Questo sito utilizza cookie tecnici e di terze parti per migliorare la navigazione degli utenti e per raccogliere informazioni sull’uso del sito stesso. Per i dettagli o per disattivare i cookie consulta la nostra cookie policy. Chiudendo questo banner, scorrendo questa pagina o cliccando qualunque link del sito acconsenti all’uso dei cookie.

“Ho visto Messina Denaro. Hanno bloccato le mie indagini”. Era questo il titolo di un articolo di giornale del 3 maggio 2013 scritto dal giornalista Sigfrido Ranucci e pubblicato nelle pagine del Corriere della Sera.
Nell'articolo di Ranucci veniva riportata la denuncia in cui il maresciallo Masi descriveva gli stop ricevuti direttamente da un suo superiore per impedire la cattura del boss Bernardo Provenzano, allora latitante: “Noi non abbiamo nessuna intenzione di prendere Provenzano! - avrebbe detto - Non hai capito niente allora? Lo vuoi capire o no che ti devi fermare? Hai finito di fare il finto coglione? Dicci cosa vuoi che te lo diamo. Ti serve il posto di lavoro per tua sorella? Te lo diamo in tempi rapidi!”.
Inoltre, sempre nella denuncia, Masi spiegava di aver dovuto fare i conti anche con clamorosi sviamenti per non arrivare alla cattura di Matteo Messina Denaro, ultimo superlatitante di Cosa Nostra. Tra gli episodi raccontati, il mancato piazzamento di microspie e telecamere in un casolare, dove durante un appostamento successivo Masi avrebbe visto una persona che molto probabilmente era lo stesso Messina Denaro. Ancora, a marzo 2004, il maresciallo avrebbe incrociato casualmente a Bagheria un'utilitaria che gli tagliava la strada: e alla guida vi sarebbe stata sempre la “primula rossa” di Castelvetrano. Tutte circostanze che sono state anche oggetti di processi e che assumevano un interesse ancor più grande, così come scritto da Ranucci, dal fatto che al tempo il pm Di Matteo - che era stato minacciato di morte pochi giorni prima e che stava indagando sulla c.d. trattativa Stato-mafia- era anche legato al Maresciallo Masi perché quest’ultimo era il suo capo scorta.
Dopo l'articolo il colonnello dei Carabinieri Giammarco Sottili presentò un esposto denuncia contro Masi e Ranucci e la Procura di Bari prima aprì un fascicolo poi portò a processo non il giornalista (per cui fu chiesta l'archiviazione), ma il maresciallo Masi.
Ieri, finalmente, la verità è stata ristabilita con il processo che si è concluso con l'assoluzione in primo grado (sentenza emessa dal Tribunale di Bari, Sezione Penale Monocratica, Dott. Michele Parisi) per “non aver commesso il fatto”.
Ma la storia ancora oggi appare paradossale perché nei confronti del militare in questi anni si è tenuta una vera e porpria campagna di delegittimazione.

