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È alle battute finali il processo che si sta svolgendo in rito abbreviato dinanzi al gup del Tribunale di Reggio Calabria, Vincenza Bellini, in cui sono imputati l'ex pm di Barcellona Pozzo di Gotto Olindo Canali (da qualche anno giudice a Milano) e il collaboratore di giustizia Carmelo D'Amico.
Al termine della requisitoria, l'accusa, rappresentata dal procuratore aggiunto Gaetano Paci, ha chiesto 6 anni di carcere per Canali, presunto complice della mafia, e 4 anni per Carmelo D’Amico, con le attenuanti per la collaborazione, compresa la riduzione per l’abbreviato. Il reato contestato all'ex pm è di corruzione per favorire Cosa nostra mentre D'Amico, nel 2016, si era autoaccusato di aver pagato due magistrati per far aggiustare un suo processo in cui rischiava l'ergastolo. Dichiarazioni che sono state in seguito trasmesse dalla Procura di Messina, che stava raccogliendo le dichiarazioni del pentito, a quella di Reggio Calabria. Da lì l'apertura del fascicolo. La notizia è stata data da 'Stampa Libera'.
La famiglia di Beppe Alfano e i familiari di Giuseppe Martino si sono costituiti parte civile e sono difesi rispettivamente dagli avvocati Fabio Repici e Franco Barbera. Olindo Canali invece è difeso dagli avvocati Ugo Colonna e Francesco Arata, mentre D’Amico dall’avvocato Antonietta Pugliese.

Le ipotesi dell'accusa
La prima ipotesi di corruzione in atti giudiziari – tra il 1997 e il 14 aprile 2000 – riguarda l’attività che Canali aveva svolto in relazione al primo processo per il triplice omicidio Geraci-Raimondo-Martino del 4 novembre 1993. Un caso in cui aveva lavorato come “applicato” alla Procura di Messina. In quella fase storica erano accusati dell’esecuzione Carmelo D’Amico e Salvatore Micale. Secondo quanto scrive l’aggiunto Paci, Canali avrebbe “accettato per sé la promessa e quindi ricevuto la somma di denaro di cento milioni di lire al fine di compiere atti contrati ai propri doveri d’ufficio nell’ambito del suddetto procedimento”. E c’è un passaggio ancora più preciso nel capo d’imputazione, perché la somma sarebbe stata “consegnata in due distinte occasioni”. Sono quattro le condotte individuate dalla Procura di Reggio: il boss D’Amico tramite Rugolo avrebbe indotto la moglie di una delle vittime del triplice omicidio a ritrattare al processo d’Assise, nel 1998, quanto aveva dichiarato nel corso delle indagini, e cioè di aver riconosciuto proprio il boss D’Amico durante l’esecuzione tra i killer; l’ex pm Canali non avrebbe proposto entro i termini di scadenza (3 aprile 2000) l’atto di appello contro la sentenza assolutoria di primo grado per D’Amico e Micale; avrebbe depositato l’atto di impugnazione il 7 aprile 2000 nonostante vi avesse apposto la data di effettiva scadenza del 3 aprile 2000, e avrebbe poi rinunziato in data 14 aprile 2000 all’impugnazione “per errore di calcolo”; infine Canali avrebbe omesso di avvertire dei vari passaggi l’allora titolare del procedimento, l’ex sostituto della Dda di Messina Gianclaudio Mango, e l’allora capo della Procura, Luigi Croce. L’altro caso di corruzione in atti giudiziari contestato, tra il 2008 e il 2009, in concorso con Rugolo, D’Amico e il boss Gullotti, vede al centro il maxi processo “Mare Nostrum” e l’indagine per l’omicidio del giornalista Beppe Alfano. Secondo il capo d’imputazione l'ex pm avrebbe “accettato per sé la promessa della consegna di denaro di trecentomila euro, della quale riceveva una prima parte di cinquanta mila euro" da Carmelo D’Amico, oggi collaboratore di giustizia, per cercare di “ammorbidire” la posizione del boss Gullotti scrivendo quel famigerato memoriale che ‘piombò’ letteralmente in aula durante il maxiprocesso “Mare Nostrum". Sul punto D'Amico aveva raccontato davanti ai giudici nel 2021 che Salvatore Rugolo (cognato di Pippo Gullotti e figlio di Ciccio Rugolo) gli aveva detto espressamente che "300mila euro servivano per pagare Cassata  (l'ex procuratore generale Franco Cassata) e 300mila euro per pagare Canali". E tempo dopo, nel 2008, avrebbe dato anche una prima somma da consegnare ai due.

La morte di Attilio Manca
Durante l'esame da parte dell'avvocato Repici, D'Amico ha avuto modo di riferire anche ciò che ha saputo sulla morte del giovane urologo Attilio Manca, affermando che Rugolo aveva eccellenti rapporti con Cattafi, ma che si infuriò con lui quando venne a sapere i retroscena dell'omicidio Manca. "Poco dopo la morte di Manca incontrai Rugolo che mi disse di averla a morte con l'avvocato Saro Cattafi perché aveva fatto ammazzare Attilio Manca (lo riteneva responsabile della morte di Manca che riteneva sicuramente un omicidio e non certo un caso di overdose). In quell'occasione Rugolo mi disse che un soggetto non meglio precisato, un generale dei carabinieri ("non so chi fosse"), amico di Cattafi, vicino e collegato agli ambienti della Corda Frates, aveva chiesto a Cattafi di mettere in contatto Provenzano, che aveva bisogno urgente di cure mediche alla prostata, con l'urologo Attilio Manca, cosa che Cattafi aveva fatto".
"Quando Rugolo mi disse queste cose -ha aggiunto - ebbi l'impressione che mi stesse chiedendo di eliminare il Cattafi, cosa che era già successa in precedenza, così come ho già detto quando ho parlato di Saro Cattafi, perchè ritenuto il responsabile della cattura di Nitto Santapaola".

Fonte: stampalibera.it

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