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Lo Stato che può trattare con la mafia perché il fatto “non costituisce reato” può permettere la cancellazione della memoria attraverso un revisionismo di stampo libellista, e che commemora ipocritamente i suoi martiri come Paolo Borsellino e Giovanni Falcone mentre in Parlamento si stanno per approvare delle leggi che potrebbero permettere l’uscita dal carcere anche per i mafiosi stagisti irriducibili. Non ci sta Salvatore Borsellino: “Io inciterò i giovani alla ribellione”, gli insegnerò a “pretendere giustizia, non a chiedere, a pretendere” poiché “solo un completo cambio generazionale potrà cambiare le cose”. Durante lo streaming organizzato da ‘SiciliaBuona’ il fratello di Paolo Borsellino assieme all’avvocato ed ex pm Antonio Ingroia - moderati da  Anna Lisa Maugeri  - ha esternato i suoi pensieri in merito alla sentenza di Appello del 23 settembre scorso per il processo Trattativa Stato-Mafia dicendo che per tutto il resto della sua vita si impegnerà a portare ai giovani questo messaggio: “La trattativa per me è quella che ha portato alla strage di via D’Amelio. Io sono assolutamente convinto che la causa accelerante della strage di via D’Amelio sia stata la trattativa” la quale “anche se fosse stata fatta per fermare le stragi, come è stato detto, il risultato è stato esattamente il contrario” e che “la strage di via D’Amelio sia avvenuta in quella circostanza perché mio fratello avrebbe rivelato la trattativa all’opinione pubblica. E se l’avesse rivelata all’opinione pubblica” dopo che la ferita della strage di Capaci era ancora fresca, “in Italia sarebbe successa la guerra civile. La gente si sarebbe ribellata”. “Quella trattativa per andare avanti doveva essere ucciso Paolo Borsellino”.
Questo è il messaggio di Salvatore, il quale ha anche parlato di alcune delle numerose zone d’ombra tutt’ora presenti nel complesso percorso verso la verità.
L’agenda rossa di Paolo Borsellino per esempio, “indagini sulla sparizione dell’agenda rossa si sono fermate con l’assoluzione del capitano Arcangioli per non aver commesso il fatto” ha detto il fratello di Paolo ma “a chi il capitano Arcangioli ha portato quell’agenda? Chi ha fatto sparire quell’agenda? In quali sotterranei dello Stato ora si trova?”. E poi ancora, “ci sono persone che non sono mai state interrogate, come il generale Emilio Borghini (presente in via D’Amelio n.d.r) a cui presumibilmente Arcangioli potrebbe aver portato l’agenda rossa” ha detto Salvatore. Ma perché tutto questo? “Perché non si vuole arrivare alla giustizia. Perché ancora una volta lo Stato non può (o non vuole n.d.r) processare se stesso”.

Sentenza trattativa, Ingroia: “Era più accettabile che venissero assolti tutti”
Dalla sentenza di Appello si stanno scrivendo, e si sono scritti fiumi di parole, e per quanto alcuni cerchino di intorpidire le acque un dato rimane lì, fisso: Antonino Cinà è stato condannato e punito in quanto portatore del papello, ossia la minaccia fatta arrivare al corpo politico dello Stato, in questo caso al governo. Ma se la minaccia è arrivata, qual’è Stato il tramite? “Gli ufficiali dei carabinieri” ha detto l’avvocato Antonio Ingroia aggiungendo che è la stessa sentenza che indica loro come i “portatori di una minaccia , ma che la cosa non costituisce reato”, quindi, “difetta il dolo. Ma diciamoci la verità. E’ una scappatoia che i giudici hanno usato altre volte” come nella mancata “perquisizione del covo di RiinaMori e compagni non avevano perquisito il covo ma non per favorire la mafia” ha spiegato Ingroia riferendosi alle motivazione della sentenza del  20 febbraio 2006.
Ma è proprio sulla frase “il fatto non costituisce reato” che si sono scritte la maggior parte delle mistificazioni della realtà.  Sarebbe stato “più accettabile che venissero assolti tutti” ha detto Ingroia, e “invece la corte di assise di appello ha detto che il fatto sussiste, il fatto c’è stato. Ossia la minaccia nei confronti dello Stato e la conseguente trattativa”.
L’ex pm durante lo streaming ha sollevato le domande chiave alle quali ancora nessuno ha dato risposta in merito alle condotte del Ros: se loro sono stati la cinghia di trasmissione della minaccia, “perché non hanno avvisato l’autorità giudiziaria?” e sono andati poi ad interfacciarsi con gli esponenti politici?
Secondo Ingroia i membri del Ros sono concorrenti alla minaccia perché “loro di loro iniziativa sono andati da Ciancimino e hanno detto, ‘ma cos’è questo muro contro muro, ma non si può parlare con questa gente?’ Quindi l’iniziativa non è arrivata dalla mafia ma dallo Stato. In termini tecnici si chiama istigazione. Loro hanno istigato Cosa Nostra a fare una proposta”.
In conclusione sia Salvatore che Ingroia concordano sul fatto che la sentenza di appello è stata scritta da uno Stato che non ha nessuna voglia di processare se stesso e che al di là delle sconfitte occorre fare tutto il possibile per resistere. Restano ancora da vedere le motivazioni della sentenza e cosa si decideranno i supremi giudici se farà ricorso in Cassazione.

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