Più volte ripreso dalla Corte, ha contestato i verbali in cui parlò del delitto, di Scotto e Aiello sostenendo di non ricordarsi nulla
Non sa, non conosce, non ricorda. Sentito al processo per l’omicidio di Nino Agostino e Ida Castelluccio, imputati Gaetano Scotto e Francesco Paolo Rizzuto (che risponde di favoreggiamento), il collaboratore di giustizia Vito Lo Forte, collegato da sito remoto, ha rimpinzato di risposte approssimative e amnesie varie la sua deposizione dinnanzi alla Corte d’Assise di Palermo presieduta da Sergio Gulotta. Il boss, un tempo vicino ai Galatolo a Vicolo Pipitone per i quali gestiva il calcio scommesse e il traffico di droga, è stato sentito dalle parti in merito agli interrogatori rilasciati negli anni sul delitto e sui contatti del potente mandamento di Resuttana e ambienti dei servizi segreti. Di quelle confessioni emerse anche in un incidente probatorio, quello del 25 novembre 2015, però il pentito (classe ’47) ieri mattina ha fornito versioni molto più prudenti e confuse. Il motivo? Vecchi traumi e mancanza di memoria, ha sostenuto: “Ho avuto dei traumi che mi hanno portato al punto di dire cose non vere… e delle cose vere… se ora mi fate delle domande e mi dite delle cose non vere che ho detto io devo dire che sono cose non vere…”, ha esordito il pentito alle prime domande dell’accusa, quasi mettendo le mani avanti. E così, quello che doveva essere solo un esame a chiarimento con poche domande, si è trasformato quasi subito in un esame a dir poco complicato intervallato, oltre che dai problemi di collegamento, dalle continue contraddizioni del teste evidenziate dalle parti.
Aiello chi?
Le contraddizioni sono venute a galla già nei primi dieci minuti di deposizione quando gli è stato chiesto dal pm Domenico Gozzo se conoscesse Giovanni Aiello, alias “Faccia da mostro”, l’ex poliziotto appartenente ai servizi che diversi pentiti, Lo Forte incluso, hanno detto essere coinvolto nell’attentato del 5 agosto ’89.
“Non so chi sia questo Aiello. E’ dell’Arenella? Di dov’è? Non lo conosco, non l’ho mai visto”, ha detto ieri il pentito. “Lo ripeterò sempre”, ha aggiunto. “Non lo ha ripetuto sempre”, ha ribattuto il pm. “Anzi, più di una volta ha detto di averlo conosciuto e lo ha riconosciuto. Lo sta dicendo adesso che lei non lo conosce”, ha affermato in aula il magistrato. “Non lo so… magari l’ho sentito in televisione o sui giornali… che ne so io?”. A questo punto, “vista la situazione”, il pm, consultandosi con il sostituto procuratore Umberto De Giglio e la procuratrice generale Lia Sava, ha deciso di chiudere in anticipo il suo esame dopo aver fatto solo ancora un altro paio di domande. La palla è quindi passata all’avvocato di parte civile Fabio Repici che, dopo aver chiesto al teste se conoscesse l’imputato Scotto (“certo, conosco lui e tutti i fratelli”), lo ha incalzato sulle sue vecchie dichiarazioni sempre in merito a “Faccia da mostro”, in particolare quelle rilasciate in un interrogatorio a Palermo il 12 settembre 2014. “Lei disse: ‘Io l’ho conosciuto (Aiello, ndr) nel 1987, nell’87 mi ricordo che dopo la scarcerazione di Gaetano Fidanzati nel maxi-processo avvenuto a Palermo nell’87, credo che nel mese di agosto ho conosciuto Aiello Giovanni, mi è stato presentato da Gaetano Scotto, lui si è presentato come Giovanni e in un secondo tempo Scotto mi disse che si chiamava Aiello’”. Il pentito però non ha saputo spiegare alla Corte perché rese quelle dichiarazioni dettagliate. “L’ho detto prima non so chi è sto Aiello…”, ha ribadito Lo Forte. Quindi è intervenuto il presidente Gulotta - il primo di numerosi interventi da parte del presidente nell’esame di Lo Forte - che gli ha fatto notare la palese contraddizione con il verbale che rilasciò otto anni fa. “Io il trauma l’ho subito nell’89… quelle dichiarazioni le ho fatte dopo…”, gli ha risposto il teste. “Io dico delle cose…. e non dico delle cose perché non le so… magari l’ho letto, l’ho sentito… ripeto non so chi è sto Aiello”, si è difeso Lo Forte.
