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"Erano convinti di aver seppellito la verità assieme ad Attilio, senza immaginare che l'avevano coperta con un semplice velo. Era sotto gli occhi di tutti, solo loro non volevano vederla. Adesso è tutta fuori, chiara, lampante, con i nomi di quei personaggi istituzionali che hanno depistato, insabbiato, lasciando che la memoria di Attilio venisse infangata. Oggi è un giorno importante per noi familiari, per tutti gli amici che in questi anni ci avete sostenuto, ma soprattutto per coloro che ancora credono nella verità e nella giustizia".
Così la madre di Attilio Manca, Angela Gentile, all'indomani della pubblicazione della relazione della commissione parlamentare antimafia della scorsa legislatura sulla morte del figlio.
La verità, come ha scritto, è stata sotto gli occhi di tutti: non è stato un suicidio, ma un omicidio maturato nell'ambito della latitanza di Bernardo Provenzano e, come scritto nella relazione, "frutto di una collaborazione tra la cosca mafiosa barcellonese e soggetti istituzionali estranei a Cosa Nostra".
Secondo i commissari gli inquirenti di Viterbo - all'epoca il procuratore capo era il magistrato Alberto Pazienti, mentre il pubblico ministero che aveva condotto le indagini era Renzo Petroselli - hanno svolto le indagini "in maniera superficiale" e agito con atteggiamento "precostituito" a confermare la "tossicodipendenza - e quindi del suicidio - della vittima, più che alla ricerca, scevra da pregiudizi, della verità su quanto accaduto".
Secondo la commissione, la procura avrebbe omesso molti accertamenti "indispensabili per un'inchiesta che si voglia definire quantomeno decente, tra cui gli esami dattiloscopici per identificare i proprietari delle impronte trovate sulla scena del crimine, gli accertamenti genetici sulle cicche di sigarette repertate, la ricerca di impronte sulle due siringhe usate per iniettarsi la dose letale di eroina".
Tutti i sospetti, i dubbi e “lacune investigative” nelle indagini sulla morte del giovane urologo sono stati riportati con dovizia dalla commissione parlamentare antimafia.
Ma perché si è fatta così tanta fatica ad approfondire certi elementi, facendo finta di nulla o nella peggiore delle ipotesi nascondendo i fatti sotto al tappeto delle archiviazioni? Dobbiamo pensare che anche una certa magistratura, per opportunità o compiacenza, sia complice di quel sistema di potere che non vuole la verità?

Foto © Emanuele Di Stefano

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