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Sul piatto delle proposte separazione totale delle carriere e responsabilità civile dei magistrati

L'aula della Camera ha concluso la discussione sulle linee generali del testo di riforma del CSM e dell'ordinamento giudiziario. L'esame del provvedimento, secondo quanto previsto, riprenderà nella seduta di venerdì. Si ipotizza, tuttavia, che l'ordine del giorno dei lavori, nei prossimi giorni, potrà subire delle modifiche per favorire l'approvazione della riforma entro giovedì. Infatti al mattino c’è stato un vertice tra la ministra e i responsabili Giustizia dei partiti di maggioranza, da cui è emersa la volontà di approvare il testo giovedì senza la fiducia. Il ddl delega è infatti atteso in aula a Palazzo Madama per la prima settimana di maggio. L’impegno delle forze che sostengono il governo rimane quello di non votare gli emendamenti che arriveranno dalle opposizioni (in particolare Fratelli d’Italia e Alternativa). Lega e Italia Viva hanno fatto sapere che proporranno emendamenti. Maria Elena Boschi ne ha annunciati una quarantina a nome dei renziani. La Lega ne proporrà cinque, insistendo sui temi dei referendum sulla giustizia, separazione totale delle carriere (il testo licenziato dalla Commissione invece prevede un solo passaggio, da esercitare nei primi dieci anni di carriera) responsabilità civile dei magistrati, già bocciata dalla Corte Costituzionale e freno alle misure cautelari. Nessun emendamento invece proposto da Forza Italia, M5S. Pd, Leu e Azione. Il dibattito in Aula si è aperto con gli interventi dei relatori di maggioranza, il Walter Verini (PD) e il 5 Stelle Eugenio Saitta, e della relatrice di minoranza, Maria Carolina Varchi di Fratelli d’Italia la quale ha detto che “questa riforma non è stata scritta in Parlamento. Lo dimostra il fatto che abbiamo atteso nove mesi che il governo si degnasse di mandare i propri emendamenti. Un atteggiamento inaccettabile su un provvedimento del genere, che nelle dichiarazioni della ministra Marta Cartabia aveva la priorità assoluta”. Nel testo si prevede l'introduzione di un sistema misto, binominale con quota proporzionale, e il sorteggio dei distretti di Corte d'Appello per formare i collegi per l'elezione dei togati al Consiglio superiore della magistratura. Nuove regole sulle nomine ai vertici degli uffici giudiziari. Stop alle porte girevoli tra politica e magistratura, con il divieto di esercitare in contemporanea funzioni giurisdizionali e ricoprire incarichi elettivi e governativi, un solo passaggio di funzioni tra pm-giudice (separazione di fatto delle carriere) e viceversa, tetto agli incarichi fuori ruolo e il 'fascicolo personale' dei magistrati. Il testo di riforma così com'è stato presentato non arginerà il potere delle correnti e trasformerà i magistrati in macchine burocratiche asservite alla logica delle 'carte a posto'. "La riforma costituisce un'ulteriore dimostrazione di una pericolosa voglia di rivalsa nei confronti della magistratura. Il segnale di un vero e proprio regolamento di conti". Così aveva detto il consigliere togato Nino Di Matteo. "Alcune norme - aveva aggiunto il magistrato - come quelle sul sistema elettorale del Csm, sono del tutto inidonee a limitare lo strapotere delle correnti, il peso decisivo dei capi corrente, nella individuazione dei candidati". "Le norme che riguardano il fascicolo di rendimento del magistrato, la pressoché totale separazione delle carriere di pm e giudici, la partecipazione degli avvocati ai pareri sulle valutazioni di professionalità dei giudici, rispondono a un preciso disegno: quello di burocratizzare la magistratura, di gerarchizzare i singoli magistrati, di renderli attenti soltanto ai numeri e alle statistiche piuttosto che a rendere giustizia, di impaurirli, rendendoli più soggetti alla volontà dei capi degli uffici e più esposti a possibili interferenze esterne".

Foto © Imagoeconomica

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