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Roberto Pannunzi, il 'Pablo Escobar italiano', detto 'Bebé', lascia il 41 bis, il regime di carcere duro. A deciderlo i giudici del Tribunale di Sorveglianza di Roma, che hanno accolto i reclami presentati dal suo avvocato Cosimo Albanese. Arrestato per tre volte dal magistrato Nicola Gratteri, Pannunzi, è stato considerato l'anello di congiunzione tra i cartelli della droga latinoamericani e le famiglie della 'Ndrangheta calabrese.
"Aveva comprato una nave, 'la Mirage 2', lunga 110 m che serviva appunto a portare la cocaina" dal Sud America all'Europa, aveva detto Gratteri. "Pannunzi Roberto ritengo sia stato il più grande broker della 'Ndrangheta nel quale ci siamo imbattuti" aveva aggiunto.
Infatti 'Bebé' era in cima alla lista dei latitanti a cui la Procura Distrettuale antimafia di Reggio Calabria stava dando la caccia. Soprattutto dopo le due fughe impensabili dalle cliniche romane dove era stato ricoverato per problemi al cuore.
Era stata proprio la sua abilità ad evadere dal sistema giudiziario italiano che gli aveva consentito, due volte in 11 anni, di prendersi beffa di chi avrebbe dovuto garantirlo alla giustizia. Anche per questo Bebé aveva acquisito 'rispetto' negli ambienti criminali, non solo calabresi, per i quali rappresentava una garanzia di efficienza quando si parlava di cocaina.
Il suo 'peso' criminale gli aveva permesso anche di salvare da morte certa un narcotrafficante legato a Cosa Nostra, Miceli Salvatore, sequestrato al tempo dai narcos per una partita di cocaina non pagata.
"Era bastata la parola di Pannunzi per liberarlo", aveva spiegato ancora Gratteri.
Nel 1994 era stato arrestato a Medellin, in Colombia, e dopo un anno è stato estradato in Italia. La sua detenzione è durata appena 3 anni. Grazie a una certificazione medica che attestava disturbi cardiaci, nel 1998 Roberto Pannunzi aveva ottenuto dal Tribunale di Sorveglianza di Roma una sospensione della pena per sei mesi. Il giorno dopo il 'Pablo Escobar italiano' era già tornato in Sudamerica per organizzare la prossima spedizione di cocaina per conto delle cosche di Platì e Gioiosa Jonica. Arrestato di nuovo nel 2004 in Spagna, il 15 marzo 2010, sempre a causa dei paventati problemi cardiaci, aveva ottenuto (questa volta dal Tribunale di sorveglianza di Bologna) gli arresti domiciliari in una clinica di Roma, “Villa Sandra”, dove si era ricoverato per eseguire alcuni accertamenti per 'cardiopatia ischemica post infarto'. Stesso schema:  quando la guardia di finanza si era presentata in clinica per controllare il detenuto ai domiciliari Pannunzi era già in volo per il Sudamerica.
Il broker era riapparso tre anni dopo a Bogotà. "Riusciamo a rintracciarlo in Sud America tra Colombia e Venezuela - aveva spiegato Gratteri - perché lui sapeva che in Venezuela noi non potevamo entrare perché c'era il regime di Chávez. Durante il giorno quando doveva fare traffico e business veniva in Colombia e la sera tornava in Venezuela. Tornava al confine dove lui si sentiva più forte. Creiamo una trappola: ci fingiamo acquirenti di cocaina. L'appuntamento è presso un grande supermercato colombiano di Bogotà. Lui arriva, scatta la trappola e viene arrestato. Appena arrestato offre 5 milioni al nostro esperto antidroga. Ovviamente ha incontrato la persona sbagliata".
Infatti aveva spiegato ancora Gratteri "altre volte dalle nostre intercettazioni era emerso che lui aveva pagato. Lui ci ha detto 'sì io pagavo'. Giravo sempre con una valigetta piena di soldi" e "quando mi fermavano io pagavo e proseguivo". E "se non bastava avevo un 'salvavita': un diamante al collo" da dare a chi lo fermava.
Per fargli revocare il carcere duro, l’avvocato Albanese ha argomentato le condizioni di salute fisica, cognitiva e psicologica in cui versa il 74enne e sull’assoluta mancata adesione di Pannunzi a un’associazione di stampo mafioso, sostenendo che le ultime condotte criminose risalgono a 20 anni fa e che pertanto, il 'gruppo di riferimento' non può essere rappresentato da associazioni mafiose di cui il suo cliente non ha mai fatto parte.
Il legale ha poi spiegato ai giudici che Pannunzi non risulta coinvolto in nessuna delle vicende processuali, posteriori al 2002, che ricadono nel processo “Igres”. Il Tribunale di Sorveglianza, richiamando un particolare indirizzo della giurisprudenza, ha evidenziato che la 'qualificata pericolosità' sociale che legittima il 41 bis intesa come 'capacità di mantenere collegamenti con l’associazione criminale' "non è l’attualità dei contatti, ma la qualificata capacità del detenuto di riprendere pienamente i vincoli associativi dall’interno del carcere, ove collocato nel circuito ordinario".
I giudici romani sostengono poi che: "Va rilevato che nella fattispecie non si ravvisa la presenza di rilevanti parametri fondanti il regime detentivo applicato. È indubbia la caratura criminale del Pannunzi, il quale, per una buona parte della sua vita, ha 'lavorato' per le cosche di ‘Ndrangheta, promuovendo e organizzando importanti traffici di sostanze stupefacenti dall’estero per conto delle più potenti consorterie criminali siciliane e, soprattutto, calabresi, sfruttando le sue conoscenze e la sua capacità di interagire con la criminalità straniera. Tuttavia nella fattispecie, difetta uno dei principali presupposti della 'pericolosità qualificata', rappresentato dall’operatività del clan di appartenenza, ossia dell’associazione finalizzata al narcotraffico". Detto questo hanno concluso che "l’assenza di dimostrazione della operatività del sodalizio di appartenenza fa perdere rilievo al ruolo rivestito dal Pannunzi al momento dell’arresto in seno all’organizzazione criminale dedita al narcotraffico".

Foto © Imagoeconomica

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