Questo sito utilizza cookie tecnici e di terze parti per migliorare la navigazione degli utenti e per raccogliere informazioni sull’uso del sito stesso. Per i dettagli o per disattivare i cookie consulta la nostra cookie policy. Chiudendo questo banner, scorrendo questa pagina o cliccando qualunque link del sito acconsenti all’uso dei cookie.

E in aula il pentito D'Amico conferma l'accusa

Quando si parla di giustizia lenta e processi infiniti, se si guarda a quello nei confronti di Rosario Pio Cattafi (in foto), imputato del reato di associazione mafiosa, ha davvero qualcosa di assurdo. Basti pensare che la Corte di Appello di Reggio Calabria ha impiegato più di due anni per fissare la prima udienza, nonostante il reato di associazione mafiosa fosse a rischio di prescrizione.
Parliamo di un processo estremamente delicato con il quale si sta cercando di stabilire se sull’avvocato di Barcellona Pozzo di Gotto ci sia stato il sigillo della mafia, almeno fino al 2000.
Cinque anni dopo il rinvio della Cassazione nel lontano 2017 lo scorso luglio la Corte d'Appello di Reggio Calabria aveva deciso di aprire il dibattimento, sulla richiesta dell'avvocato di parte civile Fabio Repici, come rappresentante dell’Associazione nazionale familiari vittime della mafia, affinché venisse ascoltato l’ex boss barcellonese, e oggi pentito, Carmelo D’Amico.
Il legale inoltre nel gennaio scorso aveva messo in evidenza due elementi di grande rilevanza: una nota della Dda di Palermo e un verbale di dichiarazioni del pentito D’Amico.
Nella nota della Dda palermitana è riportato un contenuto alquanto emblematico in cui un agente penitenziario, nel corso del processo sulla “trattativa Stato-mafia”, aveva sentito testualmente il capo di Cosa nostra Totò Riina affermare di conoscere Cattafi, "chiamandolo 'Zio Saro' e definendolo un trafficante di armi".
Il secondo elemento riguarda invece il pentito D'Amico, il collaboratore che ha chiamato in causa Cattafi per la vicenda del medico Attilio Manca, il brillante urologo barcellonese “suicidato” a Viterbo l’11 febbraio del 2004 perché, secondo le ricostruzioni dei familiari e del loro difensore, l'avvocato Repici, il giovane medico avrebbe curato Bernardo Provenzano per i suoi problemi alla prostata.
Finalmente, dopo l'ennesimo rinvio dello scorso 22 settembre, con l'udienza saltata per un impedimento dell’avvocato difensore dell’imputato, mercoledì c'è stata la tanto attesa deposizione. 
“Poco tempo dopo la morte di Attilio Manca, avvenuta intorno all’anno 2004, incontrai Salvatore Rugolo, fratello di Venerina e cognato di Pippo Gullotti (condannato all’ergastolo quale mandante dell’omicidio di Beppe Alfano, ndr). Lo incontrai a Barcellona, presso un bar che fa angolo, situato sul Ponte di Barcellona, collocato vicino alla scuola guida Gangemi. Una volta usciti da quel bar Rugolo mi disse che ce l’aveva a morte con l’avvocato Saro Cattafi perché ‘aveva fatto ammazzare’ Attilio Manca, suo caro amico. In quell’occasione Rugolo mi disse che un soggetto, non meglio precisato, un Generale dei Carabinieri, amico del Cattafi, vicino e collegato agli ambienti della ‘Corda Fratres’, aveva chiesto a Cattafi di mettere in contatto Provenzano, che aveva bisogno urgente di cure mediche alla prostata, con l’urologo Attilio Manca, cosa che Cattafi aveva fatto”. 
D'Amico ha quindi parlato delle due confidenze raccolte tra il 2004 e il 2006, nelle quali spiccano i Servizi segreti dietro l’omicidio dell’urologo barcellonese Attilio Manca. 
“Rugolo - disse Cattafi ai magistrati - non mi specificò se l’urologo Manca era già stato individuato come medico che doveva curare il Provenzano; il compito del Cattafi era soltanto quello di entrare in contatto con il Manca, o se invece fu lo stesso Cattafi che scelse e individuò il Manca come medico in grado di curare il Provenzano. Rugolo Salvatore ce l’aveva a morte con Cattafi perché, proprio alla luce di quel compito da lui svolto, lo riteneva responsabile della morte di Attilio Manca che supponeva sicuramente essere un omicidio e non certo un caso di overdose. Rugolo non mi disse espressamente che Cattafi aveva partecipato all’omicidio di Manca, ma lo riteneva responsabile della sua morte per i motivi che ha sopra detto. Quando Rugolo mi disse queste cose, io ebbi l’impressione che mi stesse chiedendo di eliminare il Cattafi, cosa che era già successa in precedenza, così come ho già detto quando ho parlato di Saro Cattafi) perché ritenuto il responsabile della cattura di Nitto Santapaola”. 