L'ex poliziotto, Giovanni Aiello alias "Faccia da mostro"
Scotto e le presunte minacce al pentito
A questo punto l’avvocato Repici non ha potuto far altro che rivolgergli una domanda diretta: “Lei da Gaetano Scotto personalmente ha mai avuto minacce?”. “No mai, che io ricordi”.
Successivamente, però, è emerso altro e lo stesso pentito ha riferito che la nipote, figlia della sorella, ricevette una telefonata minatoria diversi anni fa. E il teste, se in passato aveva offerto indicazioni precise sulla figura del "telefonista", indicando Scotto come l'autore, ieri è tornato sui propri passi. “Non so chi ha fatto questa telefonata, me l’ha fatta ascoltare il maresciallo Alongi che lavorava a Marsala. C’erano minacce di morte a tutta la famiglia, ma non ho riconosciuto nessuno”, ha detto il teste. “La minaccia era generica o specifica?”, gli ha chiesto il presidente Gulotta. “Mi ricordo poco sinceramente”, ha detto Lo Forte che è stato subito ripreso da Gulotta dopo l’ennesimo non ricordo: “Noi siamo qui per fare un processo, non per divertirci, quindi si sforzi e cerchi di fare mente locale, ricordi che ha l’obbligo di dire la verità!”. “Le minacce erano generiche”, ha quindi detto il pentito. “Queste minacce erano collegate al fatto che lei collaborava con la giustizia?”, gli ha domandato Repici. Il pentito ha risposto però più o meno vagamente: “In quel momento stavo collaborando con la giustizia, sì”. “In questa telefonata chi parlava?”. “Un uomo ma non so chi era”, “Non ha mai saputo chi era?”, gli ha chiesto ancora una volta Repici. “No, non l’ho mai saputo”. L’avvocato ha quindi ripreso in aula l’incidente probatorio del 25 novembre 2015, in cui il collaboratore di giustizia affermò di esse andato dal maresciallo dei Carabinieri Alongi il quale gli disse che doveva fargli ascoltare una telefonata per sapere se poteva riconoscere la voce, il pentito di primo acchito non riconobbe l’interlocutore ma, stranamente, subito dopo fece un’istanza alla procura di Palermo dicendo che era Scotto e di fare una perizia fonica. “Però poi non ne ho saputo più niente”, disse nel 2015. Ieri Lo Forte ha provato, maldestramente, a spiegare le ragioni di quella scelta: “Ho pensato a Scotto, chissà perché”, si è chiesto in udienza. “Ho fatto quell’istanza, ma per me non era Scotto…”. Una contraddizione continua che non è sfuggita agli occhi delle parti. “Ma perché proprio a Gaetano Scotto?", le ha chiesto il presidente della Corte. “Io a Scotto Gateano voglio tanto bene…”, ha detto. “Ho pensato a lui perché abbiamo avuto un disguido prima che mi arrestavano a causa di una ragazza… tutto lì”. A questo punto è stato di nuovo Repici a smentire la nuova versione di Lo Forte. “Nel 2015 disse un’altra cosa. Il pm le chiese: ‘C’è stato qualche particolare che le ha consentito di riconoscere quella voce?’ E lei dichiarò: ’Sì perché era la sua, perché quando era arrabbiato si poneva con questa voce’ Quindi lei disse che l’aveva riconosciuta la voce…”. Ma da Lo Forte è arrivato, su questa circostanza, l’ennesimo “non ricordo”. “Ribadisco che non era Scotto, nel modo più assoluto”, ha negato. “Ma lei ha chiesto pure la perizia!”, gli ha fatto notare Gulotta. Ecco che è di nuovo Repici a incalzare il pentito. “Lei ha detto poco fa che vuole bene a Gaetano Scotto, il 25 novembre gli voleva bene?”. “Io mi riferivo a un disguido con una ragazza… per quello ho detto gli voglio bene…”, ha detto. “Lei ha saputo che dopo quel 25 novembre Scotto fu scarcerato e ritornò in libertà a Palermo?. “Non lo so, non l’ho mai saputo”. “Dopo il 25 novembre 2015 è successo qualcosa che le ha fatto cambiare le sue dichiarazioni?”, gli ha quindi domandato Repici. “No… nemmeno mi ricordo dov’ero nel 2015”.
