Sindacato Polizia Penitenziaria, Di Giacomo: "È resa dello Stato e oltraggio alle vittime"
"La sola eventualità che non meno di 5mila detenuti, boss e capo clan, personaggi appartenenti alla criminalità organizzata, possano uscire dal carcere, equivale alla resa incondizionata dello Stato e a un oltraggio alle tante vittime di mafia, tra le quali magistrati, poliziotti e giornalisti. È un'eventualità che va assolutamente e tempestivamente scongiurata. Per questo siamo a sostegno di Procura nazionale antimafia e forze dell'ordine che stanno lavorando a un modello operativo per frenare uscite pericolose per i cittadini". Così il segretario generale del S.Pp. (Sindacato Polizia Penitenziaria) Aldo Di Giacomo. "Risulterebbero già poco meno di un centinaio le istanze presentate per la scarcerazione e per usufruire di ogni beneficio di pena che spetta ai Tribunali di Sorveglianza. Si pensi solo alle gravissime conseguenze per il ritorno a casa di boss e pericolosi criminali che - aggiunge - riprenderebbero il controllo diretto di clan e territori. Come se non bastassero gli ordini impartiti dalle celle via telefonino, secondo i tanti casi accertati dall'inizio dell'anno grazie agli interventi della polizia penitenziaria e le numerose denunce di magistrati antimafia. Adesso aprire i portoni delle carceri - afferma Di Giacomo - diventerebbe un brutto segnale innanzitutto ai magistrati e alle forze dell'ordine che continuano a lavorare duramente e con sacrificio e contestualmente ai cittadini". "Non si sottovaluti che i casi di intimidazione via telefono dalle celle hanno già prodotto una sensibile riduzione di denunce specie da parte di imprenditori, commercianti, operatori economici che sono i più esposti alla criminalità per effetto dell'attuale difficile crisi internazionale, insieme al calo dei collaboratori di giustizia. Figuriamoci cosa accadrebbe se i criminali tornassero a circolare per le città magari incrociando le loro vittime. Inoltre, per tutto il Corpo della Polizia Penitenziaria sarebbe un autentico sbeffeggiamento perché mentre i servitori dello Stato nelle carceri sono impegnati, anche a rischio dell'incolumità personale come riprovano le numerose aggressioni subite e quindi per il rispetto della legalità, i criminali si fanno beffa. Almeno noi - conclude il segretario del S.Pp. - non vogliamo alzare le mani e consegnare le chiavi delle celle".
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