Ma c'è anche un altro elemento che il collaboratore di giustizia ha raccontato, ovvero quel che gli disse Antonino Rotolo, boss di Pagliarelli, durante la detenzione comune nel carcere di Milano-Opera. Entrambi si trovavano al 41 bis, ma avevano comunque trovato un modo per comunicare. "Mi confidò che erano stati i Servizi segreti a individuare Attilio Manca come il medico che avrebbe dovuto curare il latitante Provenzano - ha spiegato D'Amico - Rotolo non mi disse chi fosse questo soggetto appartenente ai Servizi ma io capii che si trattava della stessa persona indicatami dal Rugolo, ossia quel Generale dei Carabinieri che ho prima indicato; sicuramente era un soggetto delle istituzioni. Rotolo Antonino, sempre durante la nostra comune detenzione presso il carcere di Milano-Opera, mi disse che Attilio Manca era stato eliminato proprio perché aveva curato Provenzano e che ad uccidere quel medico erano stati i Servizi segreti”.
Ed è in quella circostanza che Rotolo gli avrebbe parlato anche di un soggetto esterno: 
"Rotolo mi aggiunse che di quell’omicidio si era occupato, in particolare un soggetto che egli definì ‘u calabrisi’; costui, per come mi disse Rotolo, era un militare appartenente ai Servizi segreti, effettivamente di origine calabrese, che era bravo a far apparire come suicidi quelli che erano a tutti gli effetti degli omicidi. Rotolo Antonino mi fece anche un altro nome coinvolto nell’omicidio di Attilio Manca, in particolare mi parlò del ‘Direttore del Sisde’, che egli chiamava ‘U Diretturi’. Rotolo non mi disse come era stato ammazzato Manca, né mi fece il nome e cognome del ‘calabrese’ e del ‘Direttore del Sisde’, né io glielo chiesi espressamente. In questo momento mi sono ricordato che Rotolo, se non ricordo male, indicava il calabrese come ‘U Bruttu’, ma non so dire il motivo, e che era ‘un curnutu’, nel senso che era molto bravo a commettere questo tipo di omicidi”.
Elementi quest'ultimi, che sembrano portare alle fattezze di "Faccia da mostro", il soggetto ex appartenente alla polizia ed ai servizi, indicato anche da altri collaboratori di giustizia come coinvolto in diversi delitti e misteri.  
Conclusa la testimonianza di D'Amico la prossima settima ci sarà la sentenza.
Va evidenziato come il sostituto procuratore generale Antonio Giuttari nella requisitoria ha, in controtendenza rispetto alle conclusioni del collega Adornato (aveva dapprima chiesto di far decadere il reato di associazione mafiosa per intervenuta prescrizione per poi rettificare e chiedere anche l’assoluzione per gli anni compresi tra il 1993 e il 2000), ha revocato la richiesta del precedente Pg e chiesto la conferma della sentenza della Corte d’appello di Messina (Cattafi è stato condannato a 12 anni in primo grado, poi ridotti a 7 in appello), in cui si decretava l'appartenenza di Cattafi all’associazione mafiosa barcellonese solo fino al 2000, statuendo che dopo quella data non c’erano elementi sufficienti a supporto dell’accusa. Il processo è stato rinviato a mercoledì prossimo quando è prevista la sentenza.

ARTICOLI CORRELATI

D'Amico: ''Attilio Manca ucciso dai Servizi segreti''

Verità e Giustizia per Attilio Manca

''Rosario Pio Cattafi non la faccia franca'' - La lettera aperta dei familiari delle vittime di mafia

Riapre a Reggio Calabria l'Appello Gotha 3 per Rosario Pio Cattafi

ANTIMAFIADuemila
Associazione Culturale Falcone e Borsellino
Via Molino I°, 1824 - 63811 Sant'Elpidio a Mare (FM) - P. iva 01734340449
Testata giornalistica iscritta presso il Tribunale di Fermo n.032000 del 15/03/2000
Privacy e Cookie policy

Stock Photos provided by our partner Depositphotos