Il "pestaggio" di Stefano Cucchi avvenuto nella caserma dei carabinieri di Roma Casilina - la notte del 16 ottobre 2009 - è stata la "causa primigenia" di una serie di "fattori sopravvenuti'", tra i quali le "negligenti omissioni dei sanitari", che ha causato la morte del geometra romano. Lo afferma la quinta sezione penale della Cassazione nelle motivazioni della sentenza che ha condannato a 12 anni di reclusione i carabinieri Alessio Di Bernardo e Raffaele D'Alessandro. I due si sono consegnati in carcere poche ore dopo la sentenza. Per Roberto Mandolini, che era stato condannato a 4 anni di reclusione e per Francesco Tedesco, condannato a 2 anni e mezzo di carcere, ci sarà un nuovo giudizio di secondo grado. Ma su queste due condanne c’è il rischio della prescrizione sull’appello bis, come aveva confermato uno dei legali, Eugenio Pini. Secondo i calcoli degli ermellini la prescrizione del reato si compirà non prima del 25 luglio 2022. I giudici dell’appello quindi dovranno pronunciarsi entro quella data affinché questo processo non termini come quello sulle responsabilità mediche.
In particolare, la Corte, sulla base dell’evidenza disponibile, ha accertato anzitutto che le percosse inflitte dai due imputati al Cucchi ne abbiano determinato "la caduta ed il violento impatto con il pavimento, stabilendo che quest’ultimo ha provocato la frattura della vertebra sacrale, poi identificata come l’innesco del successivo decorso causale”. Un decorso che ha portato Cucchi a spegnersi dopo una settimana all’ospedale Pertini di Roma.
Che il pestaggio sia avvenuto in caserma viene sottolineato più volte. I giudici ricordano come la corte “ha sottolineato come al momento della perquisizione domiciliare, alla presenza dei suoi genitori, il Cucchi non presentasse evidenze di essere stato sottoposto a violenze di alcun genere, mentre, per come riferito” da uno dei testi “al momento del suo ingresso nella caserma di Tor Sapienza, reduce dal passaggio effettuato in quella di Roma Casilina dove era stato condotto al termine della perquisizione, accusava forti dolori, tanto da rendere necessario l’intervento del 118, il cui personale riscontrava segni palesi dei colpi ricevuti dalla vittima al volto”.
"L'intenzione dei due carabinieri" fu quella di "punire" Stefano Cucchi per il "suo atteggiamento" - scrive ancora la Corte senza escludere - "anche le negligenti omissioni dei sanitari ed il progressivo indebolimento dell'organismo di Cucchi determinato dalla prolungata carenza di alimentazione e di idratazione". Cucchi non mangiava e non beveva perché, dopo tutte le botte ricevute (spinta da Di Bernando e calcio da D’Alessandro, ndr), non era in grado di farlo. "La questione della prevedibilità dell'evento" delle lesioni e poi della morte, nel caso del pestaggio subito da Stefano Cucchi ad opera dei Carabinieri, "è certamente fuori discussione, date le modalità con le quali gli imputati hanno percosso la vittima, con colpi violenti al volto e in zona sacrale, ossia in modo idoneo a generare lesioni interne che chiunque è in grado di rappresentarsi come prevedibile conseguenza di tale azione".
"Dal racconto di Tedesco - rileva la Cassazione - emerge in maniera inequivocabile che il comportamento ostruzionistico tenuto da Cucchi per sottrarsi al fotosegnalamento si era già esaurito al momento della violenta aggressione fisica portata ai suoi danni, tanto che già si stavano predisponendo a lasciare la sala Spis dopo aver comunicato telefonicamente con il loro comandante e aver ricevuto l'ordine di soprassedere all'adempimento". Dunque, il comportamento degli imputati non era "più riconducibile nemmeno astrattamente all'ipotetica intenzione di vincere una sua resistenza", mentre dalle dichiarazioni di Tedesco, "i giudici territoriali - evidenzia la Suprema Corte - hanno in maniera logica affermato l'insufficienza del successivo 'battibecco' verbale" a giustificare "la reazione violenta" dei due militari. Con queste parole, i giudici del 'Palazzaccio' mettono in luce come "tale ricostruzione risulti pienamente aderente alla nozione di motivo futile": l'aggravante in questione, "ricorre - ricordano nella sentenza - ove la determinazione criminosa sia stata indotta da uno stimolo esterno di tale levità, banalità e sproporzione, rispetto alla gravità del reato, da apparire, secondo il comune modo di sentire, assolutamente insufficiente a provocare l'azione criminosa, tanto da potersi considerare, più che una causa determinante dell'evento, un mero pretesto per lo sfogo di un impulso violento".
Per Mandolini e Tedesco vizi motivazionali: disposto Appello bis
"I vizi motivazionali rilevati impongono pertanto l'annullamento della sentenza impugnata con rinvio per nuovo esame ad altra sezione della Corte d'Assise d'appello di Roma, rimanendo assorbite tutte le altre censure proposte dai ricorrenti e che spetterà al giudice del rinvio esaminare". Lo scrivono i giudici della Corte di Cassazione disponendo un appello bis a carico dei carabinieri Roberto Mandolini e Francesco Tedesco, entrambi accusati di falso ideologico pluriaggravato. I due militari in secondo grado sono stati condannati a 4 anni e 2 anni e mezzo per non aver raccontato correttamente tutte le fasi nel verbale che ripercorreva l'arresto di Stefano Cucchi. La Cassazione non solo ha ritenuto "fondati" i ricorsi di Mandolini e Tedesco e ha annullato con rinvio il processo d'appello a loro carico, ma ha anche ricordato che "la prescrizione del reato si compirà pertanto non prima del 25 luglio 2022".
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