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L'istanza di riapertura indagini sulla morte di Rita Atria (26 luglio 1992), presentata alla procura di Roma, dall'Associazione Antimafia Rita Atria e da Anna Maria Rita Atria, sorella della giovane testimone di giustizia, tramite l'avvocato Goffredo D'Antona del foro di Catania, parla chiaro: il suicidio della 'picciridda', come la chiamava il giudice Paolo Borsellino, potrebbe essere stato istigato da ignoti con l'uso di considerevoli quantità di alcol.
Si tratta di tredici cartelle fitte di dati ed evidenze. Tra le richieste contenute nel documento visionato dall'AGI, ci sarebbe anche quella di valutare l'opportunità di riesumare il cadavere "per verificare se sotto le unghie vi sia materiale utile alle indagini ed ai tempi non ricercato e per ricercare altri elementi che, con le tecniche sofisticate di oggi, potrebbero essere utili".
Inoltre, come viene riportato dal documento, sarebbe opportuno verificare se tutti gli atti compiuti dalla polizia giudiziaria "siano stati depositati presso la procura". Si tratta, in definitiva, di "acquisire nuovi elementi di prove utili al fine di poter procedere allo stato contro ignoti per il reato di omicidio volontario o istigazione al suicidio aggravata". La vicenda è al centro di un libro-inchiesta che 30 anni dopo ricostruisce la storia di Rita Atria, pubblicato da Marotta&Cafiero: "Io sono Rita", scritto da Giovanna Cucé, Nadia Furnari e Graziella Proto.

Un suicidio istigato usando l'alcol?
Il primo dato che emerge dalle indagini compiute ai tempi è il tasso alcolico nel sangue di Rita: 0,38%, in base ai rilevamenti del consulente tossicologico del Pubblico Ministero.
L'accertamento per verificare la presenza di alcol e di barbiturici era stato fatto, però, nel settembre del 1992, quasi due mesi dopo la morte.
"Ora è un fatto notorio - si legge  - che l'alcol nel sangue di una persona viva si smaltisce in poche ore. Ma anche post mortem si ha uno smaltimento dell'alcol, sia pur in una misura più lenta, per ossidazione".
Tuttavia, questo il dato anomalo, nell'appartamento di Rita a Roma, non era stata trovata neanche una bottiglia di alcolici, come riportato dai verbali. “Non ci sono bottiglie di alcol in quella casa - si legge sull’istanza - Una casa abitata, ma senza alcuna traccia biologica. Per questo si propende per dire che Rita era in compagnia di qualcuno che l'ha fatta bere che ha portato via le bottiglie di alcol e che ha pulito da cima a fondo quell'appartamento".
Qualcuno, si legge nell'istanza, potrebbe aver "fatto ubriacare la povera Rita" per poi "portarsi via le bottiglie vuote. Anche argomentando nell'ipotesi del suicidio, va valutata una ipotesi di istigazione. E non vi è prescrizione per istigazione al suicidio di un soggetto incapace di intendere e di volere".

L'orologio presente nell'appartamento
Il nucleo scientifico dei carabinieri nella relazione generale aveva dichiarato che non erano state rinvenute tracce biologiche di nessun tipo.
Nell'istanza presentata, si legge, che "oggettivamente, è impossibile che in una casa abitata non sia stato trovato un capello o altri elementi utili per le indagini. C'è però un orologio da polso e da uomo fotografato sul frigorifero in cucina. Un orologio è una miniera di dati biologici, peli sudore micro particelle epidermiche. L'orologio è stato fotografato, ma non repertato e non sequestrato. Di chi era quell'orologio posato ordinatamente sul frigorifero, in una casa con uno strano disordine? E perché non è stato repertato?"

Abbandonata dallo Stato
Dalle indagini, "gravemente incomplete con passaggi e scelte investigative inspiegabili, non emerge mai alcuna figura di riferimento". Emerge, è stato scritto nell'istanza che chiede la riapertura delle indagini, "l'assoluta assenza degli uomini dell'Alto Commissario per la lotta alla mafia (nel documento semplificato con Alto Commissario) al quale una bambina di 17 anni, che aveva deciso di denunciare alla magistratura tutto quello che sapeva sulla mafia di Partanna, era stata affidata dal tribunale dei minori di Palermo, in data 4 marzo 1992". Il Tribunale per i minorenni, infatti, aveva disposto l'allontanamento dal nucleo familiare in quanto pregiudizievole per la minore e l'aveva posta sotto la vigilanza dell'Alto Commissario per la lotta alla mafia. Al tempo era l'ex Prefetto Angelo Finocchiaro. Il procedimento era stato archiviato su richiesta della Procura in quanto "suicidio dal quale non emergono responsabilitá (penali) di terzi". Occorre, secondo l'istanza, capire "chi erano le persone fisiche che avevano in cura e la vigilanza di Rita Atria, perché quando si è sotto scorta e sotto protezione, devono esserci persone adibite a proteggere e verificare, a cominciare da quel momento quali manchevolezze ed omissioni vi siano state".

Conclusione
"Non siamo qui a voler scrivere la Storia di una ragazzina di 17 anni che si era affidata allo Stato e alla Giustizia. Siamo qui a chiedere giustizia, a chiedere attenzione ad una vicenda umana e processuale che è stata svolta in maniera ingiusta, che sarebbe ingiusta non solo nei confronti di Rita Atria, testimone di giustizia, la 'picciridda' come la definiva Borsellino, ma nei confronti di una ragazzina qualunque. Abbiamo posto dei quesiti che riteniamo meritino una riposta".

Fonte: Agi

Foto © Shobha

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