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"Il fatto che l'Anm abbia deliberato l'espulsione di Luca Palamara e che ciò sia avvenuto all'esito di una assemblea generale non costituisce di per sé la dimostrazione di un fatto inficiante la presunzione di imparzialità dei singoli magistrati, chiamati a giudicare il predetto nell'ambito di un procedimento penale". Lo scrive la Cassazione nel verdetto (depositato oggi) che ha respinto la richiesta di ricusazione - avanzata dalla difesa di Palamara - di due giudici, iscritti all'Anm, e componenti del collegio di Perugia davanti al qual è in corso il processo per corruzione nei confronti dell'ex pm romano. Nel ricorso alla Suprema Corte, la difesa di Palamara ha fatto presente che i giudici iscritti all' Anm e componenti il collegio giudicante di Perugia, "non avrebbero potuto giudicare nel processo a carico" dell'ex pm romano in quanto nello stesso procedimento "la predetta associazione aveva dichiarato di volersi costituire parte civile". Ad avviso dei legali di Palamara, "l'appartenenza dei suddetti magistrati" all'Associazione nazionale magistrati, "che è parte nel giudizio, inficerebbe la loro imparzialità". Per questo, i difensori hanno contestato nel reclamo in Cassazione l'ordinanza con la quale lo scorso 9 maggio la Corte di Appello di Perugia aveva detto 'no' alla ricusazione. Venendo al "tema centrale" del ricorso, gli “ermellini” della Sesta sezione penale lo sintetizzano così: "se magistrati iscritti all'Anm siano o meno portatori di un interesse coincidente con quello dell'associazione, che li renda incompatibili a giudicare nel processo in cui quest'ultima intende costituirsi parte civile". Ad avviso della Cassazione, non ha "concretezza" il riferimento della difesa dell'ex pm al "vantaggio patrimoniale" di cui potrebbe beneficiare l'Anm in caso di riconoscimento di danni morali, e che potrebbe tradursi in "un aumento nei servizi, di natura prettamente sindacali, resi in favore degli iscritti". "Si tratta di un tipico esempio di vantaggio non solo indiretto, ma anche del tutto eventuale, presupponendo che i magistrati ricusati siano interessati, in futuro, ad ottenere un qualche tipo di assistenza sindacale dall'Anm e che il medesimo servizio non sarebbe garantito, con le medesime modalità, in assenza dell'incremento patrimoniale che potrebbe derivare dall'accoglimento della domanda risarcitoria". La questione della ricusazione - prosegue il verdetto - si sarebbe potuta porre "qualora fosse risultato che i giudici ricusati avessero preso parte e votato l'espulsione di Palamara, ma in tal caso il motivo di ricusazione andava ravvisato non tanto nell'esistenza di un interesse al procedimento, quanto nell'aver manifestato il proprio convincimento, sia pur su fatti non del tutto coincidenti con l'oggetto dell'imputazione, al di fuori dell'esercizio delle funzioni giudiziarie". Ma, conclude il verdetto 44436 relativo all'udienza del 4 ottobre, "i giudici ricusati non hanno avuto alcun ruolo nella vicenda associativa che ha coinvolto Palamara". Per gli “ermellini”, infine "non sussistono i presupposti per il rinvio pregiudiziale alla Corte di giustizia dell'Unione europea" in quanto la difesa "si limita a censurare direttamente l'incompatibilità con il diritto dell'Unione delle conseguenze 'di fatto' derivanti dall'interpretazione del diritto interno, senza sollecitare una interpretazione generale ed astratta della normativa interna ritenuta incompatibile con quella europea".

Foto © Imagoeconomica

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