Contraddizioni e colpi di spugna
Sempre su Scotto, in aula è stato chiesto al teste se l’imputato abbia svolto attività informative legate ai servizi segreti o all’alto commissariato. Anche in questo caso Lo Forte ha detto di “non averlo mai saputo”. Eppure, nel 2014, gli viene fatto presente da Repici, dichiarò che Gaetano Scotto avrebbe fatto arrestare Gaetano Fidanzati in Argentina. “Perché l’ha dichiarato, chi gliel’avrebbe detta questa cosa?”, ha chiesto Gullotta. “Se è scritto l’ho detta io…. ma non me l’ha detta nessuno… non lo sapevo io… si vede che ce l’avevo con Scotto… ma non è vera sta cosa.” Il presidente gli ha fatto notare l’assurdità del suo ragionamento. “Lei per una questione banale legata a una donna (Rosalia Cusimano, ndr) lega Scotto a certi ambienti?… Mi pare poco”. Anche in questo caso l’avvocato Repici ha fatto ricorso a un verbale, in particolare quello datato 12 settembre 2014, per smontare le nuove versioni di Lo Forte. Nel verbale Lo Forte rispose ai pm rispetto a un incontro avuto nel ’90 con la Cusimano a Trapani con la quale aveva una relazione in quel periodo dove il pentito aveva l’obbligo di dimora. Da poco era uscito sui quotidiani l’arresto di Fidanzati (arrestato il 22 febbraio 1990) e la Cusimano (che fu anche amante di Scotto nel ’91) gli disse: “Io so che l’hanno… l’ha arrestato l’alto Commissariato”. Poi nel ’91, raccontò Lo Forte, “quando io ho visto chiddu cu bastuni e lui mi dice (Scotto, ndr) ‘appartiene all’Alto Commissariato, ho detto ma ‘qua non è più una coincidenza, allora si sbirro proprio! Sei stato tu a far arrestare Gaetano Fidanzati… ecco picchi io vado al carcere e dico per me il latitante è stato Gaetano Scotto…”. “Perché, in sostanza, ha fatto il nome di Gaetano Scotto come soggetto che avrebbe fatto arrestare Fidanzati?”. “Non mi ricordo presidente”, ha ripetuto il teste. “Ma Scotto gli ha mai presentato uno dell’Alto Commissariato?”, gli ha chiesto Repici. “Mai.”
Quindi l’avocato di parte civile ha chiesto al teste se è a conoscenza di fatti relativi all’omicidio del poliziotto Agostino. Di nuovo, Lo Forte, ha detto di non sapere niente “ero arrestato quando è successo il fatto” (venne arrestato a metà giugno ’89 e scarcerato sei mesi dopo). “Perché disse che la moglie del poliziotto era stata uccisa perché aveva riconosciuto qualcuno?”. “Non mi ricordo… avrò fatto una considerazione…”. Eppure, sempre nel 2015, alla presenza dei pm Nino Di Matteo, Francesco Del Bene e Roberto Tartaglia, l’ex picciotto dei Galatolo non solo riferì dell’omicidio ma si spinse addirittura a descrivere esecutori e modalità. “Era stato ammazzato da Nino Madonia, che sparò, e da Gaetano Scotto, che guidava la moto”. Anche Giovanni Aiello partecipò al delitto, disse Lo Forte. Il suo ruolo “fu quello di prelevare con una macchina 'pulita' Madonia e Scotto, che avevano eseguito l'omicidio, e di aiutarli a bruciare la motocicletta usata nell'attentato. Seppi questi particolari poco tempo dopo l'omicidio di Gaetano Vegna”. Circostanze che ieri il pentito si è rimangiato in tutto e per tutto. “La verità la sto dicendo oggi”, sostiene, cancellando con un colpo di spugna quanto detto nei vari vecchi verbali. L’esame si è concluso su “Faccia da mostro”. Il presidente Sergio Gulotta ha tempestato di domande il teste facendo ausilio delle sue vecchie deposizioni per sollecitargli la memoria. Ma nulla da fare.
“Lei di Aiello fa riferimento in modo completo, con fatti, nomi, cognomi e situazioni. Come fa oggi a dire cose completamente opposte rispetto a quelle dette nel novembre 2015?”. “Non so dirle, non ho una spiegazione”, gli ha risposto nuovamente l’ex boss. Quindi, dopo un altro paio di domande, questa volta su Scotto e i rapporti con polizia e 007 - dei quali il teste ha riferito di un unico episodio in cui era testimone riguardante al saluto di Scotto a quello che gli confessò essere un commissario di polizia - è intervenuta la procuratrice Generale Lia Sava che ha chiesto a Lo Forte se avesse paura di qualcuno. “Io se ho paura non lo vengo a dire a voi né a nessuno”, le ha risposto repentinamente Lo Forte che nel 2015, va ricordato, spiegò che la ragione del suo ritardo a proferire determinate dichiarazioni era dovuto unicamente alla “paura di parlare di Gaetano Scotto”. “Lei è stato minacciato di recente per questo esame?”, gli ha chiesto Gulotta? “No, no e no!”, ha negato il teste. Per finire, Gulotta ha chiesto nuovamente se “conosce o non conosce Giovanni Aiello”. “Non lo conosco”. “Non ci sarà nessuno che può obbligarmi a ricordare le cose”, ha aggiunto. Finito l’esame, la procuratrice Lia Sava ha chiesto la trasmissione del verbale di Lo Forte “per la valutazione dell’ufficio e di uffici competenti”.