L'archiviazione di Ranucci
Nell'ottobre 2014 lo stesso pm chiese l'archiviazione per il giornalista  in quanto “la notizia di reato è infondata in quanto gli elementi acquisiti non sono idonei a sostenere l’accusa in giudizio come da memoria difensiva in atti”. In quel documento veniva anche richiamata integralmente il contenuto della memoria difensiva presentata dall’avvocato del Ranucci in cui si escludeva l’esistenza del reato sostanzialmente in ordine al fatto che la notizia pubblicata fosse vera, che fosse di rilevante interesse pubblico e che il linguaggio utilizzato nell’articolo fosse continente.
Una tesi che, nell'ordinanza di archiviazione del luglio 2015, fu di fatto avallata dal Gip. “Rilevato che l’opposizione avanzata non appare fondata – si legge nel documento - atteso che la stessa si sviluppa sull'errato presupposto della obiettività dell'articolo di cronaca incriminato, laddove invece lo stesso articolo si limita a dare atto di una denuncia presentata presso la Procura della Repubblica di Palermo dal m.llo Masi Saverio, in ordine ad una serie di vicende che gli avrebbero di fatto impedito di ottenere la cattura di alcuni latitanti ricercati per gravi vicende legate alla criminalità organizzata; rilevato che dagli atti, viceversa, si evince con chiarezza: 1) la veridicità dell'oggetto dell'articolo, ovvero la presentazione di una denuncia da parte del Masi all'A.G competente dove si mettono in evidenza circostanze da sottoporre ad adeguato accertamento da parte dell'A.G.: 2) l’interesse pubblico alla conoscenza della notizia, atteso il particolare argomento relativo al contrasto alla criminalità organizzata mafiosa e alla cattura di latitanti eccellenti: 3) la continenza del linguaggio adoperato nell'articolo del Ranucci, in cui viene dato atto dell'esistenza della denuncia e delle indagini tese ad accertarne la fondatezza o meno”.
“Ciò che viene sancito nell’ordinanza del G.I.P. è che il giornalista ha legittimamente agito nell’esercizio del suo dovere di cronaca – ha ribadito in sede di discussione la legale di Saverio Masi, Claudia La Barbera - A quel punto, sembrava evidente che anche per Masi avrebbe dovuto esserci l'archiviazione ma così non è stato nonostante per lo stesso articolo di giornale (pubblicato però nel sito www.report.it) a Roma i magistrati non si sono nemmeno sognati di contestare anche al Masi la diffamazione a mezzo stampa, ma l’ha contestata solo al Ranucci quale propalatore delle accuse del Masi nella denuncia”.
Ed è questo il paradosso. “A Bari – ha aggiunto La Barbera - il P.M. chiede l’archiviazione di Ranucci sulla scorta del fatto che la notizia è vera e di rilevante interesse pubblico nonchè data con continenza di linguaggio e afferma che invece ritiene che nei confronti del Masi debba esercitarsi l’azione penale. E formula il capo di imputazione”.
Secondo l'accusa Masi sarebbe responsabile “perché comunicava al giornalista Sigfrido Ranucci parte dei contenuti di una denuncia dallo stesso presentata (….)”.
“Ciò che è evidente - ha ribadito ancora l’avvocatessa - è certamente che la fonte di Ranucci è la denuncia di Masi. Come d’altronde ha rilevato lo stesso Giudice nella sentenza di assoluzione di Roma. Dunque chi ha dato la denuncia a Ranucci? Può avergliela data chiunque e non c’è prova che l’abbia fatto Masi. Si sa che i giornalisti di cronaca giudiziaria hanno agganci nelle questure e nelle procure. E come ho detto in precedenza -tanto ormai siamo all’assurdo delle congetture- ammettiamo pure che sia stato Masi a dare la denuncia a Ranucci”.
E' chiaro che se fosse stato Masi la fonte, la contestazione sarebbe dovuta essere non di diffamazione, ma di rivelazione di notizie coperte dal segreto istruttorio. Ma così non è stato “proprio perché non c’è prova che questa benedetta denuncia sia arrivata nelle mani del Ranucci per opera di Masi. Tra l’altro il Ranucci in fase di indagini non è stato nemmeno sentito e non ha mai rivelato la sua fonte”.
Va ricordato che Masi, per le sue denunce, ha dovuto affrontare una durissima azione repressiva con ben tre processi a suo carico, tutti e tre vinti.
Così come ha ricordato la legale nell’arringa: “A Palermo, per calunnia e diffamazione, per la denuncia del 2 maggio 2013, ed è stato assolto con sentenza del Tribunale di Palermo, Sezione V monocratica, Dott.ssa Minasola, del 14.07.2021, diventata ormai irrevocabile (assoluzione perché i fatti non costituiscono reato). A Roma, per diffamazione in concorso con l’Avv. Carta per la conferenza stampa del 14.5.2013 e con Michele Santoro per la trasmissione “Cosa Vostra” del 6.6.2013, ed è stato assolto con sentenza definitiva della Corte di Appello di Roma del 24/02/2022 (assoluzione per non aver commesso il fatto in relazione alla conferenza stampa e assoluzione perché il fatto non sussiste in relazione alla trasmissione televisiva). A Bari, per diffamazione a mezzo stampa, per l’articolo di giornale a firma di Sigfrido Ranucci del 3.05.2013, con sentenza di primo grado del 25/10/2022 emessa dal Tribunale di Bari, Sezione Penale Monocratica, Dott. Michele Parisi (assoluzione per non aver commesso il fatto)”. L’Avv. La Barbera è stata difensore del Maresciallo Masi nel processo a Palermo, in appello a Roma e a Bari.
Finalmente giustizia è fatta. 

TAGS:

ANTIMAFIADuemila
Associazione Culturale Falcone e Borsellino
Via Molino I°, 1824 - 63811 Sant'Elpidio a Mare (FM) - P. iva 01734340449
Testata giornalistica iscritta presso il Tribunale di Fermo n.032000 del 15/03/2000
Privacy e Cookie policy

Stock Photos provided by our partner Depositphotos