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Sono tre le condanne richieste dal pm Veronica Calcagno nei confronti degli imprenditori appartenenti al gruppo Lobello, tutti coinvolti nell’inchiesta “Coccodrillo”, condotta dalla Dda di Catanzaro. Rispettivamente sono stati chiesti 12 anni per Giuseppe Lobello, 8 anni invece per Antonio e Daniele Lobello, a giudizio con il rito abbreviato.

L'indagine della Dda risale allo scorso marzo e aveva portato a sette arresti (sei ai domiciliari). Inoltre aveva evidenziato un grave quadro indiziario a carico degli imprenditori catanzaresi ritenuti colpevoli di reati di intestazione fittizia di beni, realizzati attraverso un sistema di società, formalmente intestate a terzi, e tuttavia dagli stessi controllate e gestite, e ciò al fine di sottrarre il proprio patrimonio aziendale all’adozione di prevedibili misure di prevenzione antimafia.

Nell'impianto accusatorio viene evidenziato che Giuseppe Lobello è stato accusato di concorso esterno in associazione mafiosa, "pur non facendone parte" poiché avrebbe concorso "nell’associazione di ‘Ndrangheta denominata cosca Arena" alla quale avrebbe fornito "attraverso condotte attive, un contributo concreto, specifico e volontario per la conservazione e il rafforzamento della capacità organizzativa dell’associazione, con la consapevolezza dei metodi e dei fini dell’associazione stessa. In particolare, muovendosi quale imprenditore edile titolare e amministratore di fatto delle imprese facenti capo alla famiglia Lobello – Strade Sud, Trivellazioni Speciali, Consorzio Stabile Zeus, Consorzio Stabile Genesi – faceva da intermediario tra i vertici della cosca Arena e taluni imprenditori soggetti a estorsione per lavori nel Catanzarese, raccogliendo i ratei delle estorsioni e consegnandoli alle scadenze prestabilite ai vertici del clan, ciò allo scopo di evitare che la presenza di soggetti riconducibili al clan presso i cantieri potesse tirare l’attenzione delle forze dell’ordine; ottenendo al contempo per il legame stretto con gli Arena una posizione dominante nell’esecuzione di lavori edili su Catanzaro, ovvero la protezione da interferenze estorsive, di altri gruppi criminali, presso i cantieri relativi ai lavori eseguiti e presso l’impianto di calcestruzzo dell’impresa".

Le investigazioni, che si sono avvalse anche delle plurime dichiarazioni dei collaboratori di giustizia e di esiti intercettivi, hanno evidenziato, oltre al legame mantenuto nel tempo dalla famiglia Lobello con il clan Mazzagatti di Oppido Mamertina, anche il rapporto con il clan Arena di Isola Capo Rizzuto e altre cosche del crotonese, tra cui quella riconducibile a Nicolino Grande Aracri. Infine dalle indagini condotte dalla Guardia di finanza è emerso un episodio di estorsione in cui un lavoratore dipendente è stato costretto ad auto licenziarsi contro la sua volontà da una società fittiziamente intestata a un prestanome, per incomprensioni sorte sul luogo di lavoro con i familiari di Giuseppe Lobello. La prossima udienza è stata fissata per il 19 ottobre davanti al gup Ferraro con la discussione delle difese.

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