Il collaboratore di giustizia, Gaspare Mutolo
La deposizione di Mutolo: “Dietro il delitto Nino Madonia”
Di tutt’altro tipo è stata, invece, la deposizione del pentito Gaspare Mutolo, ex autista di Totò Riina e boss del mandamento di Partanna Mondello, che ha risposto alle domande delle parti in maniera lucida e coerente.
Rispetto al periodo in cui avvenne il delitto Agostino, il pentito ha ricordato trattarsi di un momento storico in cui tra le famiglie mafiose “non si capiva niente, era un momento scuro, le persone morivano anche perché facevano il doppio gioco. Era un momento brutto della storia della mafia siciliana. I mafiosi erano diventati delle bestie. Non si poteva più dire il poliziotto faceva il poliziotto e il mafioso faceva il mafioso”. Sul delitto in sé, invece, Mutolo, che non è a conoscenza di particolari, ha però rammentato i commenti del tempo. “I commenti erano tanti. C’erano sospetti, si diceva che era stato Nino Madonia (condannato in primo grado abbreviato per l’omicidio del poliziotto, ndr), perché in quella zona non si permetteva nessuno di uccidere una persona se non lo sapeva lui. Non mi ricordo specificamente chi mi disse queste cose… Ma a Palermo allora non si discuteva, le persone avevano paura… Io non sono in grado di dire perché è stato ucciso Agostino perché in quel periodo bastava qualsiasi chiacchiera per potere uccidere una persona”, ha raccontato. Nel corso della sua deposizione, Mutolo ha anche riferito in merito a una squadra segreta di poliziotti che a fine anni ’80 davano la caccia ai capi mafia latitanti. Tra loro, secondo le indagini e l’ex procuratore Generale Roberto Scarpinato che ha chiesto e ottenuto il rinvio a giudizio dei correnti imputati, c’era anche Nino Agostino. Di questa squadra di poliziotti “ne parlavo con diverse persone, con Giuseppe Leggio… e altri… Le voci erano queste. Allora si fecero queste illazioni che c’era una squadretta di poliziotti giovani che avevano un elenco per cercare dei latitanti per farli arrestare. Però c’erano altri poliziotti che invece si prendevano i soldi e raccontavano di stare attenti… E’ una cosa veramente troppo lunga e fantascientifica”, ha spiegato. “Perché in quel periodo ci sono poliziotti che sono amici dei mafiosi e altri poliziotti che cercano di arrestare i mafiosi. Si sentivano tante voci…”, ha ripetuto.
Il conteso decreto di archiviazione di Aiello
A inizio udienza, in via preliminare, la procuratrice Generale Lia Sava ha chiesto di depositare un voluminoso faldone di carte relative alla richiesta di archiviazione e il decreto di archiviazione del 28 marzo 2018 della procura di Caltanissetta relativo all’imputato Giovanni Aiello. La procuratrice si è però scontrata con l’obiezione degli avvocati di parte civile Fabio Repici e Calogero Monastra. “Muovo le mie obiezioni per due ragioni”, ha detto Repici alla Corte. “Da un lato si tratta di provvedimento e richiesta di archiviazione di cui la mancanza di valenza probatoria è nota a tutti. Ma il punto più rilevante è che per fatto notorio, è consultabile da chiunque, si sa che Aiello è morto il 31 agosto 2017. Che la Dda di Caltanissetta abbia fatto indagini e le abbia concluse non per morte di Aiello, perché vedo un provvedimento particolarmente corposo, vedo che è stato fatto grande sforzo ricostruttivo, mi viene da pensare in quale direzione. Il punto è che si è fatta un'indagine su una persona che era morta e c’è una richiesta di archiviazione nei confronti di un morto e poi un decreto di archiviazione altrettanto corposo nei confronti di un morto. Solo questo, che è fuori dalla grammatica del rito della procedura penale, mi porta a dire, aggiungendo che abbiamo appreso la notizia di questa produzione solo stamattina che non era mai stata data notizia alle parti quindi non ne conosco il contenuto, ritengo che non ci siano minimamente i presupposti per l’acquisizione quindi mi oppongo”. L’eventuale acquisizione verrà decisa alla prossima udienza, in tempo necessario per consentire agli altri avvocati di parte civile e all’avvocato dell’imputato Scotto Giuseppe Scozzola, di poter consultare le carte presentate dalla procura.
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