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Sono quindici le persone arrestate dalla Polizia nell'ambito di una indagine coordinata dalla Direzione distrettuale antimafia di Potenza. Sette sono finite in carcere e le altre otto ai domiciliari. Si tratta, secondo gli inquirenti, di appartenenti al clan Riviezzi di Pignola, comune alle porte del capoluogo lucano, ritenuto egemone a Potenza e nella provincia con alleanze anche in altri territori. Le misure, emesse dal gip del Tribunale di Potenza, sono state eseguite dalla sezione criminalità della locale Squadra mobile. Le accuse contestate ai soggetti sono a vario titolo di associazione mafiosa, estorsione tentata e consumata, aggravate dall'agevolazione e dal metodo mafioso, detenzione e porto illegale di arma da fuoco, violazione degli obblighi inerenti la sorveglianza speciale, false informazioni al pm aggravate. L'attività di indagine è scaturita dallo sviluppo di una precedente inchiesta che già ad aprile aveva colpito lo stesso clan, con 17 misure cautelari personali e due sequestri preventivi, uno dei quali relativo alla società che gestiva il bar-caffetteria presso il palazzo di giustizia di Potenza, per i delitti di associazione mafiosa ed altro. In questo nuovo filone investigativo sono stati ricostruiti episodi estorsivi ai danni di attività commerciali.

Il Procuratore della Repubblica di Potenza, Francesco Curcio (a sinistra), ha sottolineato l'esistenza di un "clima omertoso sul territorio" e l'assenza di denunce da parte delle vittime delle estorsioni, rimarcando anche il fatto che il "recupero crediti" avveniva senza neanche la necessità di minacciare concretamente gli obiettivi di azioni delittuose tipiche dei clan mafiosi, come gli incendi. Il magistrato ha definito proprio il fenomeno del recupero crediti "ancora più allarmante perché dimostra” la“capacità del mafioso di imporsi e di indurre il debitore a pagare, laddove la legge non ha portato ad alcunché. Ciò dimostra - ha aggiunto Curcio - che il mafioso si pone come autorità sul territorio e dimostra che in misura più allarmante è riconosciuta anche dal soggetto creditore la capacità dell'associazione di riscuotere i crediti". Oltretutto, il clan Riviezzi ha sfruttato, in almeno due circostanze - nel Materano e nel Vallo di Diano - il "peso" del suo nome per raggiungere i suoi scopi. Curcio, infine, ha sottolineato il ruolo che nell'inchiesta ha avuto un collaboratore di giustizia di origini calabresi che ha fornito "elementi che hanno trovato riscontri formidabili, in modo puntuale anche nei tabulati telefonici".

Frame tratto da Trmh24

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