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Al teatro Golden di Palermo, al grido di “Fuori la mafia dallo Stato”, tutti uniti alla parte sana delle istituzioni

Vuoi un governo che pensa alle riforme della giustizia, nel migliore dei casi, come strumento per non perdere ingenti sovvenzionamenti europei. Vuoi una tendenza guidata da una specie di disturbo ossessivo/compulsivo nel dover velocizzare i processi a tutti i costi, senza per questo considerare l’importanza di incrementare adeguatamente il numero dei magistrati (la media dei magistrati presenti in Italia è decisamente inferiore al resto d'europa, siamo più alti solo per il numero di magistrati uccisi da mafia e organizzazioni terroristiche). Vuoi l’incuria riservata alle forze dell’ordine, pochi sia nell’organico che nelle risorse e vuoi, soprattutto, la quasi totale assenza della lotta alla mafia nelle varie agende politiche che in questi trent’anni hanno guidato il paese. La tendenza ormai consolidata di celebrare le vittime di mafia pensando più alla passerella che ad un’azione dovuta, diventa sempre più insopportabile e, quasi certamente, umiliante.
Sarà per questo che il Pm Nino Di Matteo, in un articolo a cura di Giuseppe Salvaggiulo per il quotidiano La Stampa , dichiara:  “Non mi piacciono le parate istituzionali e come tanti cittadini non sopporto lo sterile esercizio di una stucchevole retorica di Stato”.
Non è passata inosservata l’intenzione del consigliere togato Nino Di Matteo di disertare le solite manifestazioni ufficiali; quelle che da un lato provano a raccontare vicende tristemente note mentre, dall’altro, provano a cancellarne altre che invece non si vorrebbero raccontare. Difatti, Di Matteo continua: “Mi pare si sia data una lettura minimalista e rassicurante della strage di Capaci, come se la vendetta dei macellai corleonesi fosse il movente prevalente se non esclusivo, tralasciando due aspetti. Il primo è il ruolo di leadership in termini di politica giudiziaria che Falcone aveva assunto al ministero: aveva portato in politica la lotta alla mafia e nella sua rozzezza Riina l'aveva capito. Secondo: la contestualizzazione dell'eccidio tra l'assassinio eccellente di Salvo Lima e la stagione delle altre sei stragi successive”.
Di Matteo, insieme al procuratore calabrese Giuseppe Lombardo, all’ex procuratore palermitano Roberto Scarpinato e, insieme alle dichiarazioni del Consigliere del CSM Sebastiano Ardita e al procuratore di Firenze Luca Tescaroli, all’interno di un teatro gremito di persone, il Golden di Palermo, ha raccolto un dissenso ampiamente condiviso dalle varie persone presenti. Una condivisione che si è fatta sentire al grido di “Fuori la Mafia dallo Stato”, uno slogan che accompagnando il titolo del convegno “Traditi, uccisi, dimenticati”, non lascia spazio ad interpretazioni su quelli che sono i bisogni reali dei cittadini che chiedono un’Italia migliore.
Di Matteo, nel continuare la sua analisi, spiega le reali intenzioni di certe istituzioni, ovvero, convergere le proprie attenzioni soprattutto verso una conveniente formalità, ovviamente, a scapito di una concreta e pragmatica sostanza. “Falcone è stato tradito e ucciso da quelle istituzioni che in queste ore hanno partecipato al gran gioco delle finte commemorazioni e domani, tornate a Roma, riprenderanno a lavorare per smantellare pezzo dopo pezzo le leggi antimafia da lui ispirate, 41 bis ed ergastolo ostativo; voteranno una riforma che crea un modello di magistrato-burocrate antitetico al suo; introdurranno una legge elettorale del Csm che aumenterà il correntismo, perché la politica non ha alcun interesse a debellare un sistema di cui si nutre e da cui trae vantaggio”.
Nel concludere il suo intervento al teatro Golden, Di Matteo, citando Dell’Utri, Berlusconi e Andreotti, esprime anche alcune preoccupazioni riguardo alle prossime elezioni palermitane: “Il problema non è che un condannato, espiata la pena, dica la sua. Mi preoccupa che qualcuno chieda la sua intermediazione per ottenere la candidatura o per aumentare i consensi”.

Foto © Deb Photo

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di Saverio Lodato

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