompatibile con la normativa europea. L’emergenza italiana ha una sua specificità, che non può essere ignorata e il 41 bis resta un punto fermo nella lotta alle mafie”. A dirlo, al Corriere della Sera, è il Procuratore aggiunto di Firenze Luca Tescaroli, facendo una disamina sul regime di 41bis, tema che in queste settimane è sulle prime pagine dei quotidiani per la vicenda dell’anarchico Alfredo Cospito e per la detenzione del boss Matteo Messina Denaro. I reclusi oggi in Italia sono 728 (12 le donne), su un totale di una popolazione carceraria che si aggira attorno alle 56mila unità (ovvero, l’1,3%): 184 sono detenuti in attesa di giudizio, 332 sono condannati definitivi, 208 sono soggetti con “posizione mista” e 4 internati. Il magistrato Tescaroli ha spiegato qual è stata la ratio che ha portato il Parlamento ad approvare la “Legge Scotti-Martelli”, votata dopo la strage di Capaci, che disciplinava questo regime di carcerazione, riaffermato dopo la prima versione uscita dalla “Legge Gozzini” del 1986.
“Il regime del 41 bis nacque il 10 ottobre 1986 con la legge n. 663 introdotta per il contrasto al terrorismo e poi fu esteso con un decreto del 1992 anche ai mafiosi, attuato il 19 luglio ‘92 col trasferimento di molti boss dal carcere dell’Ucciardone a quello dell’Asinara”, ha ricordato Tescaroli. “La misura è ancora importante e attuale perché la pericolosità del crimine mafioso non è diminuita, bensì è aumentata”. “L’intento primario del 41 bis non è spingere alla collaborazione con la giustizia ma impedire la comunicazione dei boss mafiosi con l’esterno, cosa che ne conserva il carisma e il potere - ha spiegato il procuratore Aggiunto -. Numerose sentenze passate in giudicato relative alle stragi mafiose del ‘93 dicono proprio che i vertici di Cosa Nostra le compirono proprio per ottenere la revoca del 41 bis e per contrastare la politica antimafia dello Stato. Ciò significa che si trattava e si tratta di uno strumento efficace”, ha concluso